O bianco o nero. Ma ci avete mai pensato che esistono altre mille sfumature?
Per molto tempo, e ancora oggi, la società ha visto l’identità di genere come una dicotomia: o maschio o femmina. Ma non è così semplice definire ed etichettare ciò che una persona è e ciò con cui si identifica.
Che lo si voglia ammettere o meno, a tutti noi piace mettere etichette, esattamente come si farebbe con un barattolo di marmellata. Forse perché le etichette semplificano la realtà e riducono il carico cognitivo, forse perché è una caratteristica intrinseca dell’essere umano. Peccato che non siamo barattoli, ma esseri viventi pieni di emozioni, sensazioni e pensieri.
Negli ultimi anni, la società ha sentito sempre di più il bisogno di etichettare l’orientamento sessuale e identità di genere di una persona, attribuendogli, spesso e volentieri, accezioni negative e dispregiative.
In un mondo migliore, ogni persona sarebbe libera di esprimere il proprio genere e orientamento come meglio crede, senza paura o timore di sentirsi giudicata e senza il bisogno di identificarsi in una definizione precisa creata dalla società. Purtroppo, nella società di oggi ci sono ancora alcuni limiti da superare al riguardo.
Cosa significa essere queer?
L’esigenza di superare l’etichettamento e le dicotomie eterosessuale/omosessuale, cisgender/transgender sta diventando una battaglia sempre più grande nella comunità LGBTQ+.
Ci sono molti modi in cui una persona può scegliere di definire il proprio genere, e alcuni preferiscono non definirlo affatto.
Proprio per questo motivo molte persone si stanno definendo queer.
Ma cosa significa veramente questa parola?
Il termine “queer” viene utilizzato da coloro che non vogliono identificarsi con un’etichetta, ovvero non vogliono affermarsi né come eterosessuali/cisgender, né come transgender, omossessuali, lesbiche o altre identità di genere e orientamenti sessuali. Chi appartiene al gruppo Q è una persona che a livello sessuale, etnico e sociologico non sente la necessità e non vuole rientrare in nessuna definizione o etichetta sociale.
Chiunque può definirsi queer, uomo, donna, gay, transgender. Non ci sono vincoli, solo la libertà di esprimersi per quello che si è.
Origine storica del termine “queer”
L’uso del termine “queer” si è evoluto nel tempo e ha assunto diversi significati negli ultimi decenni. Dalla definizione del dizionario, al suo uso come insulto, al reclamo di alcune persone LGBTQ+ e al rifiuto da parte di altre. Queer significa tante cose diverse per molte persone diverse.
D’altronde, trovare dei termini ombrello per una comunità vasta come quella LGBTQ+ non è facile. Basti pensare alla “comunità gay” che è diventata la “comunità gay e lesbica”, poi la comunità LGBT, LGBTQ+ fino ad arrivare a LGBTQIA.
Il sostantivo “queer” appartiene alla lingua inglese e affonda le sue radici in tempi lontani. La sua prima apparizione, infatti, risale al 1500, dove il suo significato etimologico è quello di bizzarro, strano, eccentrico.
Non stupisce, dunque, che inizialmente il termine fosse utilizzato come un insulto: una maniera per identificare, in modo dispregiativo, gli “omosessuali maschi effemminati”. Ancora oggi, infatti, non tutti i membri della comunità percepiscono positivamente questo termine, a causa delle sue radici discriminatorie.
Un cambio di rotta si ha nel 1990, quando il termine è stato introdotto nel dibattito pubblico, nelle scienze sociali e nel campo degli studi della sessualità. La sua prima apparizione in ambito accademico si trova nella rivista “Differences” curata da Teresa de Laurentis e dove si introduce la queer theory o teoria queer. Secondo De Laurentis, il termine doveva essere utilizzato con tre intenzioni:
- rifiutare il riferimento all’eterosessualità come termine di paragone per tutte le forme di sessualità;
- farla finita con la rappresentazione della sessualità gay e lesbica come un’unica forma di sessualità per considerarle, invece, nella loro diversa condizione di esistenza storica, materiale, socio-simbolica;
- dare rilievo ai molteplici modi in cui la razza influenza in modo decisivo le soggettività sessuali.
Se già nel 1990 si era arrivati a una rivoluzione nel modo di concepire questa parola, attualmente c’è molta confusione al riguardo.
Ad oggi, con il termine queer si rivendica semplicemente il diritto di opporsi al binarismo tradizionale che permea nella società, contrastando le etichette e stereotipi legati alla comunità LGBTQ+.
Il rifiuto categorico delle etichette
Ci sono molte ragioni per cui una persona può identificarsi con il termine queer, sia individualmente che come termine ombrello. Questa parola, infatti, comprende un’ampia gamma di identità e non rischia di escludere gruppi che l’acronimo potrebbe lasciar fuori.
Per alcuni, l’ambiguità di queer dà un senso di comunanza senza la necessità di un’etichetta più specifica. Tu puoi essere gay, io posso essere transgender, ma siamo entrambi queer e questo ci unisce.
La volontà di non rientrare in schemi fissi e predeterminati è ciò che caratterizza questa comunità, poiché una parola non potrebbe mai racchiudere le diverse sfaccettature della personalità dell’individuo. Siamo essere umani e in quanto tali, siamo soggetti a continui cambiamenti. Le esperienze contribuiscono a creare la nostra identità. Di conseguenza, la nostra identità sessuale può essere in continua modifica senza il bisogno di ri-etichettare quello che si è.
Testimonianze di persone queer
Nel corso degli anni, sono molte le persone che si sono esposte sulla tematica queerness, raccontando la propria esperienza o esprimendo la propria opinione.
Sul sito Redeeming God, si ha una definizione dettagliata del termine attraverso una testimonianza anonima:
“Sono uomo e sono queer. Nessuna delle due cose è stata una scelta. Sono nato così come sono. Non sento la necessità di dimostrarlo a nessuno. So e ho sempre saputo chi sono.
Io sono queer.
Sono queer. Cosa significa?
Alcuni della vecchia generazione possono considerarlo come dispregiativo, ma la maggior parte della mia generazione non lo considera tale. Per me, descrive esattamente le persone che non rientrano nelle solite categorie.
Sono un uomo, sposato con una donna, e un cristiano. Ai fini di questa discussione, non conosco altre etichette che vadano bene. Non sono né etero, né gay, né bisex.
Non odiarmi per quello che sono, io non ti odio per quello che sei.”
Ancora, sul sito gay.it la testimonianza di una persona gender fluid:
“Ho cominciato a sentirmi bello e ho cominciato a sentirmi bella quando ho cominciato a sentirmi ME, in tutte le mie sfaccettature e senza nessuna castrazione.
Ho cominciato a sentirmi libero e libera e ho cominciato a sentirmi ME quando ho capito che non ci sono limiti a ciò che posso essere, gli unici limiti sono quelli che mi autoimpongo.
Come sono un uomo sono anche una donna. E questo non mi spaventa per nulla, perché mi fa sentire libero e mi fa sentire libera.”
Alla fine, ci sono così tante tonalità racchiuse nell’arcobaleno, perché limitarci a sceglierne solo una?
Ognuno ha la possibilità di scegliere chiunque voglia essere, in qualsiasi momento della propria vita: questo è essere queer.
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