Cure parentali nel regno animale: ogni scarrafone sarà bello a mamma sua?

Cosa vuol dire essere genitori nel regno animale? E come se la passano i figli? Tra tante situazioni diverse una sola costante: mai dare per scontato le cure parentali

cure parentali animali

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    Nonostante la maggior parte delle persone ritenga (giustamente) che entrambi i genitori debbano contribuire alla crescita dei figli, negli altri animali le cose sono diverse. Anzi, in un gran numero di specie nessuno dei genitori alza un dito (o una zampa, o una chela, o una qualunque metaforica appendice) per aiutare la propria prole. In altre specie accade che uno dei due genitori, di solito la femmina (e sì, sto guardando proprio te che te ne stai sul divano a leggere il mio articolo mentre la tua compagna/moglie/fidanzata cambia il pannolino a vostra/o figlia/o), si prenda la maggior parte dell’onere delle cure parentali.

    Ecologia e dinamiche di popolazione

    Prima di andare ad analizzare le varie componenti delle cure parentali, della loro evoluzione e delle loro contraddizioni, è necessaria una piccola parentesi sull’ecologia e le dinamiche di popolazione. Come al solito cercherò di essere rapido e indolore.

    Spesso si dice che il mondo è bello perché è vario. Mai affermazione può essere più vera di questa se la interpretiamo in chiave ecologica. Il termine “ecologico” qui non significa che vi sto facendo il pippone sul non gettare rifiuti per terra, usare materiali biodegradabili ecc ecc, ma uso questo termine nel senso più ampio possibile: come scienza che studia le interazioni tra organismi e l’ambiente in cui vivono. Il nostro pianeta ha una varietà impressionante di ambienti in cui è possibile vivere: dalla prateria alla savana, dalla tundra ai tropici, dai fondali abissali all’interno dei vulcani (sì, ci sono esseri viventi che riescono a vivere perfino lì). E questa varietà di ambienti genera tutta una serie di strategie diverse atte a ottimizzare la vita e favorire la sopravvivenza degli individui. Ad esempio mammiferi che vivono in ambienti particolarmente freddi hanno sviluppato una folta peluria, o uno spesso strato di grasso, o entrambi, che proteggono l’individuo dalle basse temperature.

    Alcuni di questi adattamenti riguardano le strategie di riproduzione e dispersione. Possiamo riscontrare due strategie riproduttive completamente diverse, ognuna correlabile ad un determinato ambiente:

    • strategia r: è tipica di quegli ambienti particolarmente instabili e mutevoli, in cui il periodo riproduttivo è particolarmente breve. Gli animali che adottano questa strategia puntano tutto sul numero della prole: fanno tanti figli sperando che una certa percentuale di loro possa arrivare a maturità sessuale e a sua volta generare prole.
    • strategia k: è tipica di ambienti stabili. Gli animali a strategia k producono pochi figli e puntano tutto sulle cure parentali.

    Il numero fa la forza

    Forse questo è il modo migliore per riassumere la strategia r. Gli animali che adottano questa strategia puntano tutto sul numero della prole. Ce ne sarà almeno uno tra i tanti abbastanza capace, o fortunato, da riuscire ad arrivare alla maturazione sessuale e riprodursi a sua volta. È la classica strategia che adottano tanti insetti o, visto che gli insetti attirano pochi follower, delle tartarughe marine.

    Prendiamo per esempio la tartaruga caretta (Caretta caretta) che vive anche nel nostro Mar Mediterraneo. Le femmine di questa specie sono in grado di deporre fino a 200 uova in una sola deposizione! Non solo: le uova hanno la straordinaria (e non ancora ben spiegata) capacità di schiudersi tutte contemporaneamente! Dopo circa 2 mesi dalla deposizione le prime tartarughine iniziano timidamente, spinte dall’istinto (per ora accontentiamoci di chiamarlo istinto, ma è un meccanismo molto complesso quello che dirige le tartarughine), a scavare la sabbia per uscire e a dirigersi verso il mare. Tutte insieme! Oltre a essere un vero spettacolo, questo è anche molto utile al fine della sopravvivenza. Muovendosi in massa c’è una percentuale maggiore che qualcuno possa sopravvivere all’attacco dei predatori che sono sulla spiaggia. Nonostante questa strategia, solo una piccola percentuale riesce a raggiungere il mare. E di questi solo una percentuale ancora più piccola riesce ad arrivare alla fase adulta. Perché è vero che il mare è pieno di pesci, ma anche pieno di pericoli.

