Chi negli anni zero del nuovo millennio ha seguito con attenzione le vicende del nuoto nazionale e internazionale, non potrà certo non ricordare il nome di Paolo Bossini, talento azzurro che ci ha regalato diverse soddisfazioni, tra Europei, Mondiali e Olimpiadi, prima della scoperta, a soli 25 anni, di avere un tumore linfatico.
La sua è una storia di rinascita, alimentata dallo spirito di chi non si vuole mai arrendere per raggiungere i propri obiettivi.
Così lo abbiamo raggiunto in Svizzera, dove è da poco capo allenatore dello Swimming Club Coira, per farci raccontare la sua esperienza sportiva e umana.
Partiamo dal 2005. Hai vent’anni e sei già molto di più di una promessa del nuoto italiano. L’anno prima avevi conquistato due medaglie d’oro europee a Madrid e aVienna e un quarto posto alle Olimpiadi quando vieni fermato da un’appendicite. Come hai vissuto quel momento?
Molto male e penso che abbia un po’ segnato la mia carriera. Nel 2004 ero arrivato quarto alle Olimpiadi di Atene e mi ero presentato ai Mondiali di Montreal molto carico. Avevo già nuotato tempi interessanti e con un tempo, leggermente inferiore a quello che avevo fatto alle Olimpiadi, sarei arrivato secondo. Consapevole di questo chiesi al mio allenatore se potevo rientrare in acqua perché volevo provarci, nonostante fosse quasi impossibile; ma mi si strapparono i punti dell’appendicite e dovetti scappare in ospedale, gettando così la spugna. Ci rimasi male, perché ero consapevole che una medaglia l’avrei portata a casa e invece mi ritrovai a guardare i Mondiali in televisione.
Appena cinque anni dopo, nel 2010, sei però costretto a interrompere la tua carriera agonistica per via di un tumore linfatico. Nel 2009 avevi preso parte alle universiadi di Belgrado, agli europei di Instanbul e la tua carriera era tutt’altro che finita. In altre interviste hai raccontato di esserti aggrappato alla voglia di sconfiggere la malattia e a quella di tornare presto in piscina. A distanza di dieci anni che ricordo hai di quel periodo e quale lezione ha rappresentato quel momento?
Nella mia carriera sono stato fortunato e sfortunato allo stesso tempo. Quelle (l’appendicite e il tumore, Ndr) sono state situazioni che a livello fisico non mi hanno portato a concretizzare realmente quello che era in proporzione il mio potenziale e ho preso tutte queste cose come una sfida; forse per questo sono sempre riuscito a uscirne a testa alta. Attraverso il nuoto ho poi appreso molte cose: il fatto di non mollare mai, di andare sempre avanti, qualsiasi cosa possa succedere. Ci sono sempre difficoltà, ma se si affrontano nel modo giusto si riescono a superare, tanto che il mio motto è sempre stato: ‘Non tornare mai indietro, nemmeno per prendere la rincorsa’, andando sempre avanti, qualunque cosa si presentasse. Ho imparato a lottare e oggi, con la consapevolezza che mi ritrovo, ho riportato tutti questi insegnamenti nella quotidianità e nel lavoro stesso; se mi pongo un obiettivo non c’è niente che mi possa fermare, almeno dal provarci.
Oggi sei capo allenatore dello Swimming Club Coira in Svizzera, come sta andando? Immagino che la tua esperienza ti sia stata utile per trasmettere ai tuoi atleti la capacità di non fermarsi di fronte agli ostacoli, nemmeno quelli che sembrano insormontabili…
Qui sta andando molto bene e dopo l’esperienza fatta come capo allenatore della Repubblica Ceca, a Praga, della nazionale, finalmente qua ho ritrovato me stesso, potendomi dedicare, oltre al lavoro, anche alla famiglia a 360° che per me era la cosa più importante. Qua in Svizzera mi sento come a casa e sto lavorando molto bene con i ragazzi. Sono un allenatore che ascolta molto gli atleti, cercando di metterli, individualmente, nelle condizioni migliori di potersi allenare per raggiungere l’obiettivo prefissato. A volte mi rendo conto di essere tanto esigente con loro e quando magari si demoralizzano per delle stupidaggini, mi parte la vena, mi arrabbio, dicendogli che non hanno veramente voglia di raggiungere il loro obiettivo. Forse sono un po’ cattivo, però sostanzialmente, da atleta, io ho vissuto così questo sport e so bene cosa si deve fare se si vuole raggiungere un obiettivo.
Ringraziandoti del tempo che ci hai concesso, ti faccio un’ultima domanda. In base alla tua esperienza attuale, cosa diresti al Paolo Bossini del 2010?
Non gli direi sostanzialmente niente o semplicemente mi limiterei a dirgli di continuare a fare quello che gli viene dal cuore, perché in futuro, fra dieci anni, sarà contento. Tutte le tappe che ho fatto, dal 2010 fino a oggi, dal trasferimento a Pesaro fino a qui, mi hanno portato tantissimo, anche a livello culturale. Dieci anni fa masticavo solo un po’ di inglese, mentre oggi lo parlo quasi come l’italiano e me la cavo abbastanza bene anche con il tedesco. Oggi sono veramente contento e a quel Paolo gli direi di fare quello che ho fatto, di ascoltare il cuore e andare avanti per la propria strada.
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