Comunicare bene la ricerca scientifica con il visual thinking

Nasce un corso pensato per ricercatori e giornalisti scientifici, insegna come utilizzare le immagini per rappresentare idee e concetti e raccontare efficacemente gli studi

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    DiCO – Disegno della Conoscenza è il nome del percorso promosso da CIFLA, il Centro per l’Innovazione della Fondazione Flaminia di Ravenna, che si rivolge a ricercatori e professionisti che devono comunicare la ricerca, concetti, idee. Obiettivo per i partecipanti: migliorare la capacità di presentare i propri progetti a finanziatori, stakeholder e cittadini.

    Tra gli insegnamenti ci sono il design e il visual thinking, due approcci innovativi che consentono di pensare e disegnare prodotti e servizi in modi diversi da quelli tradizionali. Per saperne di più, abbiamo intervistato Alessandro Bonaccorsi, docente del modulo “D-Visual: Visual thinking, Data Visualization, Graphic Design, Il pensiero visivo per migliorare la consapevolezza e la comunicazione dei progetti”.

    Quali sono i gap della ricerca scientifica nella comunicazione?

    “I ricercatori fanno difficoltà a presentare i propri progetti e spesso sono loro stessi a rendersene conto. Il ricercatore è quasi sempre concentrato sul processo, sull’idea e mai sul risultato, sull’utilità che dà. Non pensano in modo visivo, spesso parlano soprattutto tra di loro con il rischio di essere autoreferenziali: quando devi far andare avanti una ricerca devi aprirti, saper comunicare bene al tuo pubblico il risultato che stai cercando di ottenere. Oggi poi c’è un forte bisogno di produrre graphical abstract, perché le riviste di ricerca più importanti richiedono quasi sempre una sintesi visiva del progetto. Le immagini della scienza, poi, sono spesso troppo tecniche e alle persone comuni sembrano macchie di colore; anche se ci si avvale di un’agenzia di comunicazione è necessario saper “disegnare”, avere un’idea visiva per descrivere il progetto a chi non ne sa nulla”.

    E il corso come può aiutare in tal senso?

    I partecipanti impareranno a comunicare in modo efficace il valore della ricerca. Capiranno come presentare un progetto, fare un pitch, quindi anche fondamenta di public speaking. Il corso è ibrido, con una parte online e una fisica; le persone lavoreranno anche su risultati pratici, tangibili, come brochure, graphical abstract e discussioni dal vivo. Potranno capire come sintetizzare le idee”.

    A chi si rivolge il corso?

    “Ci rivolgiamo alla ricerca in senso lato, quindi anche alla ricerca sociale. Il percorso è molto innovativo, è stato confezionato affinché fosse adatto a chi fa ricerca non solo universitaria, ma anche aziendale e tecnologica”.

    Il visual thinking e il design thinking come possono aiutare la ricerca?

    “Si tratta di un approccio che permette di ascoltare l’utente finale, di mettersi nei panni dei destinatari dei risultati della ricerca. Sono linguaggi sempre più usati a livello aziendale – anche se ancora poco in Italia – che stanno cambiando il modo di progettare. Consentono progetti partecipati, con un coinvolgimento più ampio, e fanno sì che si possa comunicare in modo efficace anche agli intermediari: ai distributori, ai partner, ai clienti (o pazienti) finali. La parte visiva fa memorizzare le cose e aiuta tutti a immaginare meglio i risultati. Il mondo scientifico di alto livello usa già tantissimo questo modello. Un esempio, chiedersi: voglio solo vendere un farmaco oppure occuparmi del paziente, della sua esperienza?

    Queste tecniche costringono il ricercatore a produrre delle basi per la comunicazione, a progettare, disegnare e persino pensare in modo diverso. Non tutto è demandato al responsabile del marketing o all’istituto di ricerca che recupera i fondi, ma è lo scienziato stesso che saprà spiegare meglio le cose per ottenere l’attenzione che serve. Insomma, sono approcci che aiutano a cambiare mentalità e a rispondere alla grossa esigenza di questioni visive legate alla scienza”.

    Ci fai qualche esempio di visual science? 

    “Il mondo anglosassone riesce a farsi molto spazio a livello mondiale grazie alla visual science, basti pensare alla parte visiva legata al coronavirus: praticamente tutti hanno potuto comprendere com’è fatto visivamente il virus, come funziona la malattia, come si diffonde e si riproduce. È stato un vero e proprio esperimento mondiale sul tema.

    La scienza ha fatto passi da gigante proprio con la visualizzazione: l’albero di Darwin è stato una metafora azzeccata per far capire alle persone che gli esseri viventi sono legati da radici comuni, per non parlare della struttura a doppia elica del DNA riprodotta da Watson e Crick nel ‘53, tutti sanno di cosa parliamo e potrebbero disegnarlo. E Galileo, poi? Un’idea visiva collega al cervello molti concetti”.

    Come ci ricorda Bonaccorsi, infatti, saper rappresentare i risultati di una ricerca scientifica è necessario per raccontarla al mondo dei non addetti ai lavori, ai finanziatori di progetti, ai cittadini. I ricercatori per loro fortuna sono già immersi in un mondo visivo estremamente attrattivo per chi è fuori – laboratori, immagini al microscopio. Resta solo da sintetizzare le idee e disegnarle. Letteralmente.

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