I sex toys partono da un bisogno: conoscere il nostro corpo e soprattutto portare piacere. Da soli o in compagnia, questi accessori erotici hanno iniziato a far parte sempre più spesso della nostra vita sessuale, così da risvegliare la libido maschile e femminile e portare un po’ di brio sotto le lenzuola.
I sex toys sono per tutti/e e devono rispondere al desiderio sessuale di chiunque. Diamo per scontato la loro forma e il loro utilizzo, ma siamo sicuri di conoscerli veramente?
Ad esempio, forse non tutti sanno che esistono i sex toys per donne affette da disabilità. Come funzionano? Ce ne parlano in un’intervista Emanuela e Ivan, i fondatori di Witsense.
Disabilità e sessualità: due argomenti fanno un tabù
Il sesso è un argomento tabù nella nostra società, in realtà sempre meno, ma parlare di disabilità e di sessualità nella stessa frase ha sempre messo in difficoltà molte persone. Per anni abbiamo dato per scontato che chi è affetto da una qualche forma di disabilità, mentale o fisica, non abbia una vera e propria vita sessuale o un’esigenza nei confronti del sesso. Ma non è così. Le persone disabili non ricevono spesso un’educazione sessuale adeguata e questo può portare un forte impatto emotivo nella sfera privata dell’individuo.
Da anni in Italia c’è un dibattito legato all’approvazione della legge per l’assistente sessuale. Dal 2014 il comitato LoveGiver di Max Ulivieri ha proposto il disegno di legge per il riconoscimento e la formazione dell’operatore all’emotività, all’affettività e alla sessualità, ma i cambi di governo hanno fatto decadere tutto. Questo tipo di figura è riconosciuta da oltre trent’anni in Olanda, Germania, Danimarca e in Svizzera. In alcune regioni italiane si stanno comunque attivando delle sperimentazioni e LoveGiver ha già formato autonomamente un primo gruppo di operatori. Esistono anche delle fantasiose alternative per permettere a questa categoria di persone di sperimentare l’erotismo in tutta tranquillità. Come ad esempio LoveWear, il sex toy per donne disabili proposto da Witsense.
Anzitutto, che cos’è Witsense? Creata nel 2017, la startup lombarda è nata dall’idea di ideare un progetto dedicato all’abbigliamento per persone affette da autismo. Alessia Moltani, Emanuela Corti e Ivan Parati hanno proposto SenseWear, una serie di abiti e accessori che migliorano i nostri sensi. Unendo le loro conoscenze in ambito di tecnologia e design, hanno creato una serie di strumenti per migliorare la vita quotidiana di persone disabili e non, sfruttando l’innovazione per metterla al servizio dell’inclusione sociale. LoveWear è uno dei loro ultimi progetti e ce ne parlano Emanuela e Ivan, i suoi creatori.
Intervista a Witsense
Com’è nata l’esperienza di LoveWear?
Emanuela: LoveWear nasce da un’esigenza che abbiamo individuato tra le persone disabili. Abbiamo seguito una serie di influencer molto conosciuti nell’ambito della disabilità e abbiamo notato che c’era la tendenza del body positivity: ognuno ha diritto a mostrare il proprio corpo, al di là delle etichette. Alcuni di questi influencer hanno postato foto volutamente sexy e sono stati spesso bannati dai media: l’esempio più lampante è stata Alex Dacy, (Instagram: @wheelchair_rapunzel), che ha denunciato il fatto che le sue foto venissero bannate, mentre quelle di molte altre ragazze venivano lasciate libere.
Ivan: Ci è sempre piaciuto parlare di argomenti scomodi. Ci confrontiamo con tematiche di diversità e inclusività, chiedendoci cosa creare a livello di design per tutti/e, ma soprattutto per alcune categorie di persone. Siamo andati a diversi eventi che trattavano questo argomento e lì abbiamo incontrato i genitori di persone disabili. Dai loro discorsi è emersa una questione comune: ovvero che la sessualità per disabili è un tabù per tutti, ma soprattutto per il disabile stesso. Quando abbiamo proposto la linea abbigliamento per persone autistiche, l’autismo è stato un argomento quasi tabù fino a qualche anno fa. Anche oggi la disabilità e la sessualità sono argomenti scomodi. Si tratta di una questione culturale: raccogliendo esperienze, abbiamo visto che c’è tutta un’altra confidenza e approccio verso questi argomenti da parte di alcune persone.
Come funziona LoveWear?
