Ah la fase 2, quanto l’abbiamo aspettata! Quanti progetti, quante aspettative per il nostro grande ritorno alla libertà.
Dopo una fase 1 caratterizzata da ansia, paure e divieti, quello che ci aspettavamo non era altro che un tranquillo e meritato ripristino della normalità. Una richiesta tutto sommato legittima dopo tanto sacrificio, no?
Ma la realtà -purtroppo- non si è dimostrata all’altezza delle nostre aspettative, che, diciamocelo pure, forse erano troppo, troppo alte.
Già, perché due mesi di lockdown rinchiusi in casa senza poter uscire se non per lo stretto necessario, azzerando completamente i rapporti sociali al di fuori delle mura domestiche, non potevano essere archiviati così, come se niente fosse. Per non parlare poi del fatto che dobbiamo ancora sottostare ad un discreto numero di restrizioni istituite per poter convivere in maniera sicura con il virus.
Così, per molte persone, la fase 2 si è rivelata una fase piena di ombre e nuovi disagi, in cui la parola chiave sembra essere sindrome della capanna: un disturbo che secondo le stime della SIP (Società italiana di psichiatria) ha già colpito circa un milione di italiani e, che, dalle previsioni svolte, sembra destinato a diffondersi ulteriormente.
Ma cos’è precisamente questa sindrome della capanna e, soprattutto, come possiamo combatterla?
Per poter rispondere a queste domande, abbiamo deciso di chiedere aiuto a Francesca Longinotti, psicologa psicoterapeuta e attualmente psicologa dell’emergenza Covid-19, che ci ha aiutato ad approfondire l’argomento, fornendoci preziosi consigli sulle buone pratiche da attuare per poter affrontare questa particolare tipologia di ansia.
Sindrome della capanna
La sindrome della capanna, o sindrome del prigioniero, è una forma di malessere che caratterizza la Fase 2 dell’emergenza Covid-19 e in special modo la ripresa del contatto con l’esterno dopo il periodo di lockdown. Questa sindrome è caratterizzata da forme di ansia, sintomi depressivi, tristezza, incertezza, sentimenti di solitudine, fatica a trovare una motivazione nel proprio lavoro o nella ripresa delle relazioni sociali.
Il timore più diffuso tra le persone che ne soffrono è legato alla paura del virus e del suo contagio, che le spinge ad avere due tipi di reazione:
– diffidenza nei confronti dell’altro, ritenuto incapace di attenersi alle disposizioni di sicurezza convinti che nessuno si sappia proteggere come noi stessi
– paura di essere asintomatico e quindi probabile “contagiante”.
Questo fa accrescere una forma di preoccupazione per le relazioni sociali che rischia di trasformarsi in ansia sociale, ansia che farà sì che la persona che ne soffre preferisca la propria “capanna” -luogo sicuro e rassicurante- rispetto all’esterno.
Come ci ha sottolineato la dott.ssa Longinotti però, l’aspetto che spesso non viene preso in considerazione è che quello che abbiamo subito a causa del Covid è un vero e proprio trauma collettivo, per il quale, a differenza di altre emergenze, come terremoti e alluvioni, soffriamo la mancanza di spazi e tempi per poterci ricostruire: siamo stati colpiti tutti allo stesso modo, rimanendo fin dall’inizio “sospesi” all’interno della nostra casa, unico posto sicuro da cui adesso può essere difficile uscire.
In sostanza dunque, il fatto che la pandemia sia stata di portata mondiale, non ci permette di poter trovare un luogo dove poterci sentire nuovamente al sicuro e ricominciare.
Tutto questo però non deve scoraggiare per due semplici motivi:
1- l’uomo per sua natura è un “animale sociale” ed ha bisogno della relazione con l’altro, oltre ad avere una forte capacità nel riadattarsi a nuove situazioni e nel superare periodi critici della vita.
2- esistono delle buone pratiche che possiamo utilizzare per poter affrontare questa fase.
Buone pratiche per contrastare l’ansia da fase 2
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Valorizzare il tempo libero mantenendo le buone abitudini:
Prima della quarantena eravamo abituati ad una vita frenetica,sempre di corsa, mentre durante il periodo di lockdown, avendo ritmi e tempi decisamente più lenti, abbiamo acquisito e introdotto nella nostra vita nuove abitudini e interessi che adesso non dobbiamo perdere. È fondamentale trovare un equilibrio tra quello che avevamo prima e quello che abbiamo ottenuto durante la pandemia.
