Coming out e outing non sono la stessa cosa

La differenza tra coming out e outing è enorme. Se da un lato usciamo consapevolmente dal nostro armadio, dall’altro invece siamo costretti…

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    Si sente spesso parlare della differenza tra coming out e outing. Chi non è molto avvezzo alla terminologia LGBTQ+ tenderà probabilmente a fare confusione, se non perfino a ignorare la gravità di un gesto così debilitante come l’outing.

    La differenza è sottile, ma importante per capire quando è giusto usare questi due termini in apparenza simili, ma dal significato abissalmente differente. Perciò, almeno per oggi, mettiamo un attimo da parte i sex toys, le relazioni a tre e le fantasie sessuali e facciamo chiarezza sul tema.

    La differenza tra coming out e outing

    Abbiamo sentito spesso parlare di coming out e di cosa comporta, ma cerchiamo di rinfrescare un po’ la memoria. Fare coming out significa rivelare il proprio orientamento sessuale a un gruppo di persone più o meno intime, che possono essere amici, parenti, colleghi di lavoro ecc. Questo implica “uscire fuori dall’armadio” davanti alla società, mostrare le proprie preferenze sessuali senza più doversi nascondere. Di solito si tratta di un procedimento che viene fatto soltanto quando la persona coinvolta – che sia gay, lesbica, bisex, pansessuale, asessuale… – si sente al sicuro e protett*, ovvero sa che non resterà vittima violenze fisiche, psicologiche e anche economiche (ricordiamoci che in passato ci sono stati casi di allontanamento dal luogo di lavoro o da un nucleo sociale soltanto perché l’orientamento sessuale non corrispondeva a quello eteronormativo).

    Il termine coming out può essere utilizzato anche per esprimere la propria identità di genere, ma in questo articolo ci occuperemo solo dell’orientamento sessuale.

    Si tratta di un viaggio verso l’autoconsapevolezza che non sarà sempre facile, ma neppure sarà completamente doloroso: è un atto di liberazione di sé.

    L’outing, invece, ha un significato molto diverso.

    Anzitutto, si dice “fare outing a una persona” e già qui si comprende il significato etimologico differente: se nel primo caso è la persona della comunità LGBTQ+ a fare coming out, nel secondo caso invece lo subisce perché questo svelamento viene fatto da un’altra persona. In parole povere, fare outing significa rivelare ad altri l’orientamento sessuale di una persona LGBTQ+, senza che lei lo sappia o senza averne avuto il consenso. Non importa chi sia la persona che fa outing o il motivo per cui lo faccia: rivelare a qualcun altro l’orientamento sessuale senza il permesso della persona coinvolta è un atto profondamente irrispettoso e, in certe situazioni, molto pericoloso.

    Perché le persone fanno outing?

    La differenza tra coming out e outing non è solo etimologica, ma anche nel modo di farlo. I motivi per cui una persona fa outing sono diversi e il fare o meno parte della comunità può avere un ruolo in queste motivazioni.

    Si può fare outing per ferire consapevolmente una persona, oppure farlo per leggerezza e senza pensarci. Altre volte, invece, lo si fa per una scarsa conoscenza di come funziona il processo di coming out e dei rischi che l’outing comporta, soprattutto all’interno di un contesto “non protetto”. Un esempio comune di outing fatto all’interno della comunità LGBTQ+ è quando un personaggio pubblico che ha fatto coming out rivela o insinua pubblicamente l’orientamento sessuale di un altro personaggio pubblico senza il suo consenso; di solito queste insinuazioni sono accompagnate da un invito alla persona nel “closet” (ovvero nell’armadio) a fare coming out per supportare la comunità di cui fa parte. Ma non è così che funziona.

    Molte di queste persone, infatti, ignorano il pericolo, lo prendono con leggerezza e calpestano le esigenze personali di chi ha preferito non esternare la propria sessualità.

    L’outing è un reato: perché?

    Che sia per colpa di una leggerezza, per scarsa conoscenza del fenomeno o, ancora peggio, per ferire qualcun*, l’outing rimane una profonda mancanza di rispetto nei confronti della persona coinvolta ed è considerato un reato.

    Pensateci un attimo: qualcuno vi impone di rivelare qualcosa di privato che vi riguarda in prima persona. Anzi, non vi viene data nemmeno la possibilità di fermare questa persona perché il segreto è stato rivelato senza il vostro consenso. Come vi farebbe sentire?

    Il coming out è un atto consapevole fatto unicamente per se stess*: non è mai un’imposizione fatta da altr*. Si tratta di una scelta personale, soprattutto perché si va a ledere la privacy della persona interessata. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con una sentenza del 2 maggio 2011.

    Fare coming out è obbligatorio?

    Fare coming out è un atto di “svelamento” preceduto da un processo di auto-consapevolezza che porta la persona a riconoscere ed accettare la propria identità, finché non si sentirà abbastanza a proprio agio da poterla rivelare agli altri. Si tratta di un percorso interiore e di consapevolezza di sé, di cui la persona dovrebbe avere il pieno controllo. Non è sempre semplice, non è sempre piacevole, ma a un certo punto della vita diventa necessario da affrontare: tuttavia è importante da affrontare solo se la persona in questione si sente al sicuro.

    Dal punto di vista scientifico è risaputo che i vantaggi del coming out sono numerosi, soprattutto dal punto di vista mentale. Secondo il sessuologo Eli Coleman, questo processo viene fatto in cinque tappe: il pre-coming out, il momento del coming out, l’esplorazione, le prime relazioni significative, l’integrazione e l’autodefinizione della propria identità.

    Tutto questo, inoltre, porta a una serie di benefici, tra cui:

    • L’aumento dell’autostima.
    • La diminuzione dell’ansia.
    • La costruzione di rapporti basati sulla reciproca fiducia e sul rispetto.
    • Un maggiore coinvolgimento nella comunità LGBTQ+.

    Il significato di coming out va di pari passo con quello di Pride, ovvero di “orgoglio” dell’appartenenza a se stessi e al proprio modo di amare ed essere.

    Fonti

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