    Cocco di mamma

    Molte altre specie animali, invece, attuano una strategia completamente opposta. La strategia k prevede un numero limitato di figli, ma in compenso un enorme dispendio di energie per far crescere ed educare la prole. È in queste specie che si sono sviluppate cure parentali sempre più sofisticate per garantire un futuro ai propri figli.

    Ma perché in quasi tutto il regno animale sono le femmine a prendersi cura della prole? La chiave sta tutta nell’analizzare la frase che apre questo paragrafo: “enorme dispendio di energie”. Si tratta sempre di questo: a chi conviene di più avere cura della prole? Perché spendere così tante energie? Devo avere dei benefici nell’investire risorse, energie e (cosa da non sottovalutare) tempo in una qualsiasi attività. 

    Come analizzato in questo mio precedente articolo sulla selezione sessuale, i maschi hanno interesse ad accoppiarsi con quante più femmine possibile per massimizzare la loro probabilità di riproduzione. Prendiamo come esempio gli uccelli: questo significa che se un maschio “perde tempo” a prendersi cura delle uova avrà meno occasioni di “volare di nido in nido” e di accoppiarsi con altre femmine. Dal punto di vista evolutivo del maschio, questa è generalmente una strategia poco conveniente. Inoltre se è vero che lui può fecondare diverse femmine, ciò vale anche per gli altri maschi di quella popolazione. Ciò significa che c’è una probabilità non bassa che una o più uova deposte dalla femmina non siano sue. E allora è tutta fatica sprecata! Che vantaggio ho ad occuparmi di figli non miei, che non portano il mio corredo genetico?

    Viceversa, la femmina ha tutto il vantaggio a crescere le sue uova. Ma anche le cure di mamma raggiungono un effetto massimo e poi si attenuano. È stato dimostrato che oltre un certo valore le cure parentali della femmina smettono di avere un impatto positivo sulla sopravvivenza della prole. Quindi non ha senso continuare a coccolare i propri figli oltre un certo limite: anche questa è fatica sprecata. Con buona pace dei quarantenni che vivono ancora da mammà.

    Ma esistono solo queste due strategie? Siamo proprio sicuri che le uova che troviamo in un nido appartengano proprio alla femmina che le sta covando?

    Vediamo un caso particolare.

    Parassitismo di cova: il cuculo

    Come avrai intuito, la mia domanda è retorica. Non esiste in natura uno schema binario: l’uno o l’altro, bianco o nero, alto o basso. Esistono tutta una serie di situazioni intermedie, di sfumature e di eccezioni. Il caso del cuculo (Cuculus canorus) fa parte di questa categoria.

    Probabilmente conosci già questo uccello, anche se con un altro nome: cucù. Il nome è dovuto al suo caratteristico verso: non ci crederai mai ma il nome degli orologi a cucù deriva proprio da questo! Sconvolgente, vero?

    Va bene, torno serio per un momento. Il cuculo è un caso esemplare, studiato in modo molto approfondito dagli etologi per la sua particolare strategia di riproduzione. Come già accennato il cuculo è un parassita di cova. Cosa vuol dire? Vuol dire che depone le proprie uova in nidi di altri uccelli. Occhio: non altri cuculi, ma altre specie di uccelli!

    Si chiama parassitismo di cova interspecifico. La femmina di cuculo, una volta fecondata, è capace di deporre un uovo dalle caratteristiche estremamente simili a quelle della specie parassitata. Chiariamo una cosa: per quanto possa non sembrare, gli uccelli non sono scemi. Se io depongo uova bianche e a un certo punto mi trovo nel nido un uovo blu, mi faccio due domande, capisco che non sono stato io a deporlo o a colorarlo e capisco che quell’uovo non può essere mio. Di conseguenza me ne disfo.

