La teoria del genere è sempre più sotto la lente di ingrandimento, dai dibattiti politici a quelli religiosi. Ma cosa davvero sappiamo a riguardo?
Partiamo con il botto: non esiste alcuna teoria di genere o ideologia di genere. Sono definizioni, inventate da una classe conservatrice e dal mondo cattolico, che hanno, ahimè, preso campo per deformare e strumentalizzare gli studi, le ricerche e le rivendicazioni di diritti da parte della comunità LGBT (e non solo quella), traviando così il significato originale.
Studi di genere
É più appropriato parlare di studi di genere, ossia dello studio di come, nel tempo, si siano costruite le identità maschili e femminili. Il che è ben lontano dal negare le differenze corporee, ben lontano dal sostenere che ciascuno possa scegliere o inventare la propria identità e il proprio orientamento sessuale, come capita di sentire in televisione.
Ma andiamo con ordine.
La categoria ‘’genere’’ risale agli anni 50 e 60, quando nelle università americane si cerca di approfondire il tema sessuale, e le sue molteplici sfaccettature, in ambito psichiatrico, sociologico e antropologico. Da qui la divisione tra la parola sesso, dimensione corporea di una persona, e genere, percezione che ciascuno/a ha di sé in quanto femmina/maschio, ma anche la struttura sociale che si crea intorno a tale identità (ruolo di genere).
Ecco nascere un nuovo pensiero: ci può essere discontinuità tra il sesso con cui si nasce, la propria immagine e il ruolo stabilito all’interno della società.
Movimento femminista
Negli anni 70, sempre in America, ci fu un pensiero femminista assai radicale (nel senso etimologico del termine, alla radice) che approfondì gli studi per evidenziare come la categoria di genere fosse una costruzione sociale di sessi e di ruoli. L’identità maschile e femminile non è più data per natura, ma si trova ad essere socialmente costruita. Quindi ecco che la differenza biologica si trasforma in differenza di ruoli. In poche parole: gerarchia. Secondo il movimento è opportuno scollegare la propria identità dall’ordine sociale, mettendo fine al dualismo sessuale. Da questi studi è nata anche la rivendicazione per nuovi diritti sessuali, come riconoscere e accettare l’orientamento in cui ci sentiamo comodi, la difesa delle minoranze sessuali, il matrimonio omosessuale, la possibilità di adottare dei bambini.
Le accuse
Chi ha coniato la fantomatica teoria del gender afferma che esistono solamente maschi e femmine, che il sesso biologico, quello con cui nasciamo, è l’unica cosa che conta. L’identità sessuale non è qualcosa che si costruisce strada facendo, con le proprie emozioni ed esperienze, ma qualcosa che arriva e va accettato per come è. A seguire, accusa i sostenitori della teoria (inventata da loro stessi; contorto, eh?) di minare l’equilibrio naturale maschio/femmina. Il che sembra tutto assurdo se pensiamo che gli studi di genere sono nati semplicemente per capire come nel corso del tempo le differenze tra uomini e donne hanno creato una dinamica profonda nella nostra società, di come i loro ruoli siano stati creati nella cultura privata e di massa. E purtroppo la questione non si ferma in Italia. Le stesse accuse vengono mosse in tutte le parti del mondo, sempre dalla classe conservatrice. Messico, Colombia, Spagna, Polonia. Tanto per citarne alcune. Soffiare sul fuoco della disinformazione non è un gioco. È pericoloso.
Sensibilizzare
Non c’è cosa peggiore che avere un vasto pubblico a cui rivolgersi e parlare in maniera non appropriata. Per rispetto e onestà, le informazioni dovrebbero essere chiare, trasparenti, senza il fine di creare attrito. Anche perché in questa situazione, come in tantissime altre, si parla di esseri umani che spesso si trovano a vivere discriminati, bullizzati, derisi. Ed è proprio per questo motivo che diversi esponenti di una certa classe politica hanno cercato di proporre un progetto di sensibilizzazione, nelle scuole, verso le diversità. Nessuno sta sostenendo che non esiste più il genere maschile o quello femminile. Ma non è umano far sentire in colpa una persona perché non si trova a suo agio nel proprio sesso; è una cosa che va accettata, non discriminata.
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