Contraccettivi gratis: in Italia sta cambiando qualcosa?

Sulla carta i contraccettivi in Italia sarebbero già gratuiti, ma la legislazione si scontra con una realtà del tutto diversa: l’educazione sessuale e la contraccezione non sono ancora considerate una priorità

farmacista con scatoline in mano

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    Nonostante la legge 405 del 1975 e la legge 194 del 1978 prescrivano una contraccezione gratuita e accessibile, i passi fatti in seguito per rendere effettive queste disposizioni sono stati pochi e nient’affatto lineari. Ad oggi l’Italia risulta nelle posizioni centrali del ranking sull’uso dei contraccettivi dell’European Parliamentary Forum on Population and Development, e, di fatto, il costo della contraccezione ricade sui singoli utenti, ovvero soprattutto sulle donne.

    Contraccettivi gratuiti

    A ottobre del 2022 AIFA (l’Agenzia italiana del farmaco) in occasione di una riunione fra il Cts (Commissione tecnico scientifico) e il Cpr (Commissione prezzi e rimborsi) ha presentato come ordine del giorno la rimborsabilità dei contraccettivi orali per le donne di età inferiore ai 25 anni.

    Dopo che nel 2017 la stessa AIFA aveva tolto dai farmaci di classe A (e quindi rimborsabili) gli ultimi anticoncezionali ormonali, la nuova proposta faceva ben sperare. Oltretutto questi erano anticoncezionali di seconda generazione, raramente prescritti oggi se non a scopi terapeutici o a persone più vulnerabili, proprio perché rimborsabili.

    Dal 2017, quindi, in Italia la contraccezione è completamente a carico dell’utente, in contraddizione con leggi che negli ultimi quarant’anni non hanno mai visto una completa applicazione.

    Anche questa ultima proposta di AIFA, però, è caduta nel vuoto e se ne potrà riparlare solo a febbraio 2023. La motivazione è meramente economica, anche se associazioni e professionisti non hanno mancato di far notare che l’investimento nella contraccezione, per quanto dispendioso, permetterebbe di prevenire interruzioni di gravidanze indesiderate e procedure mediche ben più costose; basti pensare che un aborto chirurgico costa allo Stato sui duemila euro: con lo stesso investimento potrebbero essere inserite gratuitamente cento spirali IUD (Intra Uterine Device).

    Inoltre, quando un farmaco diventa rimborsabile, e quindi passa al Sistema Sanitario Nazionale, di solito viene concordato un prezzo calmierato con le aziende che lo producono; in questo caso gli esperti ritengono che lo sconto sarebbe potuto essere del 30%.

    Bisogna però considerare che nel frattempo gli organi direttivi di AIFA sono stati rinnovati (a novembre) e visto che le nomine sono governative, la fiducia in una prosecuzione dell’istruttoria è piuttosto labile: la classe governativa attuale ha già più volte dimostrato di voler ignorare, quando non ostacolare apertamente, il problema dell’autodeterminazione dei corpi, considerando la contraccezione un lusso.

    La contraccezione in Italia e in Europa

    Come abbiamo accennato, secondo il report dell’European Parliamentary Forum on Population and Development sulla contraccezione nei Paesi dell’Europa, l’Italia si trova in una zona di mezzo, insieme, fra gli altri, a Serbia, Ucraina, Croazia e Turchia.

    Guidano il ranking paesi come Francia, Germania, Regno Unito, Svezia, dove non solo la contraccezione non è considerata né un lusso né superflua, ma esiste una più ampia educazione sessuale, in Italia ancora oggi del tutto assente.

    Nel dettaglio, purtroppo, la situazione italiana non è così rara: nel 72% dei Paesi europei, infatti, i Sistemi Sanitari Nazionali non coprono la contraccezione.

    L’esempio della Francia dovrebbe però far riflettere su quanto una cultura contraccettiva possa essere non solo vantaggiosa per gli utenti (in special modo le donne, sulle quali ancora oggi ricade nella maggior parte dei casi la responsabilità e il costo della contraccezione), ma anche per lo Stato.