    La femmina di cuculo invece riesce a mimare quasi perfettamente l’uovo della specie parassitata (di solito cannaiole) di modo che la femmina proprietaria del nido non si accorga di niente. Inoltre l’uovo del cuculo schiude qualche giorno prima delle altre uova presenti nel nido. In questo modo il piccolo inizia a nutrirsi con qualche giorno di anticipo rispetto ai fratellastri. Non solo: il piccolo poco dopo la schiusa si sbarazza delle altre uova! Spingendole con la schiena, le fa cadere dal nido! In questo modo sarà il solo a nutrirsi (e a sopravvivere). Letteralmente gli ciula il cibo.

    Inoltre il cucciolo di cuculo è di dimensioni decisamente maggiori rispetto sia ai fratellastri che alla madre “adottiva”. Forse non hai fatto molto caso alla foto che introduce questo articolo, ma quella pucciosa palla di piume color grigio è il cucciolo di cuculo, mentre quella mingherlina che si sforza per nutrirlo è una femmina di codirosso, la mamma surrogato.

    La femmina parassitata non sempre si accorge che l’uovo non è il suo, ma a volte succede. E a quel punto cosa può fare? Potrebbe abbandonare il nido (molte fanno così), condannando a morte certa tutte le uova che ci sono, comprese le sue. Questo comportamento è decisamente dispendioso. È vero che non perdo energie e tempo per nutrire un piccolo non mio, ma perdo tutta la covata che ho deposto io. E tutte le fatiche fatte per costruire il nido e dover ricominciare da capo non vogliamo contarle?

    Un’altra strategia potrebbe essere quella di sbarazzarsi dell’uovo estraneo. Anche questa è una eventualità effettivamente presente in natura, ma non così frequente. Come mai? Perché spesso la femmina di cuculo controlla da relativamente vicino i nidi che ha parassitato. E se si accorge che l’uovo da lei deposto manca potrebbe “scattare la rappresaglia”. Una sorta di comportamento “mafioso” per cui potrebbe attaccare la femmina di cannaiola, magari distruggendo le sue uova, predando gli eventuali piccoli che nel frattempo sono nati o distruggendo il nido stesso.

    Un problema di non facile soluzione

    Come abbiamo visto, le cure parentali non sono una strategia così scontata. Dipende molto dall’ambiente in cui viviamo. Se l’ambiente è stabile, conviene spendere energie per assicurare alla prole di arrivare allo stadio adulto. Ma anche in quel caso non sono tutte rose e fiori. Si attua una sorta di lotta tra maschio e femmina per chi deve avere il maggior onere nelle cure parentali. Spesso è la femmina che resta nel nido ad accudire la prole, ma non è sempre così. 

    Come detto in un articolo precedente, chi ha più da perdere ha anche più interesse che la prole sopravviva. E nella maggior parte dei casi sono le femmine. Spesso si trovano a crescere anche figli non loro, o addirittura di specie completamente diverse, come nel caso del cuculo.

    Anche questa non è la regola. Esistono casi in cui crescere figli di altri è altamente svantaggioso. Tutti abbiamo ancora negli occhi la morte di Mufasa ne “Il re leone”. Scar uccide il fratello maggiore e, in modo misericordioso, scaccia Simba dal suo territorio per prendere il potere. Questo è un comportamento che effettivamente avviene nei leoni: il nuovo maschio dominante uccide o scaccia il vecchio maschio alfa. Dopo averlo fatto, uccide tutti i suoi cuccioli per potersi accoppiare con le femmine dell’harem (NdA: ora capite perché ho definito “misericordioso” Scar. Che poi io abbia una predilezione per i cattivi e per Scar in particolare sono dettagli…).

    Ma questo è materiale per un’altra storia.

    Fonti

    Caretta caretta

    Cuculo

    J.R. Krebs e N.B. Davies: Ecologia e comportamento animale ISBN 9788833928265

    Alcock: Etologia. Un approccio evolutivo ISBN 9788808067999

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