La condizione conosciuta come ADHD è un disturbo neuroevolutivo dell’età pediatrica, di solito diagnosticato entro i quattro anni; spesso però diventa evidente solo in età scolare. È una condizione che può essere trattata, ma, anche se i sintomi diventano più gestibili, non esiste una cura risolutiva. Per questo spesso ha conseguenze anche in età adulta. Ma per cosa sta la sigla ADHD? E come fare se si sospetta questo disturbo nei propri figli?
ADHD: cos’è
La sigla ADHD sta per Attention Deficit/Hyperactivity Disorder e indica un disturbo neuroevolutivo; come dice il nome, i segni si manifestano in relazione all’attenzione e/o all’iperattività.
La prima descrizione di questi disturbo si ha in un libro del medico Heinrich Hoffman, dal titolo The Story of Fidgety Philip (1845), ma si dovrà aspettare l’inizio del secolo successivo perché venga inserito fra le patologie riconosciute. Nel 1902, infatti, al Royal College of Physicians, Sir George F. Still tiene una serie di conferenze su questo argomento.
Inizialmente indicato come ADD (che sta per Attention Deficit Disorder), la sigla ADHD comprende anche la sintomatologia dell’iperattività. Infatti le persone che presentano questo disturbo possono manifestare sia una serie di carenze dell’attenzione, sia iperattività, oppure le due insieme.
Le cause
Nonostante l’ADHD si manifesti anche a livello comportamentale, è un disturbo neuroevolutivo, che ha quindi una base biologica. Ciò significa che i comportamenti conseguenti sono solo la manifestazione di questo disturbo.
Sulle cause c’è ancora molta incertezza e nessuna risposta univoca: alcuni studi sembrano individuarle nell’alterazione di alcuni neurotrasmettitori, ovvero sostanze che veicolano le informazioni fra i neuroni del sistema nervoso.
Il motivo che comporta questa alterazione non è ancora chiaro; fra le cause che gli studi hanno individuato troviamo:
- genetica: sembra che la presenza in famiglia di ADHD possa giocare un ruolo nel suo determinarsi
- fattori ambientali, come esposizione a tossine
- consumo di sostanze stupefacenti, alcol o tabacco durante la gestazione
- problemi a livello del sistema nervoso centrale in momenti chiave dello sviluppo
- nascita prematura
Gli studi non hanno trovato nessuna evidenza sul ruolo dello zucchero nei bambini affetti da ADHD; benché in effetti il suo abuso possa causare un comportamento vivace nei più piccoli, è ben diverso da quello causato dall’ADHD, che, come già accennato, ha un’origine strettamente collegata anche con la biologia.
ADHD e altri disturbi
Come già detto, l’ADHD non è un disturbo comportamentale, ma neurobiologico. È però vero che spesso le sue manifestazioni possono essere confuse con altre patologie, come la sindrome feto-alcolica, e in molti casi si riscontra effettivamente una compresenza di ADHD e altri disturbi.
Fra questi:
- disturbi specifici dell’apprendimento, come la dislessia
- disordine dello spettro autistico
- disturbi dell’umore (come il disturbo bipolare o la depressione)
- sindrome di Tourette
- disturbo oppositivo-provocatorio
Quando sospettare la presenza di ADHD
Nello specifico, i sintomi che possono far sospettare la presenza di ADHD si dividono in sintomi dell’inattenzione e dell’iperattività. L’ADHD può infatti manifestarsi in più forme:
- sottotipo inattentivo. Colpisce più di frequente le bambine e mancando la componente iperattiva, la diagnosi può rivelarsi più complessa
- sottotipo iperattivo-impulsivo. Si rileva soprattutto nei bambini maschi
- sottotipo combinato: chi ne è affetto presenta i sintomi di entrambe le tipologie precedenti
La diagnosi di ADHD viene fatta con una valutazione clinica, attraverso vari test, da uno psicologo o un neuropsichiatra infantile. Proprio perché la diagnosi di ADHD è così delicata e non esistono esami che possano dare una risposta immediata e univoca, i parametri per arrivarci sono abbastanza stringenti.
