Proteste per l’aborto in Polonia: perché riguardano anche noi?

Da ottobre 2020, la Polonia è attraversata dalle proteste contro una sentenza che impedisce alle donne di abortire. E in Italia c’è chi pensa che combattere per l’aborto sia ‘retroguardia’

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    Nelle settimane che ci siamo lasciate alle spalle, tra il vecchio e il nuovo anno, è infuriata la protesta, in Polonia e non solo, riguardo a una controversa sentenza che rende praticamente impossibile abortire alle donne polacche. Vi proponiamo un riassunto della vicenda con i tre motivi per cui questa storia non ci deve far abbassare la guardia e una panoramica della situazione italiana sul tema.

    Che non è proprio delle più rosee.

    Il caso

    A partire dal 22 ottobre 2020, in numerose città  della Polonia e nel mondo (compresa l’Italia) sono scese in piazza migliaia di persone in reazione alla sentenza della Corte Costituzionale che rafforza la legge sull’aborto nel Paese. Si tratta a tutti gli effetti di un potenziamento della legge del 7 gennaio 1993, già  molto restrittiva in materia, culmine della crescente spinta ecclesiastica partita nel 1989 in seguito all’elezione di Lech Walesa, leader del sindacato “cattolico” Solidarnosc.

    La sentenza ha reso illegale quasi tutti i casi di aborto, compresi quelli di grave malformazione del feto e in cui è messa in pericolo la vita della donna in stato di gravidanza. La protesta, la più grande del Paese dal 1989 (quella che, ironicamente, portò proprio al potere i cattolici), è stata affiancata da numerosi sostenitori, sia interni che esterni al Paese, e secondo i sondaggi condotti nell’arco di un mese dallo scoppio delle rivolte, tra il 54 e il 70% dei polacchi sono a favore dei manifestanti.

    Resta però più di un’ombra sulla legittimità  della sentenza. Amnesty International e Human Rights Watch, ad esempio, ritengono che sia una violazione dei diritti umani e riproduttivi, la Fondazione internazionale di Helsinki per i diritti umani ha affermato che ‘la sentenza costituisce un attacco senza precedenti ai diritti di donne, famiglie e alla libertà  individuale’ e dubbi sono stati espressi sulla nomina del Presidente del Tribunale costituzionale stesso, Julia Przylebska, e sulla sentenza, ‘sia formalmente che sostanzialmente viziata’ secondo il presidente del Consiglio supremo degli avvocati, Jacek Trela. Poche ma significative le reazioni a favore, a partire da quella del Presidente della Conferenza episcopale polacca, monsignor Stanislaw Gadecki, che l’ha definita ‘un cambiamento epocale’ e del Vicepresidente, Marek Jedraszewski, che ha espresso tutta la sua soddisfazione. Con buona pace della parte evoluta della società .

    Cosa hanno ottenuto fino a ora queste proteste?

    L’entrata in vigore ufficiale, lo scorso 27 gennaio, delle ulteriori restrizioni sull’aborto, nonostante mesi di contestazioni, non ha fatto altro che inasprire ulteriormente lo scontro e lo Strajk Kobiet, movimento che guida la protesta, assieme alle forze parlamentari di opposizione, ha avanzato una proposta di legge di iniziativa popolare che chiede, tra le varie cose, l’assistenza, senza giustificazione, fino alla fine della 12° settimana di gravidanza e anche successivamente con l’interruzione della gravidanza in caso di malformazione del feto o di gravidanza dovuta a una violenza.

    Nell’attesa, le realtà  che sono contrarie all’attuale situazione legislativa hanno fatto rete: dall’Abortion Dream Team, che fornisce assistenza telefonica, al Women’s Rights Center che si occupa di parità  di genere e contrasto alla violenza sulle donne, le forze in campo non mancano. Come anche la determinazione di chi sta combattendo una guerra giusta.

    Il dibattito in Italia 

    Per la Deputata Laura Boldrini il punto centrale della questione è la negazione della libertà  e dei diritti che sembra essere ‘l’obiettivo della destra, ovunque’, dalla Polonia alle Marche dove, ricorda, è stata boicottata la RU486 (di cui vi parlo più avanti).

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    Saviano sposta l’attenzione invece sull’Argentina dove il 14 gennaio è stata vinta la battaglia sul diritto all’aborto e il presidente Alberto Fernandez ha firmato la legge che prevede la legalizzazione, depenalizzazione e il riconoscimento del diritto all’aborto. Che sarà  legale, sicuro e gratuito fino alla 14esima settimana di gestazione. Per Marta Lempart, leader di Strajk Kobiet insieme alla scrittrice Klementyna Suchanow, il modello argentino è quello da seguire. L’attivista polacca ha dichiarato che, come nel Paese sudamericano, il suo movimento andrà  fino in fondo e che ‘la verità  prevarrà . Avremo regole legali e normali sull’aborto. Come in Argentina’.

    Tweet Roberto Saviano Prochoice argentina

    Non tutte le voci però sono a favore dell’aborto e delle battaglie che vengono combattute su questa tema. Simone Pillon, tra gli organizzatori dei tre Family Day (2007, 2015 e 2016) ad esempio, vede con l’aborto nella società  (argentina, ma il caso resta il solito) ‘più donne sole, e più bambini morti’ e si chiede quando ‘cominceremo a offrire aiuti veri alle gravidanze difficili’. Per lui c’è in ballo ‘il nostro futuro, e la nostra umanità’.  Mica pizza e fichi.

    tweet simone pillon aborto argentina

    L’opinione 

    Il caso della Polonia, pur stigmatizzato anche internamente, non ci deve far dimenticare i tre aspetti fondamentali di questa vicenda:

    • L’aspetto legislativo

    Di fatto, al di là  di quest’ultima discussa sentenza, c’è già  in Polonia una legge estremamente limitante in materia (la già  citata Legge del 7 gennaio 1993) che prevede l’aborto solo in casi estremi come la malformazione del feto, il pericolo di vita e la gravidanza in seguito a un abuso sessuale. Ora, secondo sentenza e la legge, solo nell’ultimo caso si potrebbe interrompere la gravidanza. Figuriamoci.

