Agorafobia, quella prigione invisibile: la parola alla psicologa

La Dott.ssa Lodovica Perina ci spiega come riconoscere e gestire i sintomi di questa psicopatologia.

agorafobia

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    “Mi manca l’aria”. Quante volte lo abbiamo pensato o lo abbiamo sentito dire? Spesso considerata come un tabù, o sminuita come una paura insensata, l’agorafobia può colpire chiunque, indipendentemente dalla quantità di stress percepito e dal carattere della persona. Siamo stati relegati in casa per due mesi senza possibilità di vivere gli spazi aperti insieme ad altre persone. Adesso che possiamo tornare a coltivare relazioni sociali più liberamente, uscire allo scoperto può metterci a disagio. Per indagare su questa patologia di cui spesso si ha paura anche solo di parlare, abbiamo fatto una chiacchierata con la Dott.ssa Lodovica Perina, psicologa clinica e specializzanda in psicoterapia con varie esperienze alle spalle nel trattamento di pazienti agorafobici. Parlarne con qualcuno è il primo passo

    G: Cos’è l’agorafobia in poche parole?   

    Dott.ssa: L’agorafobia è una psicopatologia caratterizzata da paura e ansia marcate relative a due o più situazioni come l’utilizzo di trasporti pubblici, trovarsi in spazi aperti, trovarsi in spazi chiusi, stare in fila tra la folla o essere fuori di casa da soli. 

    G: Quindi non si manifesta solo in mezzo a tante persone?

    Dott.ssa: Spesso il termine agorafobia riporta alla mente l’idea che la persona che vive questa condizione non sopporti l’idea di stare in ambienti chiusi perchè troppo affollati da farsi mancare il respiro. In realtà l’agorafobia si può verificare in ambienti chiusi o aperti indistintamente

    G: Qual è allora la caratteristica principale di questa fobia?

    Dott.ssa: Il fulcro centrale di questa psicopatologia è, a differenza di quello che si puo comunemente pensare, non tanto la paura di stare in posti chiusi o affollati ma l’intensa paura di non essere certi di poter fuggire dalla situazione temuta o di non essere certi che siano disponibili dei soccorsi se si dovessero sviluppare nella persona sintomi simili al panico o altri sintomi percepiti come imbarazzanti. Sostanzialmente, chi soffre di agorafobia, quando prova paura e ansia pensa che possa accadere qualcosa di veramente terribile: non poter essere soccorso se si dovesse sentire male e poi svenire, sudare, vomitare, soffocare o altre cose imbarazzanti che gli farebbero fare una figuraccia.

    G: Nello specifico, quali sono i sintomi dell’agorafobia?

    Dott.ssa: Questa psicopatologia si manifesta sempre con ansia e paura. Importante sottolineare che le situazioni agorafobiche vengono attivamente evitate o richiedono la presenza di un accompagnatore per essere sopportate. Addirittura, la persona può intenzionalmente modificare la sua routine quotidiana, scegliendo percorsi alternativi per raggiungere il lavoro (evitando di prendere tram, per esempio, nel caso in cui abbia vissuto momenti di disagio in questo ambiente). 

    G: Quindi l’evitamento è un sintomo necessario per la diagnosi?

    Dott.ssa: Esatto. L’evitamento può diventare talmente sistematico da costringere la persona a rimanere in casa, rendendola incapace di uscire. A differenza della paura ragionevole, quella agorafobica clinicamente significativa crea un disagio sociale e relazionale tale da compromettere anche il funzionamento lavorativo. Gli evitamenti tipici degli agorafobici sono: essere lontano da casa, guidare, sostare in spazi aperti, stazionare in luoghi chiusi, stare del tempo in un locale, passare sopra a un ponte, utilizzare i mezzi pubblici, salire in funivia, fare la fila alla cassa, mangiare o bere cose che potrebbero provocare un attacco di ansia come caffeina e alcol. Gli evitamenti più insoliti sono invece: indossare maglie a collo alto, portare cravatte, anelli e collane, mettere la cintura di sicurezza, o nuotare sott’acqua.

    G: A tutti è capitato di aver paura o di vivere momenti d’ansia. Questo basta per diagnosticare la fobia?

