Non nasciamo naturalmente pazienti: basti pensare ai bambini, che appena nati piangono per ogni bisogno e non si calmano fino a che non viene soddisfatto, ma anche a quelli più grandicelli e agli adolescenti, incapaci di attendere in silenzio la fine della lezione o di aspettare per guadagnarsi qualcosa, che sia il permesso di andare a giocare fuori o un nuovo smartphone.
Cos’è la pazienza (e cosa non è)
Il vocabolario definisce la pazienza come la disposizione d’animo ad accettare e sopportare i disagi, le contrarietà e simili e cita come sinonimi la rassegnazione e la sopportazione. In effetti la parola “pazienza” deriva dal latino “pathos”, appartenente al campo semantico del patire e quindi del dolore e della sofferenza. Ma se questo poteva essere vero in un’accezione cristiana del termine, che rimandava a un’accettazione passiva delle circostanze in attesa di una supposta volontà divina, oggi l’arte della pazienza si è arricchita di nuove sfumature psicologiche. È sì la capacità di saper attendere e anche sopportare, ma la chiave di lettura è proattiva più che passiva: diventa perciò quel meccanismo che sarebbe bene mettere in moto quando la vita ci pone di fronte delle difficoltà, dai fastidi quotidiani a problemi gravi, come una malattia. Diventare più pazienti significa imparare a gestire l’impulso irrazionale, che spesso genera rabbia e frustrazione, e trasformarlo in riflessione razionale, funzionale a un maggior equilibrio emotivo. Perché se è vero che da bambini è molto raro avere pazienza, possiamo però imparare fin da subito ad allenarla.
Gli animali possono essere pazienti?
L’uomo è un animale il cui comportamento si è sviluppato anche in ragione della cultura, ma per gli animali non-umani esiste la pazienza? La pazienza negli animali è strettamente correlata alla sopravvivenza, notoriamente quindi si applica al nutrimento: se uno scoiattolo trova una ghianda la mangerà subito o aspetterà quando il cibo scarseggerà? Com’è ovvio, per l’eterogeneità stessa del regno animale, avere o meno pazienza è una peculiarità che differisce da specie a specie, ma potrebbe essere vista come l’equilibrio fra:
- autocontrollo per una gratifica futura
- impulsività dovuta all’incertezza del futuro: conservare quella ghianda potrebbe essere vitale per lo scoiattolo, ma potrebbe perderla o qualcun altro potrebbe trovarla prima di lui
I primi esperimenti sulla pazienza negli animali sono stati effettuati su piccioni e ratti, mostrando in questi ultimi un autocontrollo maggiore. Rispetto all’essere umano la loro capacità di aspettare è ovviamente deficitaria, ma alcuni meccanismi potrebbero essere simili: pensiamo a un giovane sottopagato che preferisce andare una sera a cena fuori piuttosto che risparmiare per quella casa che allo stato attuale non pensa che sarà mai alla sua portata.
… e gli esseri umani?
Come abbiamo già detto, gli esseri umani di natura non sono poi molto più pazienti degli animali e ne sono un esempio i bambini, soprattutto quelli molto piccoli. C’è chi per carattere è più paziente, ma tutti sviluppiamo questa capacità anche sulla base dell’educazione, perché la pazienza è anche una capacità adattiva che si può imparare. Uno dei primi esperimenti a questo proposito fu condotto all’Università di Stanford da Walter Mischel nel 1972: consisteva nel lasciare dei bambini di fronte a un marshmallow dicendo loro che se non lo avessero mangiato ne avrebbero avuti altri più tardi. Alcuni bambini avevano avuto pazienza in vista di una gratifica maggiore, mentre altri non erano riusciti ad aspettare. Il dottor Mischel ha continuato a monitorare i soggetti dell’esperimento, rilevando come, una volta adulti, quelli che erano stati in grado di resistere alla tentazione avessero ottenuto successi scolastici e dimostrassero capacità organizzative e di gestione dello stress. Al contrario, quelli che si erano mangiati subito il marshmallow erano diventati più insicuri, meno capaci di gestire la loro emotività, dimostrando quando veramente la pazienza sia una virtù, funzionale anche alla nostra realizzazione personale.
