Diagnosticare il Coronavirus: le 4 procedure più utilizzate

Cosa può fare un medico in prima linea che cerca il virus?

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    L’emergenza straordinaria causata dal Coronavirus ha rappresentato, e continua a rappresentare, una grande sfida psicologica, sociale e comportamentale per ogni semplice cittadino. Per tutti i professionisti del settore sanitario quali medici, infermieri, tecnici ospedalieri e così via, oltre a quanto già elencato, si è aggiunta la necessità di trovare il prima possibile protocolli sanitari e metodi diagnostici che permettessero di individuare, curare e tracciare il COVID-19. La scienza medica, infatti, è tale proprio perché, per raggiungere dei risultati il più possibile certi, adotta una serie di specifiche procedure che permettono di individuare la malattia che colpisce qualcuno, escludendo le altre possibilità. Da un lato, si è già parlato molto di quando, a chi e quali test fare o non fare, eppure sembra ancora non esserci molta chiarezza sul perché, eventualmente, questi test vanno fatti.

    Facciamo nostra questa prospettiva di ricerca e vediamo più nel dettaglio le quattro procedure attualmente più utili nella diagnosi e nella tracciatura del Coronavirus: Tac toracica, lavaggio bronchiolo-alveolare (BAL), test tampone e test sierologici. I primi due sono esami profondi dell’organismo, che si possono fare esclusivamente in ospedale, il medico li richiede o li esegue nel momento in cui il paziente è già visibilmente malato e ricoverato, mentre le altre due sono procedure molto meno pesanti o invasive, possono essere richieste o eseguite senza che la persona sia particolarmente malata e, soprattutto, sono due protagonisti indiscussi della scena mediatica delle ultime settimane riguardante il Coronavirus.

    TAC Toracica

    La TAC, o Tomografia Assiale Computerizzata, è un esame medico piuttosto noto: il corpo del paziente viene sottoposto a raggi X – i macchinari di oggi fanno una radiografia a spirale, non più solo lungo un asse trasversale – che permettono di raccogliere una serie di proiezioni parziali della zona del corpo interessata, elaborate da un computer al fine di riprodurre digitalmente l’immagine tridimensionale completa. Insomma, grazie alla TAC è possibile fotografare e, di conseguenza, analizzare la condizione in cui versano gli organi viscerali di una persona (cuore, polmoni, tiroide, linfonodi ecc.); nel caso di una TAC toracica, ovviamente, ci si concentra su quelli della parte alta del corpo, tra i quali i polmoni, il principale bersaglio dei virus respiratori. In questo caso, quello che una TAC toracica può portare alla luce, è un’interstiziopatia, un’infiammazione o, più tecnicamente, un ispessimento dell’interstizio polmonare ( la zona che fa da intercapedine fra i bronchi e fra gli alveoli) che, a seconda della gravità, può indurre il medico a diagnosticare varie tipologie di polmoniti virali o malattie respiratorie. Nel caso del COVID-19, la condizione critica polmonare è elevata, l’interstiziopatia colpisce entrambi i polmoni e, nei casi gravissimi, anche gli stessi alveoli sono compromessi, fino alla manifestazione palese di sindrome da distress respiratorio (ARDS). Il punto fondamentale quando si parla di TAC toracica nel contesto diagnostico del COVID-19 è che questo esame non è, di fatto, esclusivo del Coronavirus: evidenzia la presenza di una polmonite (definita atipica quando differisce da da quella batterica “comune”), ma non può dimostrare con assoluta certezza quale sia la causa di questa.

    BAL o Lavaggio Bronchiolo-Alveolare con ricerca di Sars-CoV-2

    Qualora il sospetto che si tratti di Coronavirus sia elevato e la TAC toracica abbia evidenziato la presenza evidente di una condizione critica dei polmoni, entra in gioco il BAL a fugare qualsiasi dubbio residuo. Si tratta di una broncoscopia, un altro esame medico abbastanza noto anche ai non addetti ai lavori. Un tubicino viene inserito dal naso o dalla bocca dentro le vie respiratorie, che sono scandagliate da una telecamera attaccata all’estremità in cerca di eventuali anomalie; in seconda battuta, grazie a una cannula, si procede all’aspirazione del liquido contenuto nelle stesse vie respiratorie (muco, sangue ecc.). Questo liquido può essere analizzato in laboratorio specificatamente per la ricerca del virus Sars-CoV-2 grazie alla tecnica RT- PCR REAL TIME, o reazione a catena della polimerasi inversa (reverse transcriptase-polymerase chain reaction). Con tale tecnica è possibile verificare la presenza o meno dell’RNA del virus, anche nel caso di concentrazioni bassissime, trattandosi sostanzialmente di reazioni biochimiche che individuano questo RNA attraverso delle “sonde fluorescenti” e lo amplificano per poterlo rendere visibile. La RT-PCR è la stessa tecnica adottata nel caso dei test tampone, ma risulta molto più attendibile quando praticata su campioni prelevati tramite BAL, semplicemente perché provengono da un punto interno del corpo dove il virus si attacca e si moltiplica maggiormente. Non dobbiamo scordare, ad ogni modo, che questa è praticamente l’ultima risorsa nella diagnosi del Coronavirus, il test che decreta una volta per tutte la risposta qualora i tentativi precedenti non siano riusciti a togliere il dubbio, e che viene svolto, così come la TAC, su persone già visibilmente malate.

