Mobilità sostenibile: in Italia, si può

L’emergenza sanitaria sembra aver accelerato i tempi per una rivoluzione green che nel nostro paese stenta ancora a decollare. Ma per garantire il distanziamento sociale, qualcosa (forse) sta cambiando.

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    Il mondo dei trasporti è sempre in movimento e mutua la propria offerta in funzione dell’evolversi delle esigenze dell’utenza. Non solo: anche la recente emergenza sanitaria ha ridisegnato nuovi scenari in questo campo.

    Gli ultimi anni hanno fatto registrare cambiamenti veri e propri del concetto stesso di mobilità e, di conseguenza, hanno iniziato a cambiare le nostre città e le infrastrutture nonché le prospettive del trasporto pubblico e della mobilità condivisa. Anche il possedere un automobile ha dovuto affrontare due grandi sfide: l’aumento dei costi di tenuta e manutenzione e le restrizioni all’uso dei veicoli per motivi ambientali. Entrambi i fattori hanno modificato la modalità di approccio verso l’automobile: dal car sharing, l’auto condivisa, al “noleggio-lampo” per spostamenti brevi in città, fino al ride sharing “on demand”, in cui le vetture vengono prenotate mediante app, e al car pooling, ossia l’uso condiviso di auto private tra due o più persone che percorrono uno stesso itinerario, senza finalità di lucro.

    Riduzione dei costi, rispetto del territorio e dell’ambiente, attenzione alla salute del cittadino sono quindi i perni su cui sta ruotando questa silenziosa rivoluzione green che da una mobilità a benzina si sta lentamente ma progressivamente spostando verso una mobilità elettrica o, più in generale, sostenibile. Che, tradotto, significa maggiore risparmio e minore inquinamento.

    Il Covid-19 ha poi ovviamente allungato i suoi lunghi tentacoli anche sulla mobilità segnando un ulteriore balzo in avanti del settore tanto che, per motivazioni legate all’aspetto sanitario – evitare assembramenti sui mezzi pubblici – il Governo ha promosso misure volte a contenere il traffico nelle città maggiori a causa della limitata efficienza del trasporto pubblico nel periodo post pandemia. Il “Bonus Bici” o “Bonus Mobilità”, si legge nelle Faq sul sito del Ministero dell’Ambiente (www.minambiente.it/bonus-mobilita), è «un contributo pari al 60 per cento della spesa sostenuta e, comunque, in misura non superiore a euro 500, per l’acquisto di biciclette, anche a pedalata assistita, nonché veicoli per la mobilità personale a propulsione prevalentemente elettrica (ad esempio monopattini, hoverboard e segway) o per l’utilizzo di servizi di mobilità condivisa a uso individuale esclusi quelli mediante autovetture». Possono usufruire del buono mobilità per l’anno 2020 – si legge ancora sul sito – «i maggiorenni che hanno la residenza (e non il domicilio) nei capoluoghi di Regione (anche sotto i 50.000 abitanti), nei capoluoghi di Provincia (anche sotto i 50.000 abitanti), nei Comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti e nei comuni delle Città metropolitane (anche al di sotto dei 50.000 abitanti)».

    Al di là comunque dell’aspetto economico e del fatto che oggi possa notevolmente convenire acquistare un mezzo a due ruote, spostarsi in bicicletta ha degli indubbi vantaggi sulla salute. Naturalmente si può fare benissimo attività fisica a casa e ci sono anche app e videogiochi che possono aiutarci in questo, e oltre a questo c’è la buona e vecchia camminata ma la bici ha un fascino tutto suo, a cui è difficile resistere, ed è un fascino che può farci molto bene. Come e perché lo vediamo adesso.

     

    I benefici dell’utilizzo delle due ruote (classiche e a pedalata assistita)

    La bicicletta è amica della nostra salute: utilizzarla con costanza, infatti, è un ottimo modo per dimagrire poiché, aumentando la massa muscolare aumenta anche il consumo di calorie e, di conseguenza, anche la perdita di peso. Inoltre, tonifica le gambe, rinforza la muscolatura e, promuovendo il rilascio di endorfine, giova notevolmente all’umore. La bicicletta, inoltre, non aiuta solo a perdere peso in modo sano ma riduce del 50% il rischio di malattie cardiovascolari – rispetto a soggetti meno attivi – e aumenta il volume polmonare. Infine, poiché la pedalata è un tipo di movimento che non sollecita eccessivamente le articolazioni (il peso corporeo infatti viene scaricato per il 60-75% sulla sella della bicicletta, alleggerendo in questo modo il carico sugli arti inferiori), la bicicletta si presta ad essere utilizzata da chiunque, compresi soggetti poco allenati o in sovrappeso.

    E per gli scettici che ancora credono che l’e-bike sia solo la versione più “comoda” della tradizionale bicicletta arriva la conferma, direttamente da uno studio universitario condotto dall’Università di Zurigo e poi pubblicato dal “Transportation Research Interdisciplinary Perspectives Journal”, che pedalare in e-bike sia addirittura più salutare che andare con la bicicletta canonica. La ricerca ha preso in esame le abitudini di più di 10.000 adulti in sette diverse città europee ed ha dimostrato, appunto, che usando una e-bike si farebbe più esercizio fisico rispetto all’utilizzo di una normale bicicletta senza nessuna forma di assistenza semplicemente perché chi usa una e-bike tende ad utilizzarla mediamente per più ore a settimana e, di conseguenza, anche se lo sforzo per la pedalata è minore, il tempo di esercizio complessivo è superiore. In e-bike, oltretutto, si coprono distanze più lunghe che in bicicletta; questo perché un e-biker fa meno sforzo per singolo chilometro rispetto a un normale ciclista, ma percorrendo più chilometri spende più energia nel computo finale.