Ivan: LoveWear è composto da un cuscino su cui appoggiare la faccia e da una parte di intimo dove è posizionato un device che contiene delle pompe miniaturizzate. Tramite il gonfiaggio di alcune camere vengono stimolati i genitali o determinate parti del corpo con l’utilizzo dell’interfaccia che si trova sul cuscino. Questa cosa può funzionare anche in un gioco di coppia a distanza anche per coppie non disabili (durante il lockdown è una cosa che tutti avrebbero voluto!). Il nostro strumento vuole invogliare a una sessualità sana e naturale, ma non deve sostituire il rapporto di coppia.
Sono stati ideati altri tipi di sex toys per le persone disabili?
Emanuela: Abbiamo visto un prototipo dove c’è una tuta che con delle parti gonfiabili che fa delle pressioni sul corpo. Però non lo riteniamo molto fattibile. Poi c’è una “Magic Wand” gigante che può essere tenuta in mano proprio perché è grossa ed è stata pensata per le persone con l’artrite.
Ivan: Ci sono alcune cose che sono preferibili dal disabile perché sono disable friendly per essere impugnati o maneggiati.
Emanuela: Noi ci rivolgiamo soprattutto a persone con movimenti limitati nelle parti superiori del corpo. Ad esempio, con LoveWear puoi prendere il cuscino e toccarlo con le mani, con la testa, con la spalla. Non sei costretto a raggiungere le tue parti intime.
Paola Tomasello è la sessuologa che ci ha accompagnato nel percorso. Con lei abbiamo fatto dei questionari in italiano, in inglese e in spagnolo per fare dei focus group per raccogliere informazioni su come realizzare il sex toy ideale.
Cosa è emerso da queste interviste?
Ivan: Abbiamo visto che in alcune disabilità non c’è un movimento ampio. Alcune persone, ad esempio, possono muovere solo le dita: loro non potrebbero usare il cuscino e sarebbe meglio una pallina. Così abbiamo capito che serviranno altri sviluppi del progetto, a seconda della disabilità.
Da queste interviste è però emerso che le persone disabili vorrebbero un prodotto come chiunque altro: vorrebbero sentirsi sexy e sensuali senza barriere. Abbiamo chiesto anche le dinamiche di utilizzo e abbiamo visto che c’era la necessità di creare un prodotto da indossare la mattina grazie al caregiver, per poi essere attivato da soli. Doveva essere qualcosa di poco fastidioso e gestibile.
Emanuela: Quando abbiamo fatto i questionari su come si immaginano il loro sex toy ideale, gli italiani hanno risposto: “Non lo so, non esiste”. Gli spagnoli invece sono stati molto specifici: “Me lo immagino lungo, che posso tenerlo in mano…”
Voi vi occupate di dispositivi per persone con una qualche forma di disabilità. Il lavoro che fate è lungo e, immagino, pieno di difficoltà. Di solito dietro ogni grande progetto c’è sempre una storia: qual è la vostra?
Emanuela: Il fatto che siamo due genitori ha in parte fatto scaturire la ricerca, ma non solo. È stato anche merito delle storie di alcune famiglie, che ci hanno aiutato a capire meglio questa problematica.
Abbiamo contattato Max Ulivieri, che ha cercato di far approvare una proposta di legge per l’assistente all’emotività qui in Italia. Si tratta di una persona che accompagna la persona disabile nella scoperta del proprio corpo, delle relazioni e della sessualità. Max, insieme a un team di psicologi e avvocati, cerca di formare una persona simile. All’inizio il suo feedback era per noi importante perché alla fine non siamo i diretti interessati. La sua reazione è stata molto positiva, ma ci ha detto di stare attenti a mettere in luce il fatto che questo dispositivo non deve sostituire il contatto umano (come alla fine ogni altro sex toy). Dovevamo creare uno strumento di aiuto per il disabile e per chi si occupa del disabile.
Ivan: I ragazzi di oggi imparano la sessualità dalla pornografia online. Perciò che male possono fare a loro delle mutande masturbanti? Noi usiamo tecnologie per un fine diverso per quello per cui sono usate maggiormente. Tanti disabili ancora non accettano il fatto di avere una propria sessualità e talvolta è necessario partire da questo per cominciare a normalizzare l’idea della sessualità nella disabilità.
Emanuela: La disabilità appartiene a chiunque, soprattutto diventando anziani. Con l’avanzare dell’età diminuiscono molte funzioni motorie. Per questo partiamo da un bisogno comune, ma il nostro prodotto deve essere inclusivo. Dobbiamo renderlo utilizzabile da tutti, ma ci sarà comunque qualcuno che potrà beneficiarne in molto particolare.
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