Xenotrapianto: tra speranza e ridefinizione

Continua la sperimentazione del trapianto di organi dagli animali agli uomini. Ma con quali risultati?

Sala Chirurgica

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    Nel settembre del 2021 un team della New York University ha realizzato una delicata operazione su una donna, eseguendo il primo trapianto di rene di maiale su un essere umano.

    Si è trattato di un innesto su una paziente in stato di morte cerebrale, che sarebbe deceduta 54 ore dopo l’intervento, ma il funzionamento del rene dell’animale ha aperto le porte ad una maggiore sperimentazione di questa tipologia di trapianti.

    Così nel gennaio di quest’anno e considerando che i maiali sono ritenuti donatori ideali per l’anatomia assimilabile a quella umana, dei chirurghi dell’Università del Maryland hanno eseguito il trapianto del cuore di questo animale su un uomo, Alan Bennett, di 57 anni, sopravvissuto due mesi.

    Risultati incoraggianti che però, come affermato da Robert Montgomery, direttore del Langone Transplant della NYU, durante lo STAT Breakthrough Science Summit 2022, non devono farci dimenticare che se i trapianti di reni da uomo a uomo hanno una percentuale di successo del 95% ad un anno dall’operazione, è evidente che per raggiungere lo stesso risultato con lo xenotrapianto, ovvero il trapianto da animale a uomo, occorrerà ancora del tempo.

    La situazione attuale dei trapianti di organi

    Se dunque serviranno ancora sperimentazioni per raggiungere dei risultati paragonabili a quelli del trapianto umano, ‘le attuali percentuali di successo degli xenotrapianti sono “ingiuste” nei confronti’, ha sottolineato sempre Montgomery, ‘perché ignorano le migliaia di persone che muoiono perché non in grado di ottenere un trapianto. Mancanza dovuta all’insufficienza di organi’.

    Una carenza di cui Montgomery parla partendo dalla sua esperienza personale, legata a una serie di episodi di arresto cardiaco prima che riuscisse ad entrare nella lista di persone che aspettano la donazione di un cuore, ‘metà delle quali, nell’attesa, muore e non ha l’opportunità di vivere come me e mio fratello’.

    ‘Nel caso di malattie renali’, ha osservato l’immunobiologa dei trapianti della Columbia University, Megan Sykes, ‘gli 800.000 pazienti stimati negli Stati Uniti con malattia allo stadio terminale hanno due opzioni: un trapianto, che non è disponibile per molti, o la dialisi che non è una soluzione permanente’.

    Nel nostro Paese, come riportato dal sito dell’AIDO, ‘nel 2020 sono stati effettuati 3.441 trapianti, di cui 295 da donatore vivente, un calo del 10% rispetto agli anni precedenti (373 trapianti in meno rispetto al 2019), ma in linea con il 2015. […] Nel dettaglio i trapianti di rene sono stati 1.907 (-10,8%), quelli di fegato 1.201 (-7,8%), mentre i trapianti di polmone sono quelli che hanno avuto il calo percentuale più consistente (116, -24,5%). Sono stati sostanzialmente stabili i trapianti di cuore (239, -2,4%) e quelli di pancreas (42, stesso numero del 2019)’.

    Xenotrapianto: la sperimentazione umana 

    La storia dello xenotrapianto affonda le sue radici nell’inizio del secolo scorso quando il chirurgo francese Alexis Carrel iniziò una serie di ricerche sulla chirurgia sperimentale e il trapianto di tessuti e organi, che hanno poi portato (grazie all’innovazione medica) allo sviluppo di nuove tecniche.

    Evoluzioni che hanno quindi condotto nel 1954 al primo trapianto di rene e uno successivo nel 1963, in entrambi i casi negli Stati Uniti, per poi arrivare a quello di cuore del dicembre del 1967 in Sud Africa, con una importante svolta, negli anni ‘70, con la scoperta del farmaco immunosoppressore ciclosporina.

    Modello di sperimentazione di questa tipologia di trapianto sembra debba essere l’uomo su cui lo xenotrapianto può funzionare meglio rispetto alle scimmie da laboratorio, sia perché quest’ultime sono più piccole degli esseri umani e sono difficili da curare, sia perché sono sensibili alle terapie e non rispondono ad alcuni farmaci immunosoppressori che, viceversa, funzionano bene sull’uomo.

    Inoltre, come affermato da Insoo Hyun, direttore dell’Etica della Ricerca presso l’Harvard Medical School Center for Bioethics, ‘non saremmo in grado di dire ai pazienti l’esatta prognosi a meno che non ci occupiamo di casi umani, monitorandoli per un anno o due’.

    Lo stato attuale dello Xenotrapianto

    Come detto, per effettuare lo xenotrapianto, oltre ad avere un essere umano come soggetto per la sperimentazione, sono gli organi dei maiali quelli più adatti per questo tipo di operazioni.

    Attualmente l’azienda Revivicor ha contribuito alla modifica genetica dei maiali utilizzati con lo scopo di prevenire il rigetto degli organi, rendendoli quindi più sicuri per l’uomo.

    Gli scienziati hanno impiegato anni per mettere a punto e stratificare le modifiche ai geni animali ma è ancora una questione aperta quanta ingegneria genetica sia necessaria o se “meno è di più”.

    Se già l’utilizzo di organi di maiali suscita delle questioni di carattere etico, altrettante sono quelle legate al discorso delle mutazioni genetiche.

    ‘Vorrei che il campo della sperimentazione facesse un passo indietro e valutasse quanto sia preziosa (o dannosa) ogni modifica’ ha affermato la Sykes.

    ‘Se i suini di origine vengono allevati e alloggiati in condizioni di isolamento biosicure e svezzati precocemente dalla scrofa, la maggior parte dei microrganismi può essere eradicata dalla mandria’, spiega David K C Cooper in un suo studio pubblicato nel 2020. Però ‘il potenziale rischio di infezione da retrovirus endogeno suino (PERV) rimane sconosciuto ma è probabilmente piccolo’.

    In conclusione, tra i vantaggi dello xenotrapianto c’è anche sicuramente l’incremento della disponibilità degli organi impiantabili e il superamento della lontananza geografica tra il donatore e l’offerente, mentre tra gli svantaggi ci sono ancora quelli legati alle infenzioni e al rigetto. Inoltre permane la questione di carattere etico-religiosa che porta alcune comunità religiose, come i testimoni di Geova o gli Amish, a rifiutare “corpi estranei” all’interno del proprio.

    Lo xenotrapianto è infine sperimentato anche, come riportato da una pubblicazione su Nature Reviews Cancer del 20 gennaio 2017, per quanto riguarda la ricerca in ambito tumorale, come riportato sul sito di AIRC, per ‘identificare mutazioni che rendono il tumore sensibile o resistente ai farmaci, non solo quelli attualmente in uso, ma anche quelli sperimentali di ultima generazione’.

    Lo stato dello xenotrapianto è dunque in una fase di riflessione e costante sperimentazione. Una strada non semplice ma segnata anche da risultati incoraggianti, con l’obiettivo di raggiungere gli altissimi livelli del trapianto tra uomo e uomo.

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