Cri du chat: la sindrome del grido di gatto

Abbiamo incontrato la presidente dell’Associazione A.B.C. che segue e sostiene la ricerca su questa malattia rara e raccolto la testimonianza di quattro mamme con figli affetti dalla sindrome

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    A dispetto di un nome che suona quasi melodioso, la sindrome di Cri du Chat è una malattia genetica rara il cui studio, in Italia, ha mosso i primi passi agli inizi degli anni ’90 quando mamma Maura, non volle arrendersi alla glaciale diagnosi medica secondo cui il suo bambino, appena nato e affetto da questa “nuova” sindrome, sarebbe rimasto un vegetale. Oggi il suo bambino – Timothy –  è un ragazzo di 29 anni, non è assolutamente un vegetale e lei è presidente e fondatrice dell’Associazione A.B.C. – Associazione Bambini Cri du Chat che dal 1995 opera per raccogliere e condividere quante più informazioni possibili sulla sindrome. Perché è stata proprio la scarsità delle informazioni sulla malattia ricevute al momento della diagnosi su Timothy la molla per indagare a fondo la malattia. E se oggi sulla Cri du Chat si sono fatti progressi, se esiste un Comitato Scientifico per indagini scientifiche e terapeutiche oggi presieduto dal Dr. Andrea Guala, primario di pediatria all’Ospedale di Verbania e allievo della Prof. Paola Cerruti Mainardi, pioniera nello studio della malattia in Italia e innovatrice nel metodo di indagine genetica, che già dagli anni ’80 aveva avviato il Registro Italiano della Sindrome, lo si deve proprio alla caparbietà di Maura. Capofila del movimento mondiale PLANET 5P-, il progetto di collaborazione internazionale fra famiglie, medici, terapisti, ricercatori di cui A.B.C. è parte integrante, l’Associazione si propone di garantire un adeguato aggiornamento sulle nuove conoscenze scientifiche-terapeutiche sulla sindrome per mettere fine all’isolamento delle famiglie che ci convivono e per sensibilizzare opinione pubblica, medici e scuola al fine di migliorare l’assistenza a questi bambini.

    Sindrome Cri du Chat: cos’è?

    La Sindrome del Cri du Chat (SCdC) è, come detto, una malattia genetica rara dovuta alla delezione di parte del cromosoma 5. Individuata dal medico francese Jerome Lejeune nel1963, ha l’incidenza di un caso ogni 50.000 nati vivi. La perdita di materiale genetico comporta alterazioni a livello somatico, problemi medici, problemi neurologici, ritardo di crescita, dello sviluppo psicomotorio e del linguaggio, con una alta variabilità individuale. La presenza della sindrome si annuncia, alla nascita, con un pianto acuto e flebile simile ad un miagolio che ha dato il nome alla malattia. Al di là degli aspetti genetici, l’ambiente, la stimolazione e la terapia precoce possono modificare in maniera rilevante l’evoluzione dello sviluppo psicomotorio. E’ stimato che in Italia ci sono circa 300 affetti dalla Sindrome. Circa la metà fa parte dell’Associazione A.B.C.

    Cri du Chat: le storie

    Sara

    Piera è la mamma di Sara, una ragazza di 15 anni e ci racconta che il decorso della sua gravidanza è stato “quasi” normale: “la bimba cresceva sia in lunghezza che in peso – ci dice – ma la circonferenza cranica e le dimensioni del cervelletto non erano “standard”, seppur non allarmanti, il liquido amniotico era tanto, ma non da essere definito troppo, e io, a parte il diabete gravidico, godevo di ottima salute”.

    Poi, un taglio cesareo d’urgenza oltre la 41esima settimana e quel “pianto flebile, simile al miagolìo di un micino appena nato”.  Le difficoltà di suzione, la testolina di una forma strana, i giorni in terapia intensiva neonatale, un rantolìo anomalo dalla gola e la consapevolezza che qualcosa non andava. I dubbi vennero fugati una volta a casa con una telefonata: “Signora, ci dispiace – ricorda Piera – i risultati delle analisi rivelano una aberrazione genetica, la faremo contattare dal genetista dell’ospedale. Ero sola in casa con la bambina. Se si potesse paragonare la sensazione che mi prese alla bocca dello stomaco con qualcosa di noto sarebbe una mazzata con la mazza chiodata”.

    Anche a Piera, così come a Maura nel 1991, venne prospettata la possibilità che la sua bambina sarebbe diventata un vegetale: “non camminerà, non parlerà, non sarà mai autonoma in niente, svilupperà capacità cognitive bassissime. Nel salutarci, il pediatra ci raccomandò anche di non perdere tempo dietro a siti, gruppi e associazioni, perché ne saremmo usciti ancora più confusi”.

