Gerli: “il futuro delle malattie reumatologiche è nei farmaci biologici e nelle terapie personalizzate”

Roberto Gerli, nuovo presidente della Società Italiana di Reumatologia, sulle malattie reumatologiche: "la consapevolezza in Italia è molto scarsa".

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    La nomina a presidente della società italiana di Reumatologia è sul tavolo, mentre si rinnovano gli inviti per l’attività congressuale da riprendere quanto prima, Covid permettendo, in giro per l’Italia e nel mondo. Un impegno constante con lo studio, la ricerca e gli aggiornamenti che Roberto Gerli, già direttore della Reumatologia di Perugia e professore universitario nella stessa città, non manca di onorare quotidianamente. Convinto, più che mai, che la ricerca sia la chiave di svolta nella cura, totale, di certe patologie.

    La nostra intervista

    Professor Gerli, parliamo di malattie reumatiche. Cosa sono e quando è giusto contattare lo specialista?

    Vorrei specificare che il termine malattie reumatiche o, come vengono definite oggi “malattie reumatologiche”, secondo la nuova classificazione formulata lo scorso anno da una commissione di esperti della Società Italiana di Reumatologia (SIR), è molto generico. Esso comprende, infatti, sia patologie di minore rilevanza clinica sia affezioni molto importanti a estensione sistemica, che possono colpire organi vitali ed essere potenzialmente letali se non curate in modo adeguato. Nel percorso diagnostico iniziale è quindi fondamentale il ruolo del medico di medicina generale, che dovrà capire la necessità o meno di una visita specialistica. E capire di che tipo si debba fare. È doveroso chiarire che il reumatologo, come l’ortopedico, si interessa di malattie che coinvolgono principalmente l’apparato muscolo-scheletrico. La differenza tra i due specialisti è che il reumatologo è un medico internista, mentre l’ortopedico è un chirurgo-traumatologo. Pertanto, se abbiamo un dolore al ginocchio legato a un trauma, appare evidente che l’ortopedico è il primo professionista da contattare. Al contrario, se non sono chiare le cause del dolore, soprattutto se si sospetta un processo infiammatorio, se vi sono più articolazioni interessate o si associano altri sintomi non articolari, è preferibile avere un approccio diagnostico di tipo medico-internistico e quindi il reumatologo dovrà essere il primo riferimento.

    Possibili campanelli di allarme?

    Le malattie reumatiche sono numerosissime e non è facile dare delle indicazioni univoche che possano comprendere tutti i sintomi iniziali d’esordio di malattia reumatologica. Tuttavia, qualche anno fa la SIR, insieme alla Fondazione Italiana per la Ricerca sull’Artrite (FIRA), hanno formulato una sorta di decalogo che può essere utile per il riconoscimento iniziale delle principali malattie reumatologiche (lo trovi alla fine di questa intervista).

    Quando, queste malattie, diventano invalidanti e pesano nella vita di tutti i giorni?

    Una vita normale è molto difficile quando il dolore, soprattutto se infiammatorio, diventa cronico. Soprattutto quando limita le normali attività di vita quotidiana e riduce la possibilità di socializzazione del paziente, creando anche una progressiva riduzione del tono dell’umore. Ci sono problematiche che inevitabilmente possono insorgere nella vita familiare e di coppia, anche dal punto di vista sessuale.

    Quali sono più invalidanti?

    Ovviamente la rilevanza maggiore si ha quando si iniziano a creare danni permanenti alle articolazioni, che si possono creare piuttosto rapidamente come esito di un processo infiammatorio articolare (artrite), mentre sono molto più lenti ad instaurarsi quando la causa è una malattia degenerativa articolare, come nel caso dell’artrosi.

    Quante persone ne sono colpite in Italia?

    L’artrosi è una malattia molto diffusa ed una forma sintomatica, quindi dolorosa, con localizzazione a mani e/o ginocchio può colpire da 1-2 sino a 5 soggetti ogni 100 nella popolazione generale, con prevalenza decisamente più alta se vengono inclusi soggetti con patologia del rachide lombare o cervicale. La forma più frequente di malattia reumatologica infiammatoria cronica, l’artrite reumatoide, colpisce invece circa da 2 a 4 ogni mille soggetti adulti in generale, con una certa preferenza per il sesso femminile (le donne affette sono circa il 70% di tutti i pazienti).

    Ci sono nuove frontiere mediche?

    A partire dal terzo millennio si sono resi disponibili, soprattutto per il trattamento delle malattie infiammatorie croniche e su base autoimmunitaria, farmaci cosiddetti “biologici”. Sono derivati dal miglioramento delle nostre conoscenze sulla patogenesi di molte di queste malattie e la conseguente “costruzione” in laboratorio di agenti in grado di colpire selettivamente fattori prodotti dalle cellule coinvolte nel processo flogistico-autoimmune. Tali farmaci hanno modificato in modo sostanziale la prognosi di queste malattie, consentendo di ottenere nella grande maggioranza dei pazienti uno spegnimento dell’infiammazione e quindi di evitare i conseguenti danni articolari irreversibili. Ultimamente, a questi farmaci si stanno affiancando altre possibilità terapeutiche con agenti che riescono a bloccare la cascata infiammatoria esercitando un’azione di blocco direttamente a livello cellulare.