    Test tampone

    Arriviamo al primo dei due test più facilmente accessibili, il test tampone. I campioni biologici vengono raccolti con dei bastoncini che devono arrivare a prelevare il materiale molto in alto nella cavità nasale e il più in basso possibile nella faringe, così da avere una probabilità più alta di intercettare l’eventuale concentrazione dell’RNA virale; questo viene poi analizzato con la tecnica RT-PCR prima descritta, con tempi di risposta variabili tra le 4 e le 6 ore. Il fatto che sia un esame evidentemente meno invasivo rispetto al BAL – forse più fastidioso per la persona, però, perché a differenza dell’altro, che viene fatto a seguito di anestesia, si è perfettamente coscienti quando il bastoncino entra nelle vie respiratorie – porta con sé il problema prima accennato riguardo l’attendibilità del test stesso: la sensibilità dell’analisi molecolare su campioni del genere è alta, ma anche il rischio di riscontrare falsi negativi, perciò è prassi ripetere il tampone almeno 2 volte a distanza di tempo. Ad oggi, la direttiva italiana vuole che siano sottoposte a test tampone solo le persone sospettate di aver contratto il Coronavirus o di essere state in contatto con qualcuno infetto, dietro indicazione e delibera del personale medico qualificato. Il costo è interamente coperto dal Sistema Sanitario Nazionale, le analisi si svolgono in laboratori pubblici e non è, quindi, possibile sottoporsi al test di propria volontà, neanche pagando.  

    Test sierologici per la ricerca di immunoglobine

    Attualmente più utile allo studio dell’epidemia che per la diagnosi in sé, il test sierologico è l’esame in assoluto più accessibile per cittadini e cittadine che ormai, in aggiunta ad eventuali delibere mediche, possono sottoporsi alla procedura di propria volontà pagando un ticket del valore variabile tra i 20 e i 50 euro presso laboratori d’analisi privati convenzionati con il SSN – è consigliabile informarsi localmente sui prezzi relativi alla propria regione di riferimento. Lo scopo è individuare la risposta immunitaria alle proteine del virus: si fa un prelievo di sangue, si ricava il siero che viene fatto scorrere su una piccola lastra contenente le proteine virali con cui le immunoglobine, se presenti, dovrebbero reagire; se queste ci sono, la lastra si colora lungo delle linee che possono essere relative alle immunoglobine IgM, sviluppate nel periodo immediatamente successivo all’infezione e quindi sintomo di un probabile stadio iniziale della malattia, oppure relative alle immunoglobine IgG, sviluppate sul lungo decorso e perciò sintomatiche di uno stadio più avanzato dell’attacco virale. La prassi vuole che le persone trovate positive alle immunoglobine anti-Covid siano poi sottoposte a tampone, per valutare con più certezza lo stadio della malattia, o viceversa che persone sospettate di essere infette, ma risultate negative ai tamponi, siano sottoposte al test sierologico. In generale, non si può sottovalutare l’importanza statistica legata a questa tipologia di test: più viene tracciata la risposta immunitaria al Coronavirus tra le persone, più si capisce la situazione epidemiologica generale e meglio si può prevedere l’andamento dei contagi.

    Le vie della diagnosi

    A questo punto possiamo intuire quanto il lavoro di diagnosi e tracciatura del Coronavirus (così come di ogni altro virus) sia in realtà un insieme di esami, valutazioni e deduzioni che un medico deve saper elaborare e spiegare. 

    Possiamo provare a descrivere tre scenari possibili in cui queste quattro tipologie di test si incastrino tra loro. Nel primo, abbiamo una persona già malata, costretta al ricovero ospedaliero con vari sintomi tra cui forti problemi respiratori: test tampone, TAC e in ultimo BAL sono i tre strumenti che un medico ha a disposizione per definire la diagnosi e agire di conseguenza. Nel secondo scenario, invece, abbiamo una persona che inizia a sentirsi male, con sintomi come febbre e forte tosse: il primo step obbligatorio è contattare da casa il medico di base che possiede tutti gli strumenti per effettuare un primo triage e, in caso di sospetto COVID-19, richiedere il test tampone, nei casi peggiori dichiarare la necessità di ricovero ospedaliero. Il terzo scenario vede protagoniste, invece, persone che non stanno necessariamente male ma che vogliono sapere (o hanno necessità di sapere) se sono entrate in contatto con il Coronavirus: le strade sono due, o i test sierologici vengono richiesti su delibera sanitaria, oppure le persone possono rivolgersi privatamente ai laboratori convenzionati e, qualora risultassero positive alle immunoglobine, proseguire con il test tampone.

    Come in ogni scienza, la ricerca di un metodo migliore o più veloce è continua, ad esempio è recente la notizia che l’Università di Bologna ha testato con successo l’utilizzo di una tecnica ad elettrochemiluminescenza che riduce di molto i tempi per i risultati del test sierologico. Fa tutto parte delle regole del gioco, quello che in fondo interessa a noi è che, dati alla mano, sicurezza, scrupolo e precisione battono i margini di errore.

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