La pazienza, la noia, il tempo
Se in passato era più facile allenare quotidianamente la pazienza, perché i ritmi della vita lo “imponevano”, quella di oggi è una società che sembra aver messo al bando la capacità di pazientare. Basti pensare che anche solo un secolo e mezzo fa per ricevere una risposta da qualcuno che stava lontano, e che poteva essere contattato esclusivamente per lettera, servivano giorni, a volte settimane o mesi; oggi invece un messaggio che non riceve una risposta immediata ci getta nel panico e nell’ansia. La tecnologia, che ci vuole sempre connessi, proiettati al futuro e insinua ansie sociali, è il mezzo principale attraverso cui viviamo nel “tutto e subito”: che sia la cena, dei vestiti o un successo facile e senza sforzi, sembra sempre tutto a portata di click. In quella che viene sempre più spesso definita “società della performance” non è accettabile il tempo vuoto, la noia. In coda per lo sportello della posta non aspettiamo, ma spesso riempiamo quel tempo al cellulare, continuando a bombardarci di stimoli sempre più veloci nel cambiare, sempre nuovi (e superficiali). E molto probabilmente la fila stessa ci ha innervositi appena arrivati.
Perché è importante coltivare la pazienza?
La pazienza è sia una questione di pratica che di carattere, quindi, ma è fondamentale nelle nostre vite per ridurre ansia e stress e affrontare i piccoli e grandi problemi della vita da un altro punto di vista. Spesso è più verso i fastidi quotidiani che si manifesta la nostra mancanza di pazienza: la coda alle poste, un bambino che continua a piangere in aereo, una tazza piena di tè che si rompe la mattina quando siamo di fretta. La pazienza è in questi casi la capacità di fermare l’impulso irrazionale un attimo prima che ci travolga, distaccarsene e mettere in moto il pensiero razionale. Ma è anche la capacità di saper aspettare quando necessario, non riempire per forza l’attesa; in questo senso essere pazienti darà spazio alla parte più riflessiva di noi, utile per imparare a gestire le proprie emozioni. Ma la pazienza non deve sconfinare nella tolleranza senza limiti o nella sottomissione: se aspettare e soprattutto sopportare diventa troppo pesante, la passività o il nervosismo eccessivi, si può cercare di cambiare la situazione in cui siamo, anche con l’aiuto di uno psicoterapeuta.
Allenare la pazienza
Sviluppare la propria pazienza è quindi possibile, ma potrebbe non essere semplice, né immediato; questo compito è poi reso più gravoso dalla società stessa in cui viviamo, e che sembra spingerci ad essere sempre meno pazienti, sempre meno abituati ad aspettare. Possiamo pensare la pazienza come uno spettro, che all’estremo opposto può avere sia l’impazienza che la rassegnazione; per mantenerci in equilibrio fra questi estremi, possiamo provare ad allenarci un po’ ogni giorno, così come facciamo per arrivare in forma all’estate. Modi per aiutare la propria mente a sviluppare la pazienza potrebbero essere:
- praticare l’empatia: provare a mettersi nei panni degli altri, per capire che il nostro fastidio è in realtà minore dell’ansia o della frustrazione di chi ce lo sta provocando
- vedere le cose in prospettiva: a cosa servirà arrabbiarsi per una determinata cosa fra un giorno o un anno?
- rinunciare al multitasking: la tendenza a fare mille cose contemporaneamente è un terribile vizio della società contemporanea, che come abbiamo visto non ci vuole mai fermi; meglio però fare una cosa alla volta e scegliere bene le priorità
- rinunciare al perfezionismo: l’antico detto recita “presto e bene non stanno insieme” e sembra proprio che sia così; la pazienza aiuterebbe anche la nostra produttività
- essere flessibili, sapersi adattare a un cambio di programma
Infine, discipline come la mindfulness, lo yoga e in generale prendere la vita con più calma, come indica la pratica dello slow living, non solo allenano la pazienza, ma portano a una migliore consapevolezza di noi e di ciò che ci circonda, e, con questo, a un maggiore benessere.
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