    In Francia, infatti, la pillola anticoncezionale già dal 2013 è gratuita per le ragazze fra i quindici e i diciotto anni; all’inizio del 2022 la gratuità è stata estesa fino a venticinque anni, proprio in ragione dei dati: se nel 2012 le interruzioni volontarie di gravidanza erano il 9,5%, nel 2018 sono scese al 6%.

    In Olanda e in Svezia, invece, la pillola anticoncezionale è a carico dei Sistemi Sanitari Nazionali fino a i 21 anni, dopodiché, fino ai 26 anni, il prezzo è fisso e calmierato (10€ contro i 14-20€ delle pillole di nuova generazione).

    La contraccezione in Italia

    I dati dell’Italia ci restituiscono un quadro in cui un intervento del genere sarebbe necessario, ma dovrebbe rientrare nell’ambito più ampio dell’educazione sessuale, ancora assente nelle scuole se non per iniziativa di singoli istituti o insegnanti.

    Il problema non è solo economico, ma anche culturale e politico: in Italia stiamo assistendo a un progressivo erodersi delle risorse destinate alla sanità pubblica e ancor più di quelle destinate ai consultori, passati da essere 2725 nel 1993 a 1944 nel 2016; come si può immaginare, non sono distribuiti uniformemente sul territorio, con una conseguente esclusione dai loro servizi per chi vive in zone isolate, dove non sono o non sono più presenti.

    Tornando ai dati, nello specifico la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia ha rilevato che in Italia 2,5 milioni di donne (circa il 16%) prende una delle tipologie di pillole anticoncezionali (un numero sotto la media europea), ma soprattutto che il 42% delle ragazze sotto i 25 anni ha il primo rapporto sessuale senza usare protezioni.

    Considerando che l’età media del primo rapporto è fra i 17 e i 18 anni e l’età media del primo parto si è alzata a 29 anni circa, emerge come sussista una finestra temporale abbastanza lunga in cui si è sessualmente attivi ma non si progetta di avere figli. Questo è inoltre un lasso di tempo in cui molto spesso i giovani ancora studiano e dispongono quindi di mezzi finanziari limitati.

    Infine, il fatto che il 18,7% (secondo i dati ISTAT del 2017) della popolazione si affidi ancora al coito interrotto come metodo anticoncezionale dimostra che il livello di consapevolezza, non solo in relazione a un’eventuale pianificazione familiare, ma anche alla possibilità di contrarre malattie sessualmente trasmissibili, è molto basso.

    Osserviamo quindi uno scarto fra la gratuità della contraccezione in Italia e in altri Paesi europei come Francia e Regno Unito, ma purtroppo il nostro Paese non è il solo in questa zona di mezzo: come altri undici Stati non ha un sito istituzionale di informazione sulla pianificazione riproduttiva, e come in altri diciotto Stati i contraccettivi non sono gratuiti, se non a macchia di leopardo, con differenze fra le regioni.

    Un problema culturale e politico

    Nonostante lo Stato abbia il dovere di fornire gli strumenti e i mezzi necessari alla procreazione (e quindi alla contraccezione) responsabile, in Italia questa tematica non è mai stata trattata fino in fondo, facendone cadere la responsabilità sulle Regioni, le Asl, gli ospedali o addirittura singoli operatori di buona volontà.

    Anche se il lavoro di questi enti e professionisti è fondamentale e in alcuni casi può fare la differenza, resta il fatto che sono interventi privi di un sostegno statale e quindi, per forza di cose, inadeguati; basti pensare al divario fra le varie zone della penisola che è inevitabile in un paese frammentato ed eterogeneo come l’Italia se il tutto è delegato alle Regioni o agli enti locali.