    • L’aspetto ideologico

    Davvero ai giorni nostri esiste una parte del mondo considerato culturalmente evoluto (potremmo farci notte su questa definizione e mi perdonerete la semplificazione), come lo è sulla carta la Polonia, in cui è necessario scendere in piazza contro il rafforzamento a una legge già di per sé, usando un eufemismo, discutibile? L’ideologia cattolica che la sostiene è un paletto allo sviluppo.

    • I diritti delle donne

    Non dobbiamo dimenticarci che il corpo nel dibattito in questione è quello femminile e il tema della gravidanza è materia che noi uomini non possiamo capire. Non possono certo essere leggi (magari fatte da maschi) a decidere del destino simbiotico fra una donna e il suo feto. Più in generale nessuna regola dovrebbe dire cosa fare a una persona del proprio corpo. Ricordiamocelo più spesso.

    E in Italia?

    Riportando lo sguardo tra le terre del nostro Bel Paese, l’occhio cade sulla legge numero 194 del 22 maggio 1978 che rese possibile, dopo una lunga battaglia, l’aborto in Italia. Una norma che però prevede al suo interno anche la possibilità da parte del ginecologo, di esercitare l’obiezione di coscienza, ovvero la possibilità di rifiutarsi a ottemperare un dovere giuridico in base a proprie convinzioni personali. Un passaggio normativo che però (fortunatamente) costringe il professionista, in caso ci sia di mezzo la vita della donna incinta, a portare obbligatoriamente a termine la procedura di aborto ma a cui si appella un numero impressionante di persone tra il personale medico.

    Secondo la ‘Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità  e per l’interruzione volontaria di gravidanza (legge 194/78)’ del Ministero della Salute, datata 15 ottobre 2014, ‘nel 2012 si evincono valori elevati di obiezione di coscienza, specie fra i ginecologi (69,6%, cioè più di due su tre) con una tendenza alla stabilizzazione, dopo un notevole aumento negli anni’, saliti al 71,2% nell’aprile del 2016 e cui si affianca il dato delle strutture: al 2017 solo il 59% degli ospedali italiani ha attivo il servizio di interruzione volontaria di gravidanza.

    Abortire in Italia: è sempre possibile?

    In un’inchiesta condotta dalla CNN (‘Abortion is a right in Italy. For many women, getting one is impossible’) e basata sui dati ufficiali del Ministero della Salute nel 2017, abortire attraverso l’interruzione volontaria di gravidanza in Italia è un diritto, come sancito dalle legge del 1978, ma è spesso un vero e proprio calvario.

    ‘In Italia’ riporta l’inchiesta in questione ‘il 68,4% dei ginecologi è “obiettore di coscienza”‘ e ‘in alcune parti del Paese, abortire può essere quasi impossibile, come nelle regioni del Sud, Molise e Basilicata, dove i ginecologi “obiettori” sono rispettivamente il 96,4% e l’88,1%’. L’articolo pubblicato sul sito dell’emittente statunitense segue in particolare il dramma di Emma, costretta a fare 300 km (dalla Campania fino al San Camillo-Forlanini di Roma) per poter abortire, mettendo a confronto al contempo le diverse motivazioni che spingono in gran numero ginecologi a rifiutarsi nel praticare l’interruzione di gravidanza. Che sia però perché ‘non entrano mai nel reparto dove vengono praticati gli aborti, durante il periodo di formazione’ (come sottolinea la Dr. Giovanna Scassellati del San Camillo) o per influenze politiche religiose, come sostiene la Dr. Silvana Agatone del LAIGA (Libera Associazione Italiana Ginecologi), il risultato non cambia e le difficoltà  restano.

    A peggiorare la situazione? Sicuramente quello che, come riporta ancora l’articolo della CNN, succede a Verona definita, letteralmente, ‘un laboratorio per il movimento anti-abortista’ e dove il Consiglio cittadino ha approvato una mozione per l’utilizzo di fondi pubblici per finanziare un programma anti-abortista che invita le donne a portare a termine la gravidanza, per poi dare il bambino in adozione.

    Ultime ma non ultime la squallida storia del cimitero dei feti, in cui donne che avevano abortito si sono trovate, contro la loro volontà , il feto seppellito con il loro nome e cognome su una croce, e la vicenda della Regione Marche che, nel dicembre 2020, ha espresso con determinazione la sua contrarietà  alla pillola abortiva Ru486 (la cui somministrazione fuori dall’ambito ospedaliero è dello scorso giugno), nonostante le garanzie del Ministero della Salute sulla sua sicurezza e quella del capogruppo di Fratelli d’Italia, Carlo Ciccioli, che ha definito la battaglia per l’aborto ‘retroguardia’, ritenendo che quella da fare oggi sia ‘quella per la natalità’ per non essere ‘sostituti da altre etnie’. Tutto questo per tacere dell’ancora più recente campagna pubblicitaria dell’associazione anti-abortista ProVita con una serie di manifesti comparsi il 5 febbraio scorso a Bari in cui si legge: ‘Il corpo di mio figlio non è il mio corpo. Sopprimerlo non è la mia scelta. #stopaborto’.

    Dicevamo della Polonia, giusto?

    Fonti

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