La storia di Ersilio Ambrosini è una di quelle che ti insegnano che anche quando la vita ti mette con le spalle al muro e sembra volerti abbandonare non si deve mollare. Ma è anche la storia di ripartenza di chi, dopo essersela vista molto brutta, decide di andare oltre i segni che la malattia gli ha lasciato sul corpo, superando i propri limiti personali.
Frutto di questo percorso di (quasi) morte e rinascita è Teamlife che Ersilio ha fondato nel 2019 con un amico, ritrovato a trent’anni di distanza, durante un’uscita in mountain bike. L’unico intento di questa realtà sportiva è quella di aiutare l’Associazione che porta il nome del medico che salvò la vita a Ersilio quando aveva 22 anni (ora va per i 50) e appena il 5% di speranze di vita, Mario Campanacci.
Il nome di questo dottore, così come quello dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, casa dell’Associazione Mario Campanacci, ritorneranno nell’intervista che Ersilio ci ha concesso, nel pieno della preparazione di eventi che lo vedono coinvolto con Teamlife.
Ho raggiunto telefonicamente Ersilio che da subito mi ha messo a mio agio, chiedendomi di dargli del tu, in una conversazione che è spaziata da come lui ha vissuto (e sta vivendo) questo periodo di emergenza sanitaria fino al messaggio che si sente di lasciare in base alla sua esperienza di vita.
Buongiorno Ersilio. Innanzitutto volevo chiederti come va in questo momento, come hai affrontato questo periodo, legato all’emergenza sanitaria, che ci stiamo lasciando (si spera) alle spalle…
Da persona che si reputa “mortale”, non “immortale”, ti dico che non mi sono spaventato, sono sincero. Ho avuto il 5% di speranza di vita e cose come queste (Covid, ndr) le combatto, senza spaventarmi. L’unica cosa che mi è dispiaciuta di questo periodo è che molti hanno interrotto le cure di chemioterapia, radioterapia, e un po’ di gente che conoscevo, per colpa di questo anno e mezzo di lockdown, ci ha rimesso la vita. È una cosa che mi dispiace molto, perché non concepisco il fatto che ci sia “solo” il Covid. Ovviamente io parlo da persona che ha avuto anche altro; persone che non hanno avuto niente nella vita, che sono state fortunate, probabilmente questo anno, anno e mezzo, hanno visto la Prima Guerra Mondiale.
Riavvolgendo il tempo. A 22 anni ti viene diagnosticato un tumore maligno alle parti molli e un sarcoma di Edwing con il 5% di probabilità di vita. Una battaglia che però hai vinto, pur con dei segni sul fisico, ovvero una gamba attaccata al corpo, ma priva di forza. Una tua frase che ho letto e che mi ha molto colpito è quella in cui hai detto di considerare questo handicap ‘non come un orrore ma come un’opportunità’. Ti va di spiegarci meglio questa tua considerazione? In che senso e come la consideri un’opportunità?
Per farti capire, io ad oggi ho una moglie che è la stessa ragazza che nel ‘93 era all’Ospedale ‘Rizzoli’ di Bologna con me come fidanzata ed è restata mia moglie; già questo è difficile, perché noi disabili, nella maggior parte dei casi, veniamo lasciati. Ho anche una bambina di dieci anni, nonostante io sia tuttora sterile. Se tu oggi mi dai una bacchetta magica e mi dici: ‘Ersilio, io ti do una bacchetta magica, riavvolgi tutto e ti do l’opportunità di tornare come prima’, fidati che io ad oggi non voglio tornare indietro, sono felice da disabile e ho tutto quello che serve a me.
Non ti parlo dal lato economico, io faccio l’operaio, ma dal punto di vista umano. Io apprezzo tutto di una giornata e se oggi sono qua significa che avevo il fisico pronto per affrontare bene la malattia. Ho avuto fortuna, perché ci vuole una grandissima dose di fortuna, e la medicina ha fatto il suo dovere insieme alla equipe giusta al momento giusto. Tutto questo insieme ha fatto sì che io oggi sia qui e il mio segnale è per tanta gente disabile che è sempre chiusa in casa depressa, ma anche per le altre persone normali che buttano via il tempo andando in depressione, lamentandosi del niente. Invece bastano cinque secondi nella vita che ti può succedere di tutto, come abbiamo visto con il Covid.
In che senso?
