Iacopo Melio: “Mi sono candidato per i diritti di tutti”

Da giovane attivista a consigliere regionale in Toscana, Melio promette di portare avanti le battaglie in difesa dei diritti umani e civili in modo trasversale

Iacopo Melio e il Presidente Mattarella

Sommario
    Tempo di lettura Tempo di lettura terminato
    0
    Time

    A partire da una vincente campagna di sensibilizzazione contro le barriere architettoniche, Iacopo Melio ha fondato nel 2015 la ONLUS #Vorreiprendereiltreno, con cui ha anche fatto conoscere il suo impegno nella lotta per i diritti. Per il suo attivismo nella società civile nel 2017 il Parlamento Europeo gli ha conferito il premio “Cittadino Europeo” e nel 2018 il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo ha nominato Cavaliere dell’Ordine al Merito. Lo scorso 20 settembre Melio è stato eletto nel Consiglio Regionale della Toscana, dove con 11.233 preferenze è stato il più votato della sua circoscrizione. Nel frattempo, continua con passione a curare i contatti della sua community Facebook, che da anni lo sostiene nelle sue battaglie. Oggi racconta ad A Good Magazine la sua politica e tiene a ricordare che “chiunque può (anzi, dovrebbe!) occuparsi di disabilità e di sociale (…) a prescindere dal fatto che viva o meno una determinata condizione sulla propria pelle”.

    Iacopo melio Comunicatore Toscano dell'anno

    Premio Comunicatore Toscano dell’anno

    Melio, le ultime elezioni regionali in Toscana l’hanno vista ottenere il ruolo di consigliere con un gran numero di sostenitori. Chi sono? Da chi ha sentito tanta vicinanza nel periodo di campagna elettorale?

    C’è stato enorme entusiasmo intorno alla mia candidatura. Tantissimi giovani, ad esempio, che avevano perso fiducia nella politica, mi hanno scritto sollevati per aver trovato nel mio nome un rappresentante delle loro idee. Ma anche persone più grandi, fino ad adulti non proprio social, hanno riposto speranza nel mio impegno che vuole riportare al centro del dibattito pubblico temi progressisti dei quali non si parla mai abbastanza. La soddisfazione più grande è stata portare a votare anche persone che non avevano mai votato il Partito Democratico e che hanno voluto premiare la persona a prescindere dal partito. Questo clima è stato possibile anche grazie al grande lavoro che i volontari hanno fatto ogni giorno, per me, raccontando il mio e nostro programma per le strade di Firenze: senza di loro il risultato non sarebbe stato lo stesso.

    Nel tempo, quella che ha creato su Facebook è una community reale e viva. Che rapporto ha con queste persone che spesso la vedono come un esempio?

    Un rapporto diretto. Sono l’unico a gestire i miei canali social e lo sarò sempre, anche se non riesco più a leggere e rispondere a tutti i messaggi e i commenti che ricevo, visto il gran numero… Ma non troverei più autentico il rapporto con chi mi legge se iniziasse ad essere filtrato da qualcuno: ho bisogno di vivere personalmente i miei spazi social, soprattutto su Facebook e Instagram, perché ormai sono una grande famiglia dove seminare idee e valori, provando a costruire qualcosa di buono nella società insieme a chi vuole starmi accanto ogni giorno. Non mi ritengo un esempio, mi ritengo una persona normalissima che ha qualcosa da dire per chi è disposto ad ascoltare, come ognuno di noi.

    Al di là degli schieramenti, cosa pensa della politica che vede o che ha visto negli ultimi anni?

    Credo ci sia molto da cambiare, ma credo anche che ci siano segnali più che positivi in questo senso: penso agli amici Elly Schlein in Emilia Romagna e a Pietro Bartolo al Parlamento Europeo. Dobbiamo tornare a dare voce e dignità alle storie degli ultimi, rimettendo al centro i diritti umani e le battaglie civili sicuramente scomode per qualcuno, ma necessarie.

    E la sua politica? Come deve essere?

    In direzione ostinata e contraria, accanto alle “Anime Salve” della società. E così cercherò di fare da consigliere regionale: il mio impegno è per tutte loro.

    Come pensa che si possa far passare il messaggio che un disabile non debba strettamente occuparsi dei diritti dei disabili?

    Sembra purtroppo un concetto difficile da far passare, perché le persone (in primis alcuni disabili) sono spesso “abiliste” senza rendersene conto, tendendo a rinchiudere gli altri in recinti o scompartimenti ben precisi. Ma una persona è una persona, punto: ognuno deve occuparsi di ciò che sa ma anche di ciò che vuole o che sente proprio, così al tempo stesso chiunque può (anzi, dovrebbe!) occuparsi di disabilità e di sociale se ne ha la sensibilità, e perciò se ne avverte l’importanza, a prescindere dal fatto che viva o meno una determinata condizione sulla propria pelle. Non mi risulta, infatti, che i volontari di Greenpeace siano delle balene! Io non mi sono candidato per rappresentare la categoria dei disabili, perché anche se non nego la mia malattia io non mi sento “un disabile”: sono una persona, un giornalista, scrittore, attivista, ora politico… sono tante cose. Mi sono candidato per i diritti di tutti, senza discriminazioni, e così vorrò procedere, per tutti. Che non vuol dire che non ci siano punti sulla disabilità nel mio programma (anzi, ce ne sono e anche di importanti), ma rifiuto l’idea di concentrarmi solo su quello per cinque anni, quando ho sempre portato avanti battaglie in difesa dei diritti umani e civili in modo trasversale e intersezionale.

    Le persone non sono la propria malattia: questo è un mantra che ricorre nelle sue dichiarazioni. Perché c’è bisogno di ricordarlo?