    La ricerca può ottenere di più? Se sì, in quale direzione?

    Come ho già sottolineato, negli ultimi anni ci sono stati degli enormi miglioramenti nella terapia delle malattie reumatologiche che non hanno forse uguali in altri settori della medicina, se si escludono le malattie oncologiche ed ematologiche. Ma il fatto di non aver ancora raggiunto l’obiettivo di ottenere il massimo risultato nel 100% dei pazienti sta spingendo a trovare ulteriori soluzioni. Osservare che ci siano dei pazienti con minore risposta o addirittura refrattari alla terapia, sta favorendo la ricerca nell’ambito della cosiddetta medicina personalizzata per tentare di individuare preventivamente i pazienti più idonei a determinati trattamenti e i fattori che possono ostacolare in ciascuno l’azione della terapia.

    Perché ci si ammala? Il sistema immunitario ha il suo peso?

    Esiste in molte malattie reumatologiche uno sfondo genetico che può predisporre allo sviluppo di una determinata patologia. Tuttavia, oggi sappiamo che tale maggiore suscettibilità non è sufficiente a far insorgere la malattia se non associata a fattori di altro genere. Il contesto ormonale gioca un ruolo come dimostrato dalla maggiore prevalenza nel sesso femminile in molte di esse e dall’influenza che può avere ad esempio la gravidanza per il loro decorso. Ma conosciamo ormai molto bene il ruolo determinante di fattori ambientali quali il fumo di sigaretta o ad esempio di alcune agenti microbici.

    Si possono prevenire le malattie reumatiche?

    L’accenno al fumo di sigaretta è un esempio di come si possa prevenire una malattia come l’artrite reumatoide, soprattutto in soggetti geneticamente predisposti. Si è dimostrato che la sospensione può impedire l’evoluzione di un’artrite conclamata anche se in genere sono necessari anni di stop prima di vederne l’effetto. In tale contesto, per i soggetti ad esempio che sanno di avere un familiare affetto da questa affezione, sarebbe quindi preferibile non fumare affatto. Ma se si pensa, ad esempio, a patologie artrosiche, diventa molto rilevante una prevenzione basata sul mantenimento di un normale peso corporeo, un regolare esercizio fisico, una corretta alimentazione e stile di vita.

    C’è consapevolezza, in Italia, di queste malattie o ci si rende conto solo quando se ne è colpiti?

    Purtroppo, la consapevolezza in Italia delle malattie reumatologiche è molto scarsa, soprattutto a livello politico-amministrativo in diverse aree del nostro paese, dove esistono gravissime carenze di Centri e di specialisti. Per questo la SIR sta promuovendo, anche in collaborazione e con l’aiuto delle associazioni dei pazienti, diverse iniziative per cercare di fornire una corretta informazione al fine di rimuovere e superare vecchi concetti basati sulla convinzione che tali malattie hanno marginale rilevanza e impatto nell’ambito sanitario globale.

    Il futuro della reumatologia è, quindi, nella ricerca?

    Certamente sì, come d’altro canto in qualsiasi ambito medico. Le carenze dal punto di vista assistenziale della Reumatologia italiana si scontrano con un elevatissimo impatto della ricerca reumatologica del nostro paese a livello internazionale, anche grazie all’impegno di giovani fortemente motivati e di altissima professionalità. Ciò dovrebbe rappresentare uno stimolo per far acquisire un ruolo preminente alla Reumatologia italiana anche dal punto di vista assistenziale, almeno alla pari di quello che rappresenta nella maggioranza degli altri Paesi europei.

    Dieci principali sintomi che possono far sospettare una iniziale malattia reumatologica

    • Dolore o gonfiore alle articolazioni delle mani o dei polsi che perduri da più di tre settimane;
    • Rigidità articolare che dura per più di un’ora immediatamente dopo il risveglio;
    • Gonfiore improvviso di un’articolazione senza che vi sia stato alcun trauma;
    • Nei soggetti giovani, dolore di tipo lombo-sciatalgico, intermittente, che scende sino al ginocchio e che aumenta con il riposo e diminuisce quando si fa attività fisica;
    • Sbiancamento delle dita a causa di temperature climatiche basse;
    • Sensazione di secchezza o sabbia negli occhi, associata a secchezza della bocca e dolori articolari o muscolari;
    • Arrossamento del viso che peggiora a seguito dell’esposizione ai raggi solari, associati a dolori articolari;
    • Nei soggetti oltre i 50-60 anni, improvviso e forte dolore alle spalle e/o alle anche con difficoltà ad alzare le braccia o alzarsi da una poltrona, generalmente accompagnato da calo di peso e mal di testa;
    • Nelle donne in post-menopausa o in soggetti che assumono cortisonici, dolore improvviso alla schiena dopo uno sforzo o il sollevamento di un peso;
    • Comparsa di dolori articolari, al tallone o alla colonna vertebrale in un paziente con psoriasi o con familiari affetti da questa malattia

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