Violenza nel settore sanitario: la situazione sta diventando preoccupante?

Dentro un fenomeno di cui stiamo sentendo sempre più parlare

Violenza professioni sanitarie

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    Studi, indagini, ricerche. Negli ultimi anni è balzato all’attenzione pubblica, e politica, un fenomeno che, ahimè, non ha niente di positivo. La violenza negli ambienti sanitari e socio-sanitari. Il tutto, probabilmente, acuito anche dalla pandemia che ha messo in ginocchio, come mai prima d’ora, uno dei settori più delicati e importanti della nostra società. 

    Studio INAIL

    Il 12 marzo scorso, giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari,  la Sovraintendenza sanitaria centrale dell’INAIL ha reso noti i dati relativi a un’indagine iniziata due anni prima. I risultati evidenziano come il settore sanitario sia tra i più rischiosi per aggressioni fisiche e verbali. Numeri a dir poco preoccupanti.

    2500 casi annui di violenza. Gli operatori più colpiti sono i tecnici della salute, gli infermieri e gli educatori professionali impegnati in servizi educativi e di riabilitazione. Numero minore, il 5%, dei medici che non comprende però i sanitari generici di base e i liberi professionisti, in quanto non inclusi nell’obbligo assicurativo INAIL.
    L’indagine consisteva in un questionario al quale hanno risposto 1.144 operatori del settore (45% medici, 44% infermieri). Il 40% dichiara di aver subito almeno un’aggressione. Il 27% più di una. Nel 91% dei casi, la violenza si manifesta in ambito ambulatoriale e nei centri medico legali, dove spesso l’utente vede il medico INAIL come antagonista alle proprie aspettative di merito.
    La maggior parte delle aggressioni arrivano da parte degli stessi assistiti (61%), seguiti dai familiari (21%). Gli artefici sono soprattutto di sesso maschile, l’85%.
    Il 33% dei professionisti che hanno subito un’aggressione ha risolto autonomamente, il 27% ha chiesto aiuto. Il 12% ha sporto denuncia all’INAIL, il 4% alle forze dell’ordine.

    Allargando lo sguardo, vediamo che delle 4.000 denunce annue di violenza in ambito lavorativo, il 60% proviene da professioni sanitarie e assistenziali.
    A tutto questo si aggiunge anche un silenzio che fa molto rumore: quello delle vittime. Sì, perché spesso episodi del genere non vengono denunciati. Ecco allora che i numeri sono assai più alti di quelli che abbiamo appena snocciolato, andando ad aggiungere un contorno scuro e ombroso a un disegno truce e violento.

    Altri studi sulla violenza nel settore sanitario


    Purtroppo sono ormai diversi anni che le professioni sanitarie e assistenziali sono sotto la lente di ingrandimento.
    Abbiamo in precedenza accennato di come la pandemia abbia amplificato questi comportamenti oltraggiosi e pericolosi, ma questo non vuol dire che prima del 2020 la situazione fosse idilliaca. Anzi. Tutt’altro.
    In uno studio di qualche anno fa, condotto in due centri di recupero di Padova, un ospedale universitario e uno pubblico (per un totale di 94 unità di varia tipologia) su un campione di 700 infermieri, ha mostrato dati in linea con quanto detto finora. Il 49% dichiara di aver subito violenza almeno una volta; 6 su 10 più di una. Nell’82% è stata verbale; fisica nel 4,8%; nel 16,6% dei casi entrambe.

    I dati registrati dal Nursind, il sindacato delle professioni infermieristiche, nel 2013 e nel 2017 mostrano come i numeri si siano sempre innalzati con l’andare del tempo. Nel 2013 fu sottoposto un questionario a 1.770 infermieri; nel 2017 le persone furono 5.000. Tutti aderirono spontaneamente. Siamo passati da 2.532 casi di aggressione a 6.053.
    Da questi stessi dati, emergono anche un paio di dati interessanti. Il 48,8% delle aggressioni sono ad opera di italiani. Nel 16,4% dei casi, si parla di stranieri. 

    Il sesso più colpito? Le donne, con una percentuale del 66%. Gli uomini la metà, il 34%.

    Numeri impressionanti, vero? Ma non è finita qui.

    In una ricerca fatta in una struttura del centro Italia, composta da un ospedale e da alcuni ambulatori, i numeri continuano a parlare la stessa lingua. Solito questionario. 670  operatori sanitari. Frequenza di violenza fisica del 9,2%, quella psicologica del 19,6%.

    Nel 2018, ANAAO/Assomed, sindacato medico italiano, ha condotto un’indagine su 1.280 medici. E anche qui, i dati sono portatori di una sola verità. Il 65% ha dichiarato di essere vittima di aggressione, nel 66,2% verbale, nel 33,8% fisica (dati che si impennano quando si parla di Sud o di Isole). I medici del Pronto Soccorso sono quelli più colpiti, quelli più a rischio: 80,2%. Sempre riguardo le aggressioni fisiche, particolarmente colpiti sono i medici di psichiatria/SERT (34,1%) e quelli, appunto, del Pronto Soccorso/118 (20,3%).
    Oltre il 50% dei rispondenti ignora che le aggressioni dovrebbero essere identificate come evento sentinella dalla propria direzione aziendale. Tra questi, il 18% sostiene che non vengono nemmeno riconosciuti come tali.
    Le cause delle aggressioni verso i medici coinvolti parlano di fattori socio-culturali, 37,2%, definanziamento del SSN, 23,4%, carenze organizzative, 20%, e carenze di comunicazione, 8,5%.

    Questi sono alcuni degli studi, delle indagini fatte per monitorare una situazione che, come abbiamo visto, non può che far riflettere. Le violenze ci sono, sono tante, sono spesso sotto gli occhi di altre persone, di colleghi, di pazienti. Sono ad opera degli utenti, dei familiari degli utenti. Persone che si aspettano qualcosa di diverso, sotto effetto di alcol o droghe, persone che approfittano soprattutto di donne per sfogare la propria frustrazione.
    C’è sicuramente la necessità di interventi strutturali da parte degli organi competenti, ma credo ci sia anche l’estremo bisogno di un cambio di rotta civico e civile, che spinga la nave verso lidi più sereni e pacifici.

    Fonti

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