Io pensavo che con il Covid molta gente avesse capito che in cinque minuti può cambiare la vita a tutti, anche se purtroppo non è ancora così, non tutti l’hanno capito. Per quello dico che la disabilità è un’opportunità e nel mio caso mi sento fortunato a essere un disabile. Calcola che io giocavo a calcio molto bene, come professionista, e dovevo andare a giocare in serie B. Dovevo fare un sacco di cose nella vita, avevo soldi. Però quello che sto provando negli ultimi quindici, venti, anni non è la stessa cosa di prima. Adesso per me è tutto bello.
Attraverso la mountain bike ti impegni sul tema dei tumori muscolo-scheletrici. Nel 2019, assieme all’amico Claudio Lazzaroni, hai dato vita all’associazione sportiva dilettantistica di mountain bike Teamlife. Una realtà nata con lo scopo di aiutare l’Associazione Mario Campanacci del Rizzoli e molto attiva nella sensibilizzazione attraverso i canali social. Ci racconti come è nata e cosa state facendo in particolare, come Teamlife, in questo momento?
È nata, come dici, nel 2019 da due amici che da trent’anni non si vedevano più e si sono incrociati in zona Alassio con la mountain bike. Io ero caduto, lui (Claudio Lazzaroni, ndr) è venuto lì a soccorrermi e da lì, dopo trent’anni, ci siamo ritrovati, creando questo team di mountain bike improntato sullo sport competitivo ma soprattutto sulla beneficenza, nell’aiutare e sensibilizzare gli altri. Quest’anno abbiamo tre/quattro eventi, da un evento sul Monte Rosa con i nostri oncologi che hanno fatto una conferenza fino a quello che realizzeremo il 17-18-19 settembre a Chiari (in provincia di Brescia). Sarà una festa di due giorni e mezzo con tantissimi ragazzi disabili che si cimenteranno nello sport contro ragazzi normali. È un modo per fargli capire che da disabili si vince, perché sicuramente vinceranno i disabili. E non finisce qui…
Cosa ci sarà?
La sera organizzeremo la classica sagra di Paese dove ci saranno delle costine, polenta e la domenica mattina faremo una conferenza stampa con gli oncologi di Bologna e molte testimonianze. In quell’occasione non sarà spiegata la prevenzione ma, più o meno, cosa sono i tumori e come fai ad accorgerti che tuo figlio ne ha uno, cosa devi mangiare, etc…
Ci saranno personaggi che ci sostengono sempre, come Nico Valsesia che è un grande personaggio che batte record del mondo ovunque, ci sarà Andrea Lanfri, un amico e un ragazzo amputato ad entrambe le gambe che fa cose fuori dal normale, ci sarà Maggioni (Michele, ndr), una guida alpina e dovrebbe venire Brumotti (Vittorio, ndr) che si è invitato dopo aver saputo di questo evento, per far vedere un po’ di cose con la bici.
Il 3 di ottobre, poi, c’è la Capoliberi che è una gara tosta all’isola d’Elba di Coppa del Mondo a cui partecipo, fatta sempre nel nome della disabilità e degli oncologi, mentre il 7 di novembre abbiamo organizzato noi una marathon qui in Val Trompia con gli oncologi, il team degli Zaina e la Giant, campioni del mondo di mountain bike. Vengono con noi, ci aiutano, e organizziamo questa marathon. L’ultimo evento dell’anno, infine, a dicembre, è in Patagonia quando partirò con le due guide Willy e Tiziano Mulonia che mi portano venti giorni nei boschi. Questi sono i nostri eventi. Poi spero di rilassarmi un attimo e godermi la mia famiglia (ride).
Per concludere. La tua storia è la dimostrazione come la disabilità possa essere vissuta non come un limite. C’è una lezione particolare che ti porti dietro in base alla tua esperienza, un messaggio che ti va di condividere?
Mi ricordo il mio dottore, quello che mi ha salvato, che mi ha sempre detto due cose. La prima è di non guardare mai gli altri, usando un paraocchi come i cavalli; la seconda di guardare, al limite, quelli che stanno peggio. All’epoca del tumore io gli feci: ‘Mi scusi dottor Campanacci. Quelli che stanno peggio di me? Io ho il 5% di vita’ e lui: ‘Ci sono quelli che muoiono!’ Questa è una cosa che mi è rimasta impressa tutta la vita e che porto ancora con me. È brutto dirlo ma io dico a tutti di guardare quelli che stanno peggio.
L’impressione che Ersilio mi lascia, a fine chiamata, è quella di un uomo carico di energia e in grado di guardare a quello che gli accaduto come si fa dopo una caduta di bicicletta, la passione che lui ha trasformato in mezzo di divulgazione del suo messaggio.
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