Farmaci antidepressivi: quando utilizzarli

Scopriamo insieme i principi attivi che possono aiutare in questo disturbo, molto spesso sottovalutato

farmaci antidepressivi

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    La depressione è una condizione che può essere molto limitante. Si tratta di una delle cause principali di disabilità, andando a impattare pesantemente sulla salute e la vita dell’individuo. Si ripercuote anche sul lavoro e l’economia, in quanto rimane un’importante causa di assenteismo. 

    Noi ci concentreremo sulle molecole che hanno cambiato l’approccio a una delle patologie più controverse della psiche umana.

    MAO-inibitori

    Sono i farmaci di seconda linea (per i seri effetti collaterali), in caso di depressione grave o fallimento di farmaci meno tossici (come in quella atipica). Le MAO (monoaminossidasi) sono enzimi che degradano le monoamine, serotonina, dopamina, adrenalina. Tramite il loro blocco, si aumentano i livelli delle suddette. Vi fanno parte:

    • tranilcipromina,
    • selegilina (usata anche nel Parkinson),
    • fenelzina,
    • moclobemide (unico reversibile).

    Gli effetti collaterali

    Si annoverano:

    Sono legati al meccanismo di azione: si aumentano i livelli di tutte le monoamine. 

    Tra loro c’è anche la tiramina, presente nel cibo (vino, birra, formaggi fermentati), che ha effetto ipertensivante (stimolazione cardiaca e vascolare). Per questo il paziente deve seguire una dieta controllata, ed evitare il cosiddetto “cheese effect” (con sintomi dalle cefalee alle emorragie intracraniche).

    Sempre a causa del meccanismo,  si devono sospendere alcune sostanze usate in eventuali terapie concomitanti, come possono essere:

    • efedrina, fenilefrina (contenuti negli spray nasali), 
    • sibutramina (anti obesità),
    • meperidina (analgesico oppioide)
    • farmaci che aumentano i livelli di serotonina (antiemicrania, altri antidepressivi come i TCA): il rischio è fatale, si sviluppa la sindrome serotoninergica (da tremori, allucinazioni, a coma).

    TCA (Antidepressivi triciclici)

    Efficaci nei casi di depressione da moderato a grave (ad esempio di tipo malinconico), associati ad alterazioni fisiologiche come perdita dell’appetito e del sonno. Il meccanismo prevede l’inibizione del reuptake (riassorbimento neuronale) delle monoamine. Ci sono:

    • amitriptilina, 
    • imipramina, 
    • nortriptilina,
    • clomipramina.

    Gli effetti collaterali

    La struttura, particolare e ricorrente, li rende simili a composti che interagiscono anche con altri sistemi, come quello colinergico, adrenergico, istaminergico, oltre che a quello serotoninergico. 

    Da qui derivano le conseguenze (antagonisti):

    • di tipo colinergico: secchezza delle fauci, stipsi, vertigini, sudorazione e alterazioni della vista;
    • di tipo istaminergico: sonnolenza, sedazione, aumento di peso;
    • di tipo adrenergico: ipotensione ortostatica, disturbi sessuali.

    SSRI (Inibitori selettivi del reuptake della serotonina)

    Si tratta della classe più comunemente usata, tra cui troviamo:

    • citalopram,
    • escitalopram,
    • fluoxetina,
    • paroxetina,
    • sertralina.

    Non sono strutturalmente simili ai TCA, ma ne condividono il meccanismo d’azione.

    Gli effetti collaterali

    Andando però ad interagire solo col sistema della serotonina, generalmente sono più maneggevoli e meglio tollerati rispetto ai “parenti”. Hanno però anche loro uno spettro di tossicità:

    • effetti gastrointestinali: nausea, anoressia e perdita di peso;
    • effetti neurologici: cefalea, ansia, nervosismo;
    • disfunzioni sessuali: riduzione della libido, impotenza, anorgasmia.
    • rischio di insorgenza della sindrome serotoninergica.

    Altre tipologie

    Inibitori della ricaptazione della norepinefrina-dopamina:

    • bupropione.

    Usato per smettere di fumare e nel controllo del peso (metaboliti anoressizzanti).

    Inibitori della ricaptazione della serotonina-noradrenalina:

    • duloxetina,
    • venlafaxina.

    Modulatori della serotonina:

    • mirtazapina,
    • trazodone.

    Punti in comune

    Una particolarità: per iniziare ad avere i primi effetti, sono necessarie minimo due settimane, se non di più. In questa fase è molto importante attenersi al piano terapeutico, senza farsi prendere dall’impazienza: la compliance del paziente è fondamentale, i tassi di ricaduta sono molto alti (50% dopo il primo episodio, 90% dopo il terzo). 

    L’iperico, o Erba di San Giovanni, è reperibile come integratore fitoterapico. Ha una certa attività antidepressiva (usato in alcuni casi lievi), con azione ed efficacia ancora dubbia. Nei periodi di latenza prima dell’azione dei farmaci, pensando di accelerare il processo, è bene consultare un medico prima della sua assunzione, in quanto può scatenare pesanti interazioni farmacologiche additive.

    La somministrazione di un antidepressivo a pazienti con insufficienza epatica o renale va valutata in base al singolo principio attivo, per valutare il corretto metabolismo. Lo stesso criterio è estensibile ai problemi di interazioni con altri farmaci: in particolare per gli anziani, spesso in multiterapia. 

    Per quanto concerne la gravidanza e l’allattamento, è fortemente sconsigliata l’assunzione durante questi periodi: hanno tutti la capacità di attraversare la barriera placentare e sortire effetti, anche se non sono teratogeni (induzione di malformazioni al feto).

    La prescrizione

    Agli atti, è riconosciuta come patologia invalidante soltanto la sua forma più grave, ovvero il disturbo depressivo maggiore (MDD, major depressive disorder). Sfortunatamente però, sono presenti varie declinazioni degli stati depressivi, che possono avere le stesse conseguenze. È proprio qua che si possono commettere errori di valutazione, traviando o tardando una diagnosi: il paziente può lamentare sintomi associabili ad altre patologie, oppure non percepire la giusta motivazione per farsi visitare. Sono comunque disturbi mentali, rientrante nei disturbi dell’umore, che però possono spingersi fino al vero e proprio disturbo bipolare, di cui la depressione è solo un sintomo.

    Nella totalità degli studi clinici, il confronto della terapia antidepressiva con i placebo è schiacciante: vi è una differenza abissale nei miglioramenti dei sintomi e soprattutto nel mantenimento, evitando le ricadute. Sempre a tale proposito, è bene sentire il proprio medico prima di un’eventuale interruzione del trattamento.

    Ogni principio attivo ha i suoi strascichi: in alcuni casi si possono verificare anche peggioramento della condizione, fino alle intenzioni suicide (come nella depressione stessa). L’importante è seguire sempre una linea, in accordo col medico. Alcune persone rispondono meglio a certi farmaci rispetto ad altre, per varie ragioni (tra cui il metabolismo) non del tutto chiare. Bisogna cercare di non desistere, e tentare ancora, fino a trovare quello giusto che porterà ai miglioramenti sperati.

    Fonti

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