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Sfruttare le nostre capacità di coping:
La capacità di coping si traduce nell’abilità che ogni essere umano ha nel rispondere e reagire a qualcosa di imprevisto. In situazioni come quella che stiamo vivendo, spesso sottovalutiamo la nostra capacità di reazione, dimenticando che le nostre risorse sono tante, basta solo riscoprirle.
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Procedere a piccoli passi:
Non è necessario riprendere in maniera automatica e repentina tutto quello che facevamo prima della quarantena. Inoltre, affrontare la ripresa a piccoli passi, impedirà di creare situazioni di disagio e smarrimento qualora ci rendessimo conto di non poter recuperare tutte le attività pre-Covid.
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Ripartire dai propri cari per riacquistare la socialità:
Va bene procedere con calma non sforzandosi di voler recuperare tutto, ma senza isolarsi. Coltivare le relazioni ripartendo dai nostri cari, che sono i nostri punti fermi, per riacquisire una forma anche minima di socialità. Non ci illudiamo di poter fare tutto da soli, perché non possiamo.
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Guardare a ciò che facciamo:
Ormai sappiamo tutti quali sono i giusti comportamenti da tenere per evitare il contagio:
-distanza di almeno un metro
-utilizzo dei dispositivi di sicurezza (mascherina e guanti)
“Partendo dal presupposto che se ci atteniamo a queste semplici regole il rischio è praticamente nullo, non dovrebbe preoccuparci il fatto che le persone intorno a noi siano o no siano “in regola”, perché in ogni caso, siamo protetti” ribadisce la dottoressa Longinotti.
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Il riposo
Non solo notturno. Cercare di fare piccole pause e trovare spazio e tempo per se stessi è fondamentale per mantenere il benessere psicologico.
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Fare esercizio fisico
Anche solo per pochi minuti al giorno: perché la salute mentale è direttamente collegata a quella fisica.
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Limitare rimuginio senza speranza
Farsi prendere dai pensieri negativi e finire in un loop senza uscita è una pratica controproducente e assolutamente da evitare. Per poter riuscire in questo il consiglio è:
-evitare di cercare le notizie sui social (spesso fonti di fake news)
-informarsi tramite le fonti ufficiali (oms, ministero della salute, istituto superiore della sanità), non superando mai le 2 volte al giorno
E se tutto questo non bastasse?
Quelli che vi abbiamo elencato sono semplici consigli da poter attuare nella vita di tutti i giorni. Come sottolineato anche dalla dott.ssa Longinotti, in presenza di sintomatologie che interferiscono in maniera importante con lo svolgersi della vita quotidiana è necessario rivolgersi ad uno specialista per evitare lo sviluppo di un disagio psicologico conclamato.
Per questo, il consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi (CNOP) e il ministero della salute stanno portando avanti tantissime iniziative su tutto il territorio nazionale per poter essere di supporto a tutte quelle persone che necessitano di un supporto psicologico legato all’emergenza Covid.
Conclusioni
Proprio come è già accaduto per altre calamità naturali -come ad esempio i terremoti- il cambiamento che è avvenuto nel nostro contesto territoriale e ambientale a causa della pandemia è stato un vero e proprio trauma collettivo. Da questi eventi negativi però, come ci insegna la dott.ssa Longinotti, possiamo scegliere di cogliere anche gli aspetti positivi, ricordando sempre che non siamo soli in questa situazione e che, per una volta, il detto “mal comune mezzo gaudio” è oggettivamente condivisibile.
Secondo la dottoressa è necessario, infine, affrancarsi da frasi come “tornerà la normalità” e prendere consapevolezza del fatto che, come ogni cambiamento, anche questa situazione ci porterà inevitabilmente avanti verso quella che sarà una nuova quotidianità, alla quale ci adatteremo, grazie alla nostra resilienza.
su Francesca Longinotti
Psicologa psicoterapeuta, specializzata in disturbi dell’ansia. Attualmente psicologa dell’emergenza prima tramite la regione Toscana ora tramite il Ministero della Salute.
Dal 2009 si occupa di psicologia dell’emergenza: ha prestato servizio per i terremoti de L’Aquila, Emilia Amatrice e Mugello, oltre che per gli sbarchi a Lampedusa.
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