    Il genetista, invece, “ribaltò” la sentenza del primo dottore: non garantiva che Sara avrebbe mai camminato o parlato, ma rincuorò Piera e suo marito su prospettive di qualità di vita buone, la bambina avrebbe potuto arrivare a livelli di sviluppo cognitivo simili a quelli di un bambino di sei anni. Fu il cognato di Piera a trovare in rete A.B.C. “Mandai una lettera di presentazione, chiesi aiuto. Il giorno stesso venni contattata da Maura Masini e non mi sentii più sola. Alla prima occasione di raduno di famiglie fummo invitati a partecipare. L’incontro con il Comitato Scientifico dell’Associazione – pedagogisti, fisioterapisti, psicologi, foniatri, psicomotricisti, capitanati dall’impareggiabile dottoressa Cerruti Mainardi, primaria del reparto di genetica del sant’Andrea di Vercelli – è stato fondamentale. Loro sono stati il ramo a cui ci si aggrappa mentre si viene trascinati dalla corrente”. Com’è la convivenza con la sindrome di Sara? “A convivere con la sindrome si impara per gradi. Bisogna stare sempre con gli occhi ben aperti, tenere contatti “educati” con la scuola, il centro di riabilitazione, l’educatrice domiciliare, i responsabili di eventuali attività sportive… Ora Sara ha quasi 15 anni e stiamo affrontando le criticità di quest’età particolare e il rapporto complesso col fratello minore (13enne) che ancora non si dà pace sul perché gli sia capitata la sorella “difficile”. Sono tanti, troppi, gli elementi su cui fare attenzione ma fortunatamente l’associazione continua a camminare al nostro fianco e si è creata una bella rete tra le famiglie, uno scambio quotidiano di consigli ma anche l’occasione per sfogarsi e gioire per ogni traguardo raggiunto”.

    Virginia

    Virginia, quattordici anni, è la primogenita di Ginevra e Moreno. Mamma e papà hanno saputo della malattia appena Virginia è nata. Nessun sentore che potesse esserci qualcosa che non andava, la gravidanza era stata bellissima. “Il primo istinto dopo la diagnosi – racconta Ginevra – è stato quello di andare su Internet e vedere di che cosa si trattasse, ma è stato un errore. Ciò che abbiamo visto e letto in rete ci ha destabilizzato ancor di più. Sono stati mesi di pianti e paure. Ci ho messo tanto tempo ad accettare la malattia di nostra figlia e un aiuto fondamentale è arrivato dall’incontro con l’associazione, contattata grazie anche al supporto dell’ospedale Versilia dove avevo partorito”. Anche nella famiglia di Virginia la sindrome ha rotto con prepotenza gli equilibri. “La vita cambia totalmente perché devi intraprendere un percorso a cui non eri assolutamente preparata: terapie, ginnastica, programmi, visite mediche continue. Anche il rapporto di coppia ne risente inevitabilmente perché le priorità diventano altre”. Come si convive con la malattia? “Piano, piano impari a organizzare la tua vita, impari ad essere più forte e ad avere più coraggio: per i propri figli si fa tutto”. Certo, la paura rimane – soprattutto la paura del “dopo”, la paura di lasciare da sola una bambina con dei problemi – ma Ginevra, mamma di altri due bimbi oltre a Virginia, ha trovato il buono anche in quest’esperienza: “mi sono arricchita, ho capito quali sono le cose importanti della vita. Non hai proprio tempo o spazio per le futilità”. Virginia, oggi, è una bambina sorridente, allegra e felice che lavora tantissimo per migliorare le sue capacità comunicative. Fa ginnastica tutti i giorni due ore al giorno, rispetta le regole e man mano che cresce è sempre più forte. “È una bambina che illumina la nostra vita – spiega Ginevra – e che se non ci fosse io non sarei quella che sono”. L’ultimo pensiero va all’Associazione: “Se Virginia è cresciuta bene è anche perché A.B.C. è stata – ed è tutt’ora – un punto di riferimento importante”.