I bambini devono infatti mostrare almeno 6 sintomi su 9 di disattenzione o di iperattività, 6 in ciascun gruppo nel caso del sottotipo combinato. I sintomi del sottotipo inattentivo sono:
- scarsa attenzione ai dettagli e frequenti errori di distrazione (ad esempio nei compiti scolastici)
- difficoltà a restare concentrati
- apparentemente sembrano non ascoltare
- difficoltà a seguire delle istruzioni e portare a termine le attività intraprese
- difficoltà nell’organizzazione
- evitamento di attività che richiedono concentrazione o sforzo mentale
- smarrire spesso gli oggetti
- facilità a distrarsi
- dimenticarsi di fare attività quotidiane
Invece quelli del sottotipo iperattivo-impulsivo sono:
- movimento continuo delle mani o dei piedi
- difficoltà a stare seduti tranquilli (ad esempio in classe)
- essere in continuo movimento
- correre e arrampicarsi sulle cose senza valutare il pericolo
- difficoltà nel giocare o svolgere le proprie attività in modo tranquillo e silenzioso
- logorrea
- risposte impulsive e senza filtri, interrompendo l’interlocutore
- difficoltà ad attendere il proprio turno
- interrompere o intromettersi nei discorsi o giochi degli altri
Altra condizione necessaria per determinare la diagnosi è che questi sintomi si presentino in almeno due situazioni diverse (il caso classico è a casa e a scuola) e per almeno sei mesi di fila, per escludere che la loro causa sia un disagio legato a un determinato momento o contesto.
Esiste una cura per l’ADHD?
In quanto disturbo neurobiologico, non esiste una cura che risolva questa condizione; avendo però esiti comportamentali, il contesto e l’ambiente nel quale si trovano i pazienti assumono un ruolo fondamentale nel contenere i sintomi e aiutare il bambino a gestirli.
L’ADHD non è quindi una malattia dalla quale si guarisce, ma una condizione con cui imparare a convivere, grazie a un trattamento multimodale e studiato per ogni singolo caso.
Le manifestazioni e il livello di gravità di questa patologia sono molto vari, per cui ogni paziente avrà una cura specifica e su misura. Nella maggior parte dei casi gli specialisti si muoveranno attraverso:
- farmaci:
- psicostimolanti, come il metilfenidato
- non psicostimolanti, come l’atomoxetina
- clonidina e guanfacina (usati anche per la pressione arteriosa)
- antidepressivi
- ansiolitici
- terapia comportamentale
- parent/teacher training: ovvero consulenze alle persone che si occupano del bambino per informarle e insegnare loro le tipologie di comportamento da mettere in pratica per migliorare la gestione quotidiana dei sintomi. Fra le varie indicazioni utili possono esserci:
- pianificare la giornata
- dare istruzioni precise
- creare un sistema di ricompensa che comprenda compiti a breve, media e lunga scadenza
- mettere limiti chiari sul comportamento che ci si aspetta in determinate situazioni, premiando il comportamento positivo
Scuola e ADHD
Le difficoltà comportamentali e di attenzione che implica l’ADHD rendono necessario un intervento non solo in famiglia, ma anche a scuola. Qui è necessario supportare l’apprendimento di questi bambini con strategie comportamentali e strumenti adeguati.
L’ADHD colpisce fra il 5 e il 15% dei bambini, con un’incidenza delle diagnosi doppia nei maschi rispetto alle femmine. Inoltre, si calcola che la percentuale di persone con ADHD che presenta anche altri disturbi del comportamento o dell’apprendimento oscilli fra il 20 e il 60%.
È proprio a scuola che spesso i sintomi dell’ADHD si rendono manifesti; la diagnosi può arrivare anche nei primi anni di vita, ma di frequente la difficoltà a stare seduti, il movimento perenne e la mancanza di concentrazione diventano più palesi in età prescolare e scolare.
Vivere con l’ADHD
Avere l’ADHD può comportare pesanti conseguenze sulla vita di chi ne è affetto. Queste diventano ancora più condizionanti se la diagnosi non è mai stata fatta o se l’intervento non è stato abbastanza precoce.
L’ADHD, nonostante sia considerato un disturbo pediatrico, non se ne va infatti con la crescita. In alcuni casi, soprattutto del sottotipo inattentivo, meno evidente, può esserci una mancata diagnosi da piccoli; ottenerla da grandi non è semplicissimo, ma possibile.
Negli adulti affetti da ADHD si possono riscontrare:
- bassa autostima, che spinge ad accettare condizioni lavorative e di vita inferiori alle proprie reali potenzialità
- difficoltà nelle interazioni sociali
- depressione, disturbo distimico (una forma di depressione cronica più lieve ma più protratta nel tempo)
- disturbo bipolare
- disturbo ossessivo-compulsivo
Questo spesso induce comportamenti non consoni al luogo di lavoro, autolesionisti, come l’abuso di sostanze, e criminali, relegando queste persone a una situazione di pesante disagio sociale.
Considerando quali possono essere le conseguenze e quali invece, dall’altro lato, le potenzialità, si capisce come sia importante una diagnosi precoce e un trattamento a 360 gradi, per garantire a chi ne è affetto possibilità commisurate alle proprie capacità.
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