Da quando l’emergenza sanitaria si è prepotentemente imposta nelle nostre vite, abbiamo sentito parlare molto degli anziani, delle persone più a rischio di contrarre l’infezione, degli over ’70 e della loro solitudine, del dolore di morire senza un ultimo abbraccio. Si è parlato dei genitori, faticosamente divisi tra smart working e preoccupazioni economiche ed incertezze sul futuro; si è parlato anche dei bambini molto piccoli, del loro diritto negato alla socialità e al movimento, della difficoltà e della paura delle “nuove regole”.
Abbiamo però sentito parlare molto poco dei preadolescenti, degli adolescenti e dei giovani più in generale. Li abbiamo dati un po’ per scontato, pensando che fossero comunque fortunati a poter continuare la scuola nonostante la didattica a distanza. Spesso, poi, li abbiamo chiamati in causa negativamente, additati come gli “untori” di questo virus che continua a dilagare. In fondo, cosa costa loro non uscire per un po’, non vedere gli amici, i fidanzatini? Abbiamo continuato a ripeterci che per noi adulti è molto più dura, alle prese con l’incapacità di gestire questa nuova situazione magari senza stipendio o lavoro e che, in tutto ciò, i ragazzi possono aspettare.
Eppure, tra isolamento forzato, didattica a distanza, attività extrascolastiche e sportive sospese le loro vite hanno subito importanti stravolgimenti. Con quali conseguenze? Come stanno vivendo tutto questo i nostri figli? E qual è il ruolo della famiglia in questo periodo storico così particolare? Ne abbiamo parlato con Barbara Riccioni, family coach, ricercatrice in ambito educazione e nuovi media e autrice del libro “Supereroi online. Il metodo educativo al digitale per crescere bambini di talento e sicuri di sé”.
È vero che sono i giovani la categoria che ha pagato – e sta pagando – maggiormente questa situazione?
Per molti adolescenti, la privazione della propria libertà e delle relazioni affettive ha rappresentato un disagio che non tutti sono riusciti ad esprimere. Per i giovani, la libertà è un bisogno primario al pari di mangiare e di dormire, un bisogno che li sostiene e li accompagna nella formazione e nella crescita della propria identità in relazione non solo a se stessi ma al mondo circostante. A partire da marzo 2020, di punto in bianco, la loro crescita sociale è stata bloccata e senza preavviso.
Si possono già vedere gli effetti di questa nuova situazione sul loro sviluppo relazionale? Se si, quali sono?
Il fatto di non considerare l’impatto indiretto che tutto questo avrebbe comportato per i ragazzi, è stato l’errore di valutazione più grande che potessimo fare e, ad oggi, stiamo iniziando a constatare le ripercussioni di questa deprivazione sociale su più fronti. Sempre più adolescenti stanno chiedendo aiuto, gli stati di depressione giovanile sono aumentati come dimostrano numerose ricerche. Sono comparse nuove paure, generate dalla costante incertezza, sono aumentati i disturbi dell’alimentazione, i problemi del sonno e i problemi relativi ad un uso eccessivo di videogiochi e simili. Ma insieme a tutto questo è aumentata anche la rabbia, la voglia di opporsi a regole che vivono come imposizioni e alle quali scelgono di ribellarsi. E così nascono le manifestazioni, violente e talvolta incontrollabili, dettate dalla paura di sentirsi ancora privati della propria libertà di scelta e di azione.
Quali gli effetti, invece, più a lungo termine?
Non sappiamo ancora quali saranno gli effetti nel futuro ma ciò che con certezza possiamo dire è che, se per i più piccoli i bisogni relazionali possono essere soddisfatti almeno temporaneamente dai genitori, per gli adolescenti, che stabiliscono in questa fase della loro crescita relazioni più complesse con i coetanei, la deprivazione sociale può avere importanti effetti a lungo termine sulla loro salute psicologica.
Uno dei rischi possibili è che i giovani si abituino sempre più alle relazioni filtrate dagli schermi tecnologici: la necessità creatasi con il lockdown e con la chiusura delle scuole potrebbe trasformarsi in un’abitudine poco salutare. Quei “mezzi salvezza” che, paradossalmente, hanno contribuito a ridurre il cosiddetto stress da isolamento e hanno rappresentato per loro l’unica valvola di sfogo e l’unico modo per rimanere in contatto con il mondo esterno potrebbero trasformarsi in una “gabbia sociale”.
