Malattie rare: sui social per rompere gli stereotipi

La missione di ‘TheRAREside, Storie ai confini della rarità’, social talk realizzato dall’Osservatorio Malattie Rare (OMaR) è quella di abbattere i pregiudizi. Noi di A Good Magazine ne abbiamo parlato con la direttrice di OMaR, Ilaria Ciancaleoni Bartoli che ha dato vita al progetto e ha curato le interviste e che ci ha portato a esplorare quei territori ‘ai confini della rarità’ di cui ancora si parla sempre troppo poco e spesso male.

un social talk per le malattie rare

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    Abbattere gli stereotipi a colpi di normalità. È questa la missione di ‘TheRAREside, Storie ai confini della rarità’, social talk realizzato dall’Osservatorio Malattie Rare (OMaR).
    Storie speciali, ma storie di tutti i giorni, raccontate da ragazze e ragazzi, donne e uomini che non amano definirsi ‘speciali’, ma semplicemente umani con i propri limiti ed eccezionalità. Via allora dalla mente di tutti l’immaginario di eroi, unicorni colorati o vittime e spazio prima di tutto alla persona con il suo bagaglio di sogni, passioni, diritti, relazioni e quotidianità.
    Noi di A Good Magazine ne abbiamo parlato con la direttrice di OMaR, Ilaria Ciancaleoni Bartoli che ha dato vita al progetto e ha curato le interviste e che ci ha portato a esplorare quei territori ‘ai confini della rarità’ di cui ancora si parla sempre troppo poco e spesso male.

    Come è nata l’idea di parlare di questi temi sui social? Fino a quando racconterete queste storie?

    Celebriamo ogni anno la giornata delle malattie rare il 28 febbraio, ma ci siamo accorti che in questo ultimo anno di malattie rare, anche a livello istituzionale, se ne era parlato pochissimo. Allora abbiamo deciso di dedicare non più solo un giorno, ma un mese intero a questo tema.
    È così che è nato il social talk ‘The Rare Side’, che andrà avanti fino al 16 marzo.
    Si tratta di un viaggio di 10 puntate sui canali Facebook e Youtube dell’Osservatorio Malattie Rare.
    L’idea è saltata fuori parlando con le associazioni con cui collaboriamo.
    I pazienti erano stanchi di sentirsi considerati come eroi, essere elevati sul piedistallo del disabile buono, di essere disegnati solo in base alla loro malattia. C’era bisogno di rompere questo tipo di comunicazione e pensarli come persone prima che come malati. Ci siamo quindi detti: perché invece di parlare delle grandi gesta non parliamo della quotidianità? E così abbiamo fatto, cominciando a raccontare il lato comune di cui nessuno parla, e dei limiti che tutti noi abbiamo, più evidenti o meno.

    Il progetto social è un primo passo importante. Mica avrete intenzione di finire con la puntata del 16 marzo?

    Assolutamente no. Stiamo già pensando a come strutturarne un seguito, un format per tematiche. Le puntate registrate intanto resteranno a disposizione di tutti sulla nostra pagina Facebook e sul canale Youtube , sia per chi vuole recuperarle, sia per chi vuole diffonderle. Di questi temi, più se ne comincia a parlare, meglio è.

    La prima puntata è partita col botto.
    Si è subito parlato di sessualità, un tema spesso considerato lontano dal mondo di un malato.

    Ripetiamolo insieme. Chi ha una malattia rara non è un angelo asessuato.
    Sono numerosi i pregiudizi e i tabù da sfatare sulle persone disabili e il loro rapporto con la sessualità. Ne abbiamo parlato con Armanda Salvucci, ideatrice del progetto Sensuability Fundraiser, protagonista della prima prima puntata di #TheRAREside, che ci ha raccontato come sia possibile abbattere gli stereotipi attraverso la conoscenza e un nuovo modo di fare cultura.
    Ma non solo sesso. Nelle puntate parleremo di sport con un ragazzo che non ha voluto rinunciare a inseguire il suo sogno di nuotare, ma anche di accettazione di sé come il percorso della ‘ragazza girasole’. Un altro tema spinoso sarà quello della vita indipendente sotto tutti i punti di vista, senza dimenticare del rapporto figli e genitori. Insomma, una carrellata di tematiche che fanno parte della vita di ognuno, temi su cui ciascuno trova il proprio equilibrio ‘normale’.

    Un messaggio di coraggio? Un modo per dire che ci si può fare?