    Samuele

    Samuele, 6 anni, è il piccolo ometto di mamma Laura che affronta la malattia del suo bimbo come una missione. Fondamentale, anche nella storia di Laura, l’incontro con l’Associazione. “Le terapie che ci sono state consigliate dal Comitato Scientifico si sono rivelate indispensabili e il sapere che c’era una possibilità di miglioramento per Samuele, sapere che c’era qualcosa che io in primis come mamma potevo fare, sapere di avere qualcuno che sapesse cosa fare con i nostri bimbi è stato di grandissimo aiuto”. La malattia ha avuto un impatto fortissimo: “ammetto – ci confida Laura – che lo shock non è stato ancora superato e, probabilmente, non ho ancora accettato del tutto il fatto che mio figlio non avrà la stessa libertà degli altri bambini. Ho ancora le lacrime agli occhi quando vedo i bambini giocare, mentre Samuele non riesce a fare cose molto banali e tutto deve essere “su misura” per lui: dalla sedia speciale all’insegnante di sostegno, dal passeggino posturale alla posate con l’impugnatura grande”. L’aiuto dell’associazione rimane un punto fermo, che sostiene Laura anche nel momento delicato che sta attraversando il suo Samuele: “È un bambino molto dolce, affettuoso e solare, ma purtroppo il fatto che non si possa esprimere e che fatichi a farsi capire lo sta rendendo aggressivo; grazie però anche a qualche prezioso consiglio degli altri genitori stiamo cercando di risolvere la situazione”.

    Elide

    “Una pugnalata al cuore”. Così, senza mezzi termini Laura, mamma di Elide, 8 anni, descrive l’impatto con la malattia. La storia si ripete: gravidanza perfetta, nessuna nube all’orizzonte fino al parto d’urgenza alla 33esima settimana, poi un mese di terapia intensiva e la diagnosi: delezione del braccio corto del cromosoma 5, “non sappiamo se sua figlia sopravvivrà o se rimarrà un vegetale”. Dopo pianti disperati, taciuti l’uno all’altro per non aggravare la sofferenza, Laura e suo marito iniziano le ricerche su internet con esiti sempre più scioccanti ma la voglia di saperne di più. Laura lascia il lavoro e si dedica completamente alla bambina. “Entravo e uscivo dagli ospedali, da Nord a Sud – ci racconta – perché Elide aveva un fortissimo reflusso e per i medici fu meglio operarla e usare una PEG per alimentarla”. Fino all’incontro – un anno dopo la nascita – con l’Associazione: quando i medici del comitato scientifico videro Elide rimasero sconvolti: era talmente sovrappeso che non riusciva a muoversi. La prima domanda che feci loro fu: “vivrà mia figlia?”. Mi dissero di sì, che tra gli associati c’erano ragazzi adulti affetti dalla sindrome, che non era vero quello che avevo letto in rete o che mi avevano detto all’ospedale. Tolsero immediatamente la PEG e ci misero a lavoro. In poco tempo, i primi gattonamenti, poi le lettere, i numeri. Ora Elide legge, scrive, mangiare e fa i primi passi”. Quanto sia importante il sostegno dell’associazione è, quindi, chiarissimo: “senza di essa – spiega Laura – non so in che stato sarebbe ora mia figlia. A.B.C. ci ha dato modo di incontrare non solo medici specializzati che hanno cambiato la nostra vita ma anche altre famiglie con cui confrontarsi. Noi non conviviamo con la malattia, noi viviamo la vita. Impegnativa, certamente, ma quando tocchi il fondo, dopo tutto ti sembra più leggero”.

    Cri du chat: quale futuro?

    Abbiamo raggiunto telefonicamente Maura Masini, presidente e fondatrice dell’Associazione A.B.C. – Associazione Bambini Cri du Chat.

    Maura, a che punto è la ricerca?

    La ricerca dipende dal lavoro del nostro comitato scientifico che continua incessantemente la sua attività di ricerca ed assistenza cercando di migliorare la qualità di vita di questi bambini. Sono stati fatti passi avanti notevoli sulle conoscenze che riguardano le terapie riabilitative e sulle linee guida per la crescita e lo sviluppo dei bambini con sindrome del Cri du chat. I raduni con le famiglie che organizziamo periodicamente hanno (anche) lo scopo di monitorare la crescita e i progressi dei nostri ragazzi: la nostra è una ricerca empirica, fatta di prove e sperimentazioni di nuove terapie. Anche se il 90% della crescita di un bambino affetto dalla sindrome dipende dalla capacità dei genitori di lavorare, informarsi e sull’utilizzo che fanno degli strumenti/suggerimenti che il comitato dà loro.

     Nel nostro paese, quanta attenzione viene data alle malattie rare? 

    Le malattie rare, generalmente, non si curano con i farmaci pertanto, mancando l’interesse economico, non c’è grande “partecipazione” intorno ad esse. Tuttavia, oggi qualche piccolo miglioramento in termini quantomeno di interessamento generale si registra, ma le risorse economiche sono sempre troppo scarse per riuscire a far progredire la ricerca. 

    Così come l’Associazione A.B.C., ci sono molte altre realtà in Italia che aiutano e sostengono persone affette da malattie rare e le loro famiglie.

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