     

    L’Italia è pronta per la rivoluzione su strada?

    Ribadito il concetto della salubrità della pedalata (assistita o meno), resta da capire se il nostro paese si presti davvero ad accogliere, in sicurezza, orde di ciclisti. Ovvero: l’Italia è pronta per una diversa mobilità?

    Frequentemente si è discusso – e discute tutt’oggi – in quale misura le amministrazioni locali debbano essere coinvolte nell’urbanistica di città e raccordi interurbani al fine di migliorare la mobilità sostenibile delle stesse. Sebbene il processo di sperimentazione di nuovi sistemi di trasporto sia nel nostro Paese abbastanza lento, sono sempre più frequenti i tentativi per cercare di capire in che modo possono essere cambiate le reti di servizi che usiamo quotidianamente, come strade e piste ciclabili.

    Alcune città italiane, per rispondere alle nuove richieste in tempo di Covid-19 e disincentivare l’utilizzo delle auto, si stanno organizzando per semplificare l’attuazione di nuove piste ciclabili e di Bike Lane, ovvero corsie riservate alla mobilità green. Per citare qualche esempio, a Milano e a Firenze sono previsti 23 km di nuove piste ciclabili entro l’estate (entro fine anno altri 35) e altri 10 km provvisori e zone 30, anche in periferia. Anche Genova si è attrezzata con 4,8 nuovi km di ciclabile in Corso Italia e altri 5,67km in fase di studio (l’intenzione è affidare i lavori a inizio 2021 e farli partire nel successivo mese di marzo). A Roma, poi, c’è gran fermento per dotare la città di un’efficiente rete di percorsi ciclabili: tra i cantieri già partiti anche quelli per la nuova pista sul Lungotevere Testaccio. Passerà per Ponte Sublicio, si ricongiungerà al percorso esistente e arriverà da Lungotevere Aventino alla Bocca della Verità. Anche Siracusa, ha dato il via libera per la realizzazione di circa 23 chilometri di piste che connetteranno le zona periferiche e più popolate della città con la pista ciclabile “Rossana Maiorca” e con il centro storico fino a Ortigia.

     

    Città e bici: il caso dell’Emilia Romagna

    Ben 150,29 km di piste ciclabili, che corrispondono a circa 1,14 m per abitante. Non è un caso, quindi, che ad ogni accesso della città si trovino cartelli recitanti “Ferrara città delle biciclette”, posizionati dopo l’adesione alla rete europea delle città amiche della bicicletta (“Cities for Cyclist”). Ferrara si è meritata, nel tempo, questo appellativo un po’ per l’atmosfera rilassata di cui è pervasa, un po’ per lo scarso traffico automobilistico del centro storico, un po’ perché è ricca di spazi vivibili ed ha un patrimonio culturale che si fa ammirare e scoprire in modalità “slow”. Questa consapevolezza ha convinto le amministrazioni comunali a dedicare a coloro che si muovono in bicicletta numerose iniziative: la città storica è considerata spazio privilegiato per le due ruote e l’esterno città è dotato di piste ciclabili, percorsi e sentieri.

    Ma la città degli Estensi non è l’unica oasi felice dell’Emilia Romagna, regione che anzi si dimostra particolarmente virtuosa sul fronte mobilità a due ruote. Reggio Emilia, ad esempio, con un totale di 194,53 km di piste ciclabili e ben 1,13 m per abitante si piazza al secondo posto – dietro, appunto, a Ferrara – in questa particolare classifica promossa dal motore di ricerca per case vacanza “Holidu” sulle città italiane con la più alta densità di ciclovie, mentre Modena si aggiudica la medaglia di bronzo con 1,07 metri per abitante e un totale di 198,34 km di piste ciclabili. Le altre città in classifica sono Bolzano e Trento, Parma e Forlì (ancora Emilia Romagna, quindi), Padova, Venezia e Piacenza. Esiste però anche un’altra ricerca, realizzata da FIAB (Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta), in cui, regione per regione, sono stati censiti i comuni ciclabili. Se nelle prime posizioni non troviamo nessuna novità rispetto alla classifica di “Holidu”, quindi con Emilia Romagna, Trentino e Veneto che si dimostrano assai virtuose, restano al palo Calabria, Sicilia e Lazio con un solo comune ciascuno veramente bike friendly.

     

    Conclusioni  

    «Con il Decreto Rilancio – ha dichiarato in una nota sul sito ufficiale il Presidente della Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta (FIAB), Alessandro Tursi – anche il Governo fa la propria parte nella rivoluzione bici che sta avvenendo in questa Fase 2, che vede un profondo cambio culturale dell’opinione pubblica e un coraggio senza precedenti di tanti amministratori locali». L’auspicio di FIAB – e non solo – è che il lavoro di tantissimi sindaci e assessori non venga frenato dai tecnici del Ministero dei Trasporti.

    Quindi, mentre il resto del mondo si muove a ben altri ritmi – tantissimi sono infatti i paesi nel mondo che già da anni stanno investendo sulla mobilità sostenibile, per garantire risparmio, maggiore efficienza e meno inquinamento – l’Italia sembra essere ancora indietro seppur il comparto del cicloturismo, ad esempio, goda notevolmente di ottima salute. Secondo i risultati del rapporto 2020 Isnart-Unioncamere e Legambiente sulle tendenze e l’economia del cicloturismo, infatti, sono stati ben 20,5 milioni i pernottamenti di cicloturisti italiani nel 2019, e sarà possibile raggiungere i 26 milioni nel 2020. Il cicloturismo potrà essere protagonista della prossima stagione estiva all’insegna della nuova normalità in epoca Covid 19.

    Fonti

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