    Dott.ssa: No, certo che no. Nel caso dell’agorafobia diagnosticata, la paura e l’ansia sono esagerate e del tutto sproporzionate rispetto al reale pericolo. Per fare una corretta diagnosi è necessario che i sintomi si manifestino da minimo 6 mesi, però è ammessa una certa flessibilità temporale. Con il criterio dei 6 mesi si vanno a escludere individui che hanno problemi transitori e di breve durata che non fanno diagnosi e persone che sono state vittime di fenomeni di suggestione intensa.

    G: C’è una correlazione tra agorafobia e attacchi di panico? 

    Dott.ssa: L’agorafobia si può diagnosticare a prescindere dalla presenza di attacchi di panico. Se una persona ha anche attacchi di panico allora dovrebbero essere poste entrambe le diagnosi, sia quella di disturbo da attacchi di panico e che quella di agorafobia. Vero però è che spesso l’agorafobia insorge in comorbilità* con altri disturbi mentali, in particolare con altri della sfera ansiosa (ad esempio le manifestazioni d’ansia sociale). Altri disturbi invece come il disturbo depressivo maggiore o l’uso di sostanze sono del tutto slegati. 

    G: A che età si sviluppa la fobia? Ci sono trigger comuni?

    Dott.ssa: L’agorafobia ha un picco d’incidenza alla fine dell’adolescenza, verso la prima età adulta, di solito prima dei 38 anni; nel 50% dei casi è preceduta da attacchi di panico. Il decorso è cronico e persistente e se non viene trattata la remissione dei sintomi è completa solo nel 10% dei casi. Tra i fattori di rischio dell’agorafobia c’è un’alta ereditabilità (61% dei casi): è il disturbo d’ansia con la più forte e specifica associazione con il fattore genetico. Tra i fattori ambientali scatenanti posso citare alcuni eventi vissuti nell’infanzia come separazioni dei genitori o lutti. Tra i fattori temperamentali, invece, l’inibizione comportamentale (sensibilità all’ansia) e l’affettività negativa (nevroticismo), che sono trigger comuni a tutti i disturbi d’ansia. 

    G: Ci consigli qualche tecnica da attuare nei momenti di disagio?

    Dott.ssa: All’insorgere dei primi sintomi, possono essere applicate alcune strategie, meno efficaci se i sintomi hanno già raggiunto una soglia di intensità soggettiva abbastanza elevata. Le tecniche fai da te che mi sento di consigliare sono:

    1. Trovare un luogo sicuro dove attendere la fine dell’attacco;
    2. Parlare con un’altra persona per distrarsi prima che il livello d’ansia raggiunga il limite sopportato;
    3. Fare esercizi di concentrazione e mindfulness;
    4. Visualizzare e immaginare uno scenario che suscita una sensazione di benessere;
    5. Fare esercizi di rilassamento muscolare e mettere in pratica la respirazione addominale;
    6. Ripetere nella mente affermazioni positive e incoraggianti per contrastare le errate interpretazioni dei sintomi.

    G: E i farmaci? Possono essere la soluzione?

    Dott.ssa: Questo è un punto molto importante. I farmaci funzionano come tampone nel momento dell’attacco ma non annientano la fobia per sempre, anzi, creano un effetto di dipendenza, con tutte le controindicazioni del caso.

    G: Perché è importante prendere sul serio questa fobia? C’è modo di combatterla una volta per tutte?

    Dott.ssa: Se la situazione tende a ripetersi e a creare un disagio clinicamente significativo (ad esempio, se la persona viene licenziata perché non riesce più ad andare al lavoro) è assolutamente consigliata la consulenza di un esperto nel campo psicologico. In questo caso lo psicologo analizza il problema insieme al paziente e lo aiuta a identificare gli schemi di pensiero disfunzionale per sostituirli con schemi di pensiero più utili e funzionali. Lo aiuta inoltre a controllare gli evitamenti, accompagnandolo nell’esposizione graduale allo stimolo fobico, passo dopo passo, prevenendo la risposta disfunzionale e imparando strategie di gestione dello stress attraverso, ad esempio, training autogeno, pratiche di mindfulness e altre tecniche di rilassamento.

    Note
    *Comorbilità (o comorbidità): in medicina, la presenza contemporanea nello stesso soggetto di due o più malattie.

    Info sulla Dott.ssa Lodovica Perina
    Psicologa a indirizzo clinico, si occupa di diagnosi, consulenza e sostegno psicologico di adulti e adolescenti, principalmente per i disturbi d’ansia, depressione e disturbi dell’alimentazione e della nutrizione. Esperta in tecniche di rilassamento e insegnante di Mindfulness. 

    Fonti

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