Luca Caliò, anima di Farmeglio, è un consulente che i farmacisti che guardano al futuro conoscono molto bene. A suon di webinar e utili post aiuta a migliorare la gestione e la comunicazione della farmacia e cerca di aprire gli occhi a quelli che lui simpaticamente definisce “farma-sauri”, ancora fermi a una visione ormai anacronistica del settore. Sebbene ogni realtà sia diversa, c’è una cosa che accomuna tutte: l’importanza della figura del farmacista, che lui ci dice essere il brand che vale di più.
Chi è Luca Caliò e cosa fa con Farmeglio?
“Sono un consulente che lavora nel settore farmacia dal 2005; all’epoca avevo un ruolo in un’azienda che si occupava di informatica per le farmacie, in particolare di software gestionali, ma non riuscivo più a lavorare in ottiche aziendali, preferivo fare consulenza a fianco del farmacista, averci un rapporto diretto. Così è iniziata l’avventura di Farmeglio: ora mi occupo in autonomia di consulenze sulla gestione, ma anche della comunicazione e delle strategie digitali per le farmacie”.
Anni di consulenze per Farmeglio. C’è qualche gap o necessità ricorrente che incontra in farmacia?
“Le farmacie fanno enorme fatica a vedersi come un’azienda. Mi chiamano chiedendomi cosa possiamo fare di più?, ma la verità è che sono io quello che deve fare un sacco di domande. Questo perché alcuni miei colleghi viaggiano con in tasca soluzioni un po’ standard, non personalizzate, mentre con il mio modo di lavorare, con una consulenza sartoriale, posso offrire soluzioni efficaci per quella specifica realtà. Tra le domande più ricorrenti sento: “come mai non ci sono guadagni?”, “come possiamo ridurre i costi?”, “quale servizio possiamo incrementare?”
Ogni farmacia è un mondo a sé, ma c’è una potenzialità che tutte hanno (magari a costo zero) e che spesso non riconoscono?
“Non c’è una farmacia uguale all’altra e questo io lo sottolineo sempre, ma ciò che le lega è il camice che ha addosso chi ci lavora dentro e che porta con sé una serie di competenze. La differenza, però, sta nella persona che lo indossa, da chi sei tu al di là del titolo professionale, tu persona oltre che farmacista. È importante quanto metti di te nel tuo lavoro, perché questo mestiere o lo fai perché senti la propensione oppure non devi e non puoi fare un lavoro del genere, cosa che vale anche per gli altri professionisti del sanitario”.
Il tema di un suo webinar recente è stato proprio “il farmacista come brand”; cosa intende?
“Sono molti i brand che cercano di entrare nella tua farmacia; una volta che sono dentro poi ti impegni a dare loro credibilità, a sottolineare professionalmente quei prodotti, fino a che quel marchio non decide di vendere esclusivamente online o di vendere anche alla farmacia accanto alla tua. È qui che il farmacista dimentica che il vero brand è lui, che il farmacista rimane, ma il prodotto no. Sei tu farmacista la cosa migliore, non l’azienda che vendi in quel momento. Spesso si punta ad aumentare gli ingressi, i pezzi medi per scontrino, ma si tralascia l’ascolto: se a fare le domande giuste, come che bisogno hai?, riesci a capire quale problema devi risolvere, automaticamente venderai dei prodotti, ma in farmacia, come sui social, il prodotto è la soluzione e quindi andrebbe svelato alla fine del processo. L’errore di molti farmacisti invece sta proprio nel centrare la comunicazione su un prodotto o su un’offerta straordinaria”.
La pandemia ha accelerato l’uso di e-commerce farmaceutici, ma anche fatto rivalutare la figura del farmacista. In che modo il negozio fisico potrà sopravvivere nel tempo?
“La farmacia come punto di riferimento sul territorio ci sarà sempre, specialmente in zone rurali. Si dovrebbe capire, anzi, che in una realtà disagiata si hanno grosse potenzialità, come la telemedicina: un caso sono gli ECG che si possono fare in farmacia per poi ricevere la refertazione online fatta a distanza dai medici. Alcune tipologie di analisi, che sono sempre state viste con superficialità, in alcune zone possono davvero costituire la marcia in più.
In città la situazione è diversa, invece: vedo catene rilevare grandi realtà messe in ginocchio negli ultimi tempi. Le farmacie si estinguono, soprattutto quelle di chi è rimasto aggrappato alla farmacia degli anni ’90; la marginalità, infatti, ormai è ridotta al minimo e non si può più contare su quella che era la ricetta rossa, per questo è fondamentale innovare, per esempio con servizi realmente utili ai propri clienti, digitalizzazione, distributori locker, telemedicina e galenica.
Con la pandemia abbiamo avuto la possibilità di cambiare passo, alcuni hanno voluto incautamente aspettare, altri invece hanno capito che era questo il momento di fidelizzare i clienti. I “farma-sauri”, come li chiamo io, stanno aumentando, ma i farmacisti del futuro sanno come sopravvivere. Un caso è quello della farmacia della dottoressa Bianca Peretti, loro sono stati tra i primi in Italia a occuparsi di aderenza alla terapia: hanno un team di 12 professionisti, laboratori, più linee telefoniche e seguono a 360° la terapia del cliente che è a tutti gli effetti un paziente. A questo aggiungono una presenza quotidiana ricca di informazione e divulgazione sulle principali piattaforme social”.
Come dice lei, il social, se usato bene, è un prolungamento del banco. In che senso?
“Ci sono sono strumenti, anche semplici come WhatsApp e Telegram, che ti permettono di arrivare ovunque: in questo modo anche una farmacia di campagna potenzialmente può arrivare a Milano. Il tuo consiglio è un’arma fondamentale rispetto ad alcuni giganti, ma devi essere bravo a uscire dalla tua farmacia.”
Non solo comunicazione, quindi, ma anche informazione e divulgazione.
“Il farmacista ha un vantaggio dalla sua parte: conosce alcune problematiche dal vivo e di conseguenza ha una mole di materiale enorme. Quando i miei clienti mi dicono che non hanno argomenti di cui parlare sui social, io rispondo: ma tu lavori in farmacia o sbaglio? In più, il farmacista ha tutte le competenze per poter fare informazione e divulgazione scientifica. Per offrire una consulenza, però, devi aprire la tua farmacia all’online, ma questo non basta: devi seguire quello che succede, rispondere, perché se hai avuto la fortuna di avere interazioni devi coltivarle, non abbandonarle, tenendo sempre in mente che non è certo il numero di follower che porta le persone in farmacia”.
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