    L’esempio della Puglia

    Un’eccezione positiva in tal senso è la Puglia, che già dal 2008 ha reso disponibili gratuitamente le pillole a basso dosaggio, il cerotto transdermico e l’anello vaginale. Fu l’allora Presidente della Regione Nichi Vendola a rendere questi contraccettivi ormonali gratuiti a livello regionale per la prima volta. Le fasce di popolazione interessate sono:

    Nonostante nel 2015, con le elezioni amministrative e il cambio di presidenza, l’iniziativa fu interrotta, è stata ripresa nel 2016.

    Altri esempi in Italia

    L’esempio della Puglia non è rimasto isolato, ma è stato seguito da altre regioni, in particolare Toscana ed Emilia-Romagna, alle quali si sono aggiunte Lazio, Lombardia e Piemonte, dove però il servizio per il momento è meno ampio e diffuso. 

    In Toscana i contraccettivi gratuiti sono le pillole estroprogestiniche e progestinica, il cerotto transdermico e l’anello vaginale come in Puglia, ma anche spirali ormonali e non e preservativi. La fascia di popolazione alla quale si rivolge il servizio (attraverso i consultori) è simile:

    • per i giovani fra 14 e 25 anni
    • per le donne fra 25 e 46 anni disoccupate, in cassa integrazione o richiedenti asilo
    • per le donne fra 25 e 46 anni nei 12 mesi dopo il parto o nei 24 mesi dopo un’interruzione volontaria di gravidanza
    • per tutti gli studenti delle Università toscane, anche se non residenti in Toscana

    Anche in Emilia-Romagna la contraccezione è in parte gratuita per iniziativa della Regione e comprende non solo pillole, cerotti, spirali ormonali e non, ma anche preservativi maschili e femminili. Il servizio si rivolge a categorie del tutto analoghe alle altre due regioni; è necessario però essere residenti e avere il medico di famiglia nella regione.

    Un ultimo caso virtuoso è quello dell’ospedale di Alzano Lombardo (in provincia di Bergamo): qui vengono inseriti dispositivi Larc (Long acting reversible contraceptives), come la spirale o l’impianto sottocutaneo, a donne che hanno avuto un’interruzione volontaria di gravidanza; si tratta di metodi contraccettivi di lunga durata (dai tre ai cinque anni) e il loro utilizzo nell’ospedale lombardo ha portato a una riduzione delle interruzioni di gravidanza ripetute, con significativi benefici per la salute delle donne e anche dal punto di vista economico.

    Il costo per le donne

    Concludiamo ripetendo quanto un intervento sul piano della contraccezione sia necessario non solo per la salute delle donne, ma anche perché il costo ricade quasi sempre interamente su di loro, andando ad aggravare la disparità anche in questo campo.

    Basti pensare che le pillole contraccettive hanno un costo mensile che va da circa 5€ (per le pillole di seconda generazione, ad esempio) a 14-20€ per quelle di ultima generazione. Se il costo della pillola è mensile, quando vengono inseriti dispositivi come la spirale o l’inserto sottocutaneo, è una tantum ma ben più oneroso: 250€ per la prima e 195€ per il secondo, e la loro durata è di 3-5 anni. A questi costi vanno aggiunti poi i ticket per la prestazione sanitaria, che non sempre è possibile ottenere nel proprio ospedale; servono infatti personale qualificato e strutture a norma.

    Delegare alle Regioni, agli enti locali, ai singoli ospedali o professionisti implica ignorare che parlare di contraccezione significa parlare di salute, tanto più che alcuni contraccettivi sono inseriti dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) nella lista dei farmaci essenziali; non sempre, inoltre, vengono assunti solo come contraccettivi, ma anche con scopi terapeutici (ad esempio la spirale può aiutare nel trattamento di cicli mestruali molto abbondanti, fibromi e anemia).

    Sicuramente rendere la contraccezione gratuita almeno fino ai 25 anni avrebbe un costo non indifferente, ma chiudere gli occhi di fronte al conseguente abbattimento dei costi di cura (ad esempio per un aborto chirurgico) la dice lunga su quanto il problema non sia solo economico, ma culturale e politico.

    Fonti

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