Prendo un tè insieme a Andrea (nome di fantasia). Ovviamente davanti a uno schermo perché, si sa, il Covid ha cambiato, oltre alla nostra normalità, anche il modo di intervistare le persone.
Parliamo un po’ di tutto, io e Andrea: dell’università, di quello che ci piace fare, di quello che si studia. Ci riscaldiamo un po’ perché sappiamo di dover affrontare quell’argomento, prima o poi. E finalmente il momento arriva.
“E insomma, sì, sono intersessuale”.
“Ok. Però ho bisogno che mi aiuti a capire un po’ di più, che ne dici?”
Da dietro lo schermo Andrea annuisce e io capisco che è arrivato il momento di ascoltare ciò che mi vuole raccontare.
Che cos’è l’intersessualità?
“Lo sapevi che circa l’1,7% della popolazione mondiale ha i capelli rossi?”
“Perché mi dici questo, Andrea?”
“Perché è la stessa stima delle persone che nascono con tratti intersessuali”.
L’intersessualità è un termine ombrello che raccoglie tutte quelle caratteristiche che non rispecchiano i caratteri sessuali tipici del binarismo di genere maschile e femminile. Queste caratteristiche possono risiedere a livello cromosomico, di organi sessuali primari e secondari, di ormoni o nell’aspetto somatico del genere di una persona.
Si tratta di caratteristiche presenti fin dalla nascita, ma spesso buona parte di esse viene scoperta all’inizio della pubertà o in età adulta. Nonostante queste variazioni non siano una minaccia per la salute fisica, le persone intersex possono subire o aver subito pesanti medicalizzazioni per potersi conformare al genere sociale.
Proprio per questo l’intersessualità non è un orientamento sessuale né un’identità di genere. Proprio così, perché una persona intersex può essere omosessuale, eterosessuale, bisessuale o asessuale, così come può essere cisgender (ovvero a suo agio con il genere assegnato alla nascita) o transgender (ovvero con un’identità di genere diversa da quella assegnata alla nascita).
“Sai, mi è capitato molte volte che mi scambiassero per una persona transgender. Questo dimostra come ci sia poca chiarezza sulla giusta terminologia da usare”.
Quando hai scoperto di essere intersex? E che pronomi preferisci usare?
“Ho scoperto di essere intersex quando avevo 15 anni. Non avevo il ciclo, così io e i miei genitori abbiamo cercato di capire il perché. Sotto sotto sapevo di essere diversƏ dagli altri miei coetanei, solo che non ne capivo il motivo.
Prima mi definivo semplicemente come una femmina. Poi ho passato un periodo dove mi sentivo una femmina danneggiata. Purtroppo c’è ancora molta disinformazione anche in campo medico su questo argomento. Oggi utilizzo i pronomi femminili per abitudine, ma avendo un’identità non-binaria tendo a utilizzare anche pronomi maschili. In inglese sfrutto molto il they/them: è più facile così!” (ride).
Senti mai il bisogno di fare coming out con gli altri? Come viene vista l’intersessualità nella società?
“Parliamoci chiaramente: agli occhi degli altri, l’intersessualità non esiste. È tutto fortemente binarizzato per l’individuo medio ed è impensabile che esista una via di mezzo. Ma quando si prova a portare l’intersessualità al pubblico, si viene spesso liquidati come difetti genetici e deformità. Per questo non espongo mai la mia identità in contesti lavorativi o universitari. Sono poche le persone con cui mi sono apertƏ: tendo a tenermi tutto dentro a meno che non abbia la certezza di parlare con persone prive di pregiudizi. Di solito la comunità queer è un porto sicuro”.
Quanto è conosciuta l’intersessualità?
“Purtroppo è conosciuta pochissimo e ci sono molti falsi miti che ruotano intorno a queste idee. Una delle più grandi bugie è legata al fatto che se non viene fatto subito un intervento alla forma dei genitali, il/lƏ bambinƏ intersex diventerà omosessuale. Quando mai? Una persona intersex può scegliere qualunque orientamento sessuale al pari di una persona non intersex.”
Si sente spesso dire che se un bambinƏ intersex scopre di avere una parte del corpo di un genere diverso dalla propria identità di genere, questa informazione manderà in crisi la sua identità di genere. Purtroppo anche qui si pecca di mancanza di comunicazione. Spesso basterebbe semplicemente fare il giusto tipo di informazione per aiutare nel proprio percorso di accettazione la persona intersessuale, senza alcuna forzatura da parte di nessuno.
Eppure non è sempre così.
Spesso si parla di bambinƏ intersex che hanno subito molti interventi chirurgici: viene data loro la scelta di sottoporsi a essi?
“No, è una scelta che prendono i genitori. Se invece decidono di non fare niente, il/lƏ bambinƏ intersex potrà decidere da adulto se sottoporsi o meno a qualche intervento. Ma nella maggior parte dei casi non viene data scelta.
Questo perché non c’è molta informazione al riguardo. Esiste ancora un forte stigma intorno alle persone intersessuali: c’è la necessità di cambiarli e di farli rientrare nel binarismo di genere, come se si limitasse tutto a questo. Ma non è così.
C’è ancora la pratica molto comune di sottoporre i/lƏ bambinƏ intersex a interventi chirurgici e terapie molto invasive per conformare la loro fisionomia agli stereotipi sessuali di maschio o femmina. Io stessƏ ne sono un esempio.
Dopo aver avuto una diagnosi incerta da un genetista, sono statƏ al centro del Bambin Gesù di Roma, perché al Sud non c’è molto. L’esperienza fu pessima: i medici si rifiutavano di parlare con me e non mi volevano dare risposte. Mi hanno sempre fatto rimbalzare da un esame all’altro, tentando anche visite ginecologiche invasive senza il mio consenso: sono statƏ costrettƏ a una terapia ormonale femminilizzante a base di estrogeni.
Dopo due anni e mezzo dall’ultima volta che ho messo piede lì, mi sono messƏ in contatto con un centro genetico più vicino alla città dove mi sono trasferitƏ. E per ora sto aspettando notizie da lì.
Perché succede tutto questo?
Perché non esiste comunicazione né informazione su queste tematiche. I genitori non sanno come comportarsi e spesso nemmeno i medici. Spesso le persone intersex o le loro famiglie danno il consenso a eventuali trattamenti nonostante non abbiano ricevuto tutte le informazioni sulle possibili conseguenze a breve e a lungo termine (sia dal punto di vista fisico che da quello psicologico). Ci sono moltƏ adultƏ intersex che si sono sottoposti a questi interventi da bambinƏ e oggi si vergognano di quello di che sono: non si sentono rappresentati alla categoria di genere e di sesso in cui vengono inquadratƏ. E questo ha messo a tacere qualunque loro sofferenza. I traumi e le cicatrici che si portano dietro diventano poca cosa quando non vengono vistƏ per come sono”.
Secondo te come si potrebbe far conoscere di più l’intersessualità?
“Fare informazione e campagne di sensibilizzazione è l’unica cosa che mi viene in mente, ma la verità è che andrebbe riformato il sistema dalla base, a partire da quello medico che ci cancella. Anche fornire una giusta consulenza e sostegno psicologico, sociale e medico a persone e famiglie con esperienze simili può essere un buon inizio. Esistono moltissime associazioni che fanno attivismo: dovrebbe essere buona norma affiancarle a queste persone”.
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