Sviluppata la prima vagina artificiale con un chip

La nuova tecnologia arriva dai ricercatori del Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering di Harvard: la vagina in un chip sarà utile per curare la vaginite e non solo

Vagina

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    Dalle menti dei ricercatori del Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering dell’Università di Harvard nasce un nuovo supporto alla ricerca: un chip che sarebbe in grado di riprodurre il microambiente del tessuto vaginale femminile. L’uso dei modelli di organi on a chip, o riprodotti con tecnologie 3D, non è una novità: avevamo già visto infatti come questo tipo di tecnologia abbia permesso di ricreare un cuore, un rene e un mini pancreas per studiare l’effetto di determinati farmaci e testare la loro efficacia in un ambiente più sicuro. Infatti, un grande limite nella produzione di farmaci, che spesso richiede un lungo processo (anche oltre i 10-15 anni), è proprio la traducibilità dei modelli animali: i test di laboratorio non sono sempre in grado di prevedere la risposta umana poiché i processi biologici dell’animale non sono gli stessi dell’essere umano. Qual è quindi lo scopo medico di una vagina su chip? E quali saranno gli sviluppi futuri di questa nuova tecnologia?

    Il vagina-chip contro la vaginosi batterica.

    Come suddetto questa tecnologia permetterà di studiare l’organo riproduttivo femminile in un ambiente sicuro. Infatti la flora batterica degli organi riproduttivi animali è totalmente differente da quella umana, poiché possediamo un microbioma che non può essere paragonato a quello animale. Il chip creato dal Wyss Institute promette quindi di essere una svolta nello studio di malattie batteriche come la vaginosi, un tipo di vaginite. Cos’è la vaginosi batterica? Un’alterazione del PH vaginale che può essere causata da alcuni batteri come:

    • Gardnerella;
    • Prevotella bivia;
    • Atopobium vaginae;
    • Trichomonas vaginalis;

    La flora batterica vaginale è solitamente composta dal 45% di Lactobacilli: batteri buoni che producono acido lattico e mantengono l’ambiente genitale leggermente acido. In condizioni di vaginosi batterica il Ph aumenta e così anche la concentrazione di batteri che non fa parte della flora batterica normale. La vaginosi batterica non causa gravi complicazioni ma può esporre l’organo femminile a contrarre malattie sessualmente trasmissibili e a rischi legati alla gravidanza. Solitamente ci si affida ad antibiotico o pomate per la cura di questo disturbo, ma non è una soluzione definitiva, poiché tramite le cure è possibile incorrere in una serie di effetti collaterali come infiammazioni e in casi più rari anche infertilità. Uno dei limiti più grandi nella cura di questa patologia è proprio la mancanza di modelli preclinici per studiare in modo efficiente il problema. Per questo motivo il modello di chip vaginale può essere davvero una svolta importante.

    L’ingegneria dietro il vagina-chip.

    Ma com’è stato realizzato questo chip che riesce praticamente ad imitare tutte le funzioni corporee di una vagina? La grandezza è quella di una chiavetta USB, composto essenzialmente da un chip in silicone contenente dei canali cavi che manipolano una piccola quantità di fluidi. I canali in questione sono due:

    • Un canale superiore nei quali sono contenute le cellule dei tessuti epiteliali;
    • Un canale inferiore contenente le cellule di fibroblasti (un tessuto connettivo comune nei mammiferi);

    Fra i due canali è stata installata una membrana permeabile così da creare un ambiente artificiale in cui vengono simulati gli strati cellulari dei tessuti vaginali. Questo chip è talmente fedele che riesce persino a rispondere correttamente al cambio di livello di estrogeni permettendo di simulare l’ambiente adatto alla proliferazione di batteri buoni e batteri cattivi.

    Il primo Test sul Vagina-chip.

    Durante il primo esperimento per testare il vagina-chip, il team di scienziati ha inoculato in esso tre specie di batteri che solitamente vengono associati alla vaginosi batterica. Dopo soli tre giorni il PH all’interno del chip è aumentato notevolmente, danneggiando le cellule epiteliali e creando infiammazioni dei tessuti.

    È stato molto sorprendente che le diverse specie microbiche abbiano prodotto effetti così opposti sulle cellule vaginali umane, e siamo stati in grado di osservare e misurare questi effetti abbastanza facilmente utilizzando i nostri vagina chips“, ha affermato Abidemi Junaid, coautrice dello studio. “Il successo di questi studi dimostra che questo modello può essere utilizzato per testare diverse combinazioni di microbi per aiutare a identificare i migliori trattamenti probiotici per vaginosi batterica e altre condizioni”.

    Attualmente il team del Wyss Institute sta cercando di integrare delle cellule immunitarie nel chip per studiare come i tessuti all’interno possano reagire e in che modo una risposta immunitaria possa affrontare delle minacce e come questa possa reagire. Intanto però questo chip gioca un ruolo importante nel regolare la salute della vagina e può sicuramente avere forte impatto anche sulla salute prenatale. Infatti tramite questo dispositivo si potranno studiare le interazioni ospite-microbioma andando ad accelerare l’eventuale sviluppo di trattamenti probiotici.

    Quali saranno gli sviluppi futuri di questa tecnologia? 

    Al momento sembra impossibile simulare una vera e propria gravidanza solo grazie a questa tecnologia, ma il team del Wyss Institute è positivo riguardo al fatto che questo nuovo chip possa rivoluzionare la medicina per arrivare allo sviluppo di cure e tecniche sempre più personalizzate. Il team sfrutterà il chip per ricercare nuovi trattamenti al fine di curare anche altre malattie come: candidosi, clamidia ed endometriosi. Come sottolinea, Caroline Mitchell, ginecologa e membro del Vaginal Microbiome Research Consortium:

    Anche per la candida i farmaci sono sempre gli stessi da decenni. E gli sforzi per sviluppare un vaccino per la clamidia, che può causare danni permanenti all’apparato riproduttivo, sono fermi da tempo. Anche l’endometriosi non è oggetto di molte ricerche nonostante colpisca il 10% delle donne in età fertile. La nostra comprensione dell’ambiente vaginale e della cervice è ancora troppo basica“.

    Fonti

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