Ma non dimentichiamoci che i rischi, dal punto di vista sociale e relazionale, esistono anche per i più piccoli. Al contrario, infatti, dei ragazzi più grandi che in minima parte hanno comunque già sperimentato una buona dose di socialità e sanno quindi cosa significa, i più piccoli iniziano ad interfacciarsi adesso per la prima volta con il mondo della scuola e delle relazioni più strutturate. Sto parlando dei bambini di 6-7 anni che iniziano le elementari, ma anche dei bambini di 3-4 anni, che iniziano adesso il loro percorso all’interno della scuola dell’infanzia. Il timore è che imparino un tipo di socialità distorta e che si abituino a una normalità fatta di distanza e timore nei confronti dell’altro.
Quale deve essere il ruolo della famiglia?
La famiglia in questo contesto ha un ruolo decisivo. Con i bambini più piccoli la famiglia deve fungere da tramite e da filtro tra le comunicazioni esterne e ciò che effettivamente viene percepito dai bambini. I genitori hanno il compito di spiegare perché il mondo intorno a noi è cambiato in questi mesi e perché sono necessari tanti accorgimenti che prima non venivano considerati. I piccoli hanno bisogno di sentirsi al sicuro e quanto più vedranno i propri genitori convivere serenamente con questa situazione, più riusciranno a non lasciarsi sopraffare. Come al solito i figli sono lo stimolo più grande per non farsi travolgere negativamente dagli eventi: voler essere dei buoni genitori ci sprona sempre ad essere l’esempio migliore per i propri figli.
Per quanto riguarda invece gli adolescenti, le cose sono un po’ più complicate. La famiglia, in questo caso, è chiamata a rispondere a due grandi emozioni presenti nei ragazzi: l’incertezza e l’isolamento. Oltre alla mancanza di relazioni e al conseguente senso di solitudine e isolamento, le nuove generazioni oggi si sentono senza una rotta e senza un timoniere in cui riporre fiducia. La famiglia proprio per questo deve rappresentare un sostegno e un punto di riferimento e non trasformarsi in un luogo di scontro e opposizione. Certo, non è facile, avere a che fare con ragazzi nel pieno dell’adolescenza già di per sé richiede una buona dose di pazienza e autocontrollo, ma in questo contesto diventa una necessità e non solo un’opzione se vogliamo tutelare il benessere psico-fisico dei ragazzi.
E degli educatori in generale?
Il ruolo degli educatori, oggi più che mai, deve essere quello di sostegno ai ragazzi e alla famiglia. Siano essi insegnanti o coach sportivi, le figure di riferimento con i quali si confrontano i giovani incarnano lo strumento migliore per spronarli ad affrontare questa sfida con coraggio e determinazione, e con la consapevolezza di essere pronti a sorreggersi l’un l’altro. La risposta alla solitudine e all’isolamento può venire solo dal dialogo, dal confronto e dall’aiuto reciproco.
L’educatore, in questo contesto, deve tendere una mano ai ragazzi, anche se questo può avvenire solo attraverso un’instabile connessione a internet. Non dimentichiamoci però che gli educatori, così come i genitori e come ognuno di noi, sono persone comuni, costretti quindi (come tutti gli altri) a far fronte ad una propria personale battaglia contro lo “stress da pandemia”. Ed è proprio questa ritrovata condizione di umanità che permette loro di sostenere più da vicino i ragazzi e li aiuta a comprendere meglio le loro difficoltà e le loro paure.
Benessere anti-covid: i consigli dell’esperto
Esistono alcune semplici abitudini che, secondo Barbara Riccioni, possono incentivare i giovani a superare attivamente questo momento. Consigli che, in un momento di totale incertezza, possono servire per mantenere in equilibrio l’ago della propria bussola interna.
- Creare delle routine: adesso che lo sport non può essere praticato in modo continuativo, che le attività extrascolastiche sono abolite oppure non ancora del tutto funzionanti e che l’orario scolastico – se non la presenza stessa in aula – è ancora precario, è assolutamente necessario che i giovani gestiscano le loro giornate in modo funzionale. Suddividere il tempo quotidiano tra studio, svago, attività fisica e incontri con gli amici (anche se solo in video), può aiutarli a creare una nuova “normalità”. Si sentiranno così più sereni e anche i loro ritmi biologici inizieranno a riprendere le loro funzionalità.
- Incoraggiarli a tenere un diario (o un video diario) in cui raccontare sentimenti ed emozioni per aiutarli a prenderne consapevolezza e a elaborare soluzioni ai problemi.
- Incoraggiarli a darsi degli obiettivi: sfruttando il maggior tempo a disposizione i ragazzi possono mettersi in gioco per realizzare qualcosa che avrebbero voluto fare da tempo, non solo per stimolarli ad agire e a non lasciarsi andare ma per aiutare a mantenere il pensiero focalizzato su qualcosa di positivo ed interessante.
- Parlare con i propri figli di quello che si prova: i genitori possono confrontarsi su quello che può essere fatto in questo momento invece di soffermarsi esclusivamente su ciò che viene negato.
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