    Un messaggio di speranza e coraggio per le famiglie, ma non solo. Spesso quando sai che tuo figlio ha una malattia rara, ti immagini che la sua vita sarà più breve rispetto a quella di tutti gli altri, ma non è detto che sia così. Nessuno di noi sa quanto durerà la vita o quanto dura potrà essere, ma se smettessimo di immaginare un futuro niente avrebbe più senso.
    La vita di tutti, breve o lunga che sia, più facile o durissima che sia, deve avere un progetto che fa andare avanti e non bisogna nemmeno farsi fermare da chi dice ‘è impossibile’, come ha detto Betina, una delle protagoniste, una mamma che per la propria figlia ha costruito una vita basata sulla pittura: non parla, non legge, ma sa dipingere, e su quello si può costruire. È più bello vivere così.

    Parlare, parlare, parlare.
    La paura della diversità passa anche dal silenzio, dalla non conoscenza.

    La paura del diverso passa dal silenzio, dal non affrontare certe tematiche, dal non saperne nulla di nulla. La paura è anche quella di fare la figuraccia di non sapere come parlare di queste persone. È una paura anche linguistica, è il non sapere come approcciarsi a queste persone. Di dire una parola di troppo, fare attenzione al politically correct. Se dico disabile si offenderà? Ma forse non dovrei pronunciare proprio il nome della malattia, dovrei girarci intorno, allungare il brodo con un lessico più ‘gentile’? È solo cominciando davvero a parlare naturalmente e apertamente che si abbattono certi muri. E i muri si sa, mettono su barriere, alimentano fortificazioni e di conseguenza discriminazioni.

    Nel nostro paese c’è ancora molto da fare dal punto di vista dell’accessibilità?

    Un esempio banale. I semafori in Olanda hanno tutti il suono per attraversare. Sono semafori parlanti e fanno un rumore perché se non vedi rischi di essere investito. Da noi invece i paletti sono in mezzo ai marciapiedi e i cartelli stradali rischi di prenderli in testa. Le macchine si parcheggiano praticamente ovunque.
    Manca una cultura del progetto inclusivo, mancano scuole, piscine e palestre aperte veramente a tutti.

    Adesso parliamo di Omar. Come è nato?

    Omar è una testata giornalistica fondata 10 anni fa. Al tempo, mi sono resa conto che i giornalisti avevano voglia di parlare di malattie rare, ma che questo fosse un territorio ancora inesplorato. Allora mi sono detta: perché non fare un portale in cui i colleghi possano trovare tutto ciò che cercano e mettere in giro corretta informazione?

    Quali sono progetti di Omar nel futuro prossimo?

    Intanto abbiamo messo in piedi uno sportello legale con due avvocati esperti di diritti come permessi, invalidità e legge 104. La consulenza è gratuita come quella dei medici esperti, il secondo sportello che abbiamo intenzione di ampliare di qui a breve.
    Nel frattempo abbiamo intenzione di pubblicare altre due monografie, scaricabili da tutti, su due specifiche malattie rare.
    Nel programma c’è anche l’idea di aumentare il nostro impegno con e contro le istituzioni. I ministri passano, ma noi restiamo qui a dar voce ai diritti di tutti. E c’è bisogno di fare le cose bene e in fretta, come i vaccini per le persone fragili e per chi si prende cura di loro. Ne abbiamo parlato nell’incontro di martedì 2 marzo con Elena Bonetti, ministra per le pari opportunità e per la famiglia, Erika Stefani, ministra per le disabilità e Fabiana Dadone, ministra per le politiche giovanili.

    Cosa possiamo fare per l’osservatorio Omar?

    A noi serve semplicemente che sempre più persone ci possano leggere, condividere, scrivere e raccontare la propria esperienza. Viviamo della relazione con le persone, la maggiore ricchezza che ci possa essere. È solo conoscendo che possiamo aiutare.

    È nato il Ministero della Disabilità. Riprendendo le parole di Iacopo Melio: ‘un modo per acquisire punti tenerezza, per ribadire l’esistenza di una categoria a parte con esigenze speciali per persone speciali’. Cosa ne pensa?

    Non ho niente contro la ministra. Forse non serviva un ministero a parte per i disabili, ma è comunque un segnale di attenzione. Però ora servirebbe che di disabilità si occupassero tutti, i ministeri di trasporto, istruzione e lavoro ad esempio: i disabili devono essere inclusi e non trattati come casi a parte.
    Spero a questo punto che questo ministero sia capace di interfacciarsi con gli altri ministeri e che si metta in piedi un lavoro di sinergie. Che la ministra batta i pugni e faccia sentire la propria voce.

    La forza (positiva) dei social

    Molto spesso criticati, i social sono anche un mezzo utile e prezioso per affrontare e divulgare in modo semplice e spontaneo certe tematiche, diffondere consapevolezza, creare un canale diretto e immediato.

    Ne è profondamente convinta anche Silvia Boselli, un’osterica molto speciale che abbiamo intervistato qualche tempo fa.

    E tu hai intrapreso iniziative per aiutare qualcuno attraverso i social o conosci belle realtà che ti piacerebbe segnalarci? Scrivi alla nostra redazione e contattaci!

    Fonti

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