    Perché ciò che non conosciamo ci spaventa, e allora è più comodo affibbiare etichette agli altri, magari politicamente corrette, per rendere quel qualcosa meglio identificabile e quindi meno pauroso. Poi, diciamolo, c’è anche un aspetto “incoraggiante” in tutto questo: sottolineare che uno nasce “sfigato” in partenza non solo fa sentire migliore chi non lo è, ma toglie anche agli altri la responsabilità di migliorare la società, rimuovendo gli ostacoli affinché non rendano gli “sfigati” tali. Se iniziassimo a pensare che la disabilità riguarda tutti, avremmo un Paese accessibile e inclusivo nel giro di pochi anni. In realtà le persone con disabilità non sono la loro cartella clinica o la loro carrozzina, perché nessun normodotato è la sua cartella clinica o il suo paio di scarpe.

    Il pietismo: lo ha mai sperimentato? Cosa ne pensa al riguardo?

    Il pietismo e la compassione sono due atteggiamenti che riguardano quotidianamente una persona con disabilità, e credo siano le due malattie principali da dover debellare se vogliamo costruire una società pienamente inclusiva e paritaria. Quando impareremo a trattare le persone in quanto tali, andando oltre ciò che vediamo, senza pregiudizi e stereotipi, allora potremo dirci contenti. Ma finché una persona con disabilità sarà “un disabile” o peggio verrà vista come un “poverino” (in senso pietistico) o un “eroe” (in senso motivazionale, ma sempre pietistico), senza particolari motivi, ci sarà da lottare.

    Come si può combattere?

    Da un lato, raccontando la disabilità come condizione che riguarda tutti (pensiamo agli anziani col bastone, a un* ragazz* con delle stampelle momentanee o a un genitore col passeggino che, girando per la città, vivono le stesse difficoltà di un disabile in carrozzina), dall’altro non parlandone proprio (o meglio, evitando di rimarcarla) per rapportarsi all’altro come faremmo con qualunque altra persona, riconoscendone pregi e difetti.

    In riferimento anche al suo libro “Buonisti”, l’odio, invece? Come lo ha affrontato e lo affronta?

    Cerco di dare e raccontare il buon esempio, intanto, perché sono convinto che il bene generi sempre altro bene. E poi cerco di “fare cultura” e informazione, perché quando alle persone dai gli strumenti per conoscere, e quindi per non avere paura, automaticamente non hanno più motivo di odiare il diverso. Per chi continua ostinatamente a farlo, invece, credo ci sia poca soluzione, e in quel caso provo allora a ridimensionare l’altro, magari con una contro-narrazione leggera e ironica, molto funzionale se non altro per non farsi venire il fegato amaro.

    Quanta strada da #Vorreiprendereiltreno. Che impressione fa guardare ai tanti progetti realizzati negli anni?

    Alle volte non ci credo, sembra ieri che è nato il mio percorso online ma al tempo stesso abbiamo realizzato così tante cose che pare un’eternità. Sono soddisfatto di quello che, insieme a tante persone, sono riuscito a costruire nel sociale: abbiamo dimostrato che ognuno di noi può fare la differenza, a prescindere dagli strumenti che ha a disposizione, partendo da zero. Se sogniamo una società migliore, più inclusiva e per tutti, abbiamo il diritto e il dovere di rimboccarci le maniche e darci da fare per costruirla quella società. Noi ci abbiamo provato, ci stiamo provando, e dei piccoli passi in avanti sono stati fatti. Sul fronte lavorativo, poi, è stato un crescendo che mi ha portato a girare l’Italia intera, non solo fisicamente ma anche online, tra conferenze e presentazioni dei miei libri, permettendomi così di costruirmi un pubblico sempre più numeroso: una famiglia bellissima che oggi tocca quasi il milione. Tutto questo però non basta, c’è sempre da imparare e si deve sempre migliorare: farò tesoro di ogni esperienza, ricordando ogni stretta di mano o emozione, per provare a dare sempre il massimo di me stesso.

    Se si sfoglia l’elenco dei risultati della ONLUS, spesso ci si trova di fronte a cose così semplici che pare impossibile si sia reso necessario l’intervento di un’associazione. Perché la nostra realtà spesso “inciampa” su delle banalità?

    Burocrazia complicata e con tempi biblici, divergenze di opinioni e discussioni sterili, guerre tra poveri, mancanza di risorse economiche e incapacità nel fare rete e collaborare per una visione comune, motivando le persone… Sono tutte cose che spesso mancano e che difficilmente si hanno se non si ha chiaro il concetto che volere è potere, e potere è realtà quando si ha a cuore il bene comune. È sufficiente la buona volontà di cambiare le cose partendo dall’ascolto e dal mettersi nei panni degli altri, per comprendere e quindi agire nel modo corretto.

    Su questo, cosa si può fare secondo lei per cambiare alla base il modo di vedere le cose, guardare quindi oltre se stessi e dunque ai diritti anche degli altri?

    Ogni sera, davanti allo specchio, prima di dormire, mi chiedo se ho fatto qualche gesto carino, verso gli altri, durante la giornata trascorsa. Serve rimanere, ora più che mai, col cuore spalancato e gli orecchi dritti, attenti a tutto ciò che ci circonda, per non voltarci dall’altra parte e diventare complici di ciò che in realtà dovremmo combattere con tutti noi stessi.

    Lascia il tuo commento

    Non verrà mostrata nei commenti
    A Good Magazine - Newsletter
    è il contenuto che ti fa bene! Resta aggiornato sulle malattie digitali

    Ho letto e accetto le condizioni di privacy