La paura di incorrere in una trombosi è tanta, ed è ciò che spinge molte donne ad interrogarsi su questa delicata questione. Il dibattito sugli effetti della pillola e il loro legame coi disturbi della coagulazione è sempre aperto. Ma è davvero obbligatorio sottoporsi ad un check-up ematologico completo, prima di iniziare la terapia?
Gli esami della coagulazione
Gli esami della coagulazione servono a valutare se il processo di formazione del coagulo è idoneo all’arresto di eventuali sanguinamenti, o se è eccessivo e quindi rischia di formare trombi ed emboli. Si suddividono in tre livelli, che vanno dallo screening di routine alla ricerca di specifiche predisposizioni genetiche:
Esami di I livello
- PT – Tempo di protrombina (o di Quick);
- PTT – Tempo di tromboplastina parziale;
- Fibrinogeno – Clauss;
- AT – Antitrombina III;
- D-Dimero.
Sono tra gli esami di routine. La coagulazione avviene mediante un processo che si suddivide in due vie, estrinseca ed intrinseca. I due principali attivatori, di una e dell’altra via, sono appunto la protrombina (fattore II) e la tromboplastina. In particolare, il tempo di protrombina è quello più utilizzato nella valutazione delle terapie anticoncezionali orali. Gli altri parametri si riferiscono alla quantità e attività del fibrinogeno, principale substrato nella coagulazione, e del principale inibitore di questo processo, ovvero l’antitrombina. La presenza di D-dimeri, che derivano dalla degradazione del “tappo” di fibrina formato nel coagulo, è usata come marker per stabilire se l’attività del processo coagulativo è troppo alta (più dimeri da maggiore quantità di fibrina).
Esami di II livello
- Proteina C coagulativa;
- Proteina S funzionale;
- APCR (Resistenza alla Proteina C attivata);
- Omocisteina.
Un mancato bilanciamento o adeguata attività delle proteine C e S, possono portare alla formazione incontrollata di coaguli. Questo è lo stesso motivo per cui si controlla anche un’eventuale resistenza all’attivazione di uno di questi fattori. L’omocisteina, invece, sembra avere un effetto pro-aggregante (maggiore adesività delle piastrine).
Esami di III livello
- Fattore V;
- Fattore II;
- PAI-1;
- Omocisteina MTHFR 1;
In questo caso si valuta la genetica. Mutazioni del fattore V, indispensabile per l’attivazione della protrombina, aumentano il rischio trombotico. Anche una mutazione nel gene stesso della protrombina (convertita poi in trombina), che porta a elevati livelli nel sangue, conduce allo stesso rischio. Il gene PAI-1 è un forte inibitore della degradazione del coagulo, bloccando l’attivazione del plasminogeno (PAI-1). Il gene MTFHR (metiltetraidrofolato reduttasi) è coinvolto in un altro tipo di metabolismo, ovvero quello dell’omocisteina.
Gli esami e la pillola
Ma perché interrogarsi sulla bontà del processo coagulativo (anche se fa sempre comodo saperlo), prima di iniziare una terapia anticoncezionale? Il motivo è l’aumentata incidenza di eventi trombotici in donne che assumono la pillola. Ci sono riferimenti che parlano di un aumento che può arrivare fino anche a quattro volte, rispetto alle donne che non la assumono. Qui è doveroso fare la prima specificazione. Il rischio è molto basso. Anche nei valori aumentati, si parla di numeri che vanno dalle 5 alle 12 donne su 10000, seppur il rischio sia comunque presente. Anche l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) si è espressa a riguardo, mostrando che comunque i benefici della terapia anticoncezionale superano di gran lunga gli eventuali aspetti negativi. Si consideri che anche la gravidanza stessa rappresenta un più serio rischio di sviluppo di trombosi. Ad ogni modo, la pillola e relativa terapia sono prescritte da un medico: è lo specialista che è maggiormente in grado di stabilire se sono necessari approfondimenti. Un’attenta considerazione delle abitudini, patologie e storia familiare (anamnesi), aiuta in gran parte la scelta. Questo può anche evitare la prescrizione di accertamenti non strettamente necessari.
Il rapporto con la pillola
L’aumentato rischio dello sviluppo di eventi trombotici sembra essere legato strettamente al contenuto della pillola. Le tipologie di questi contraccettivi si suddividono in varie generazioni, che hanno portato a prodotti contenenti estrogeni, progestinici o una combinazione dei due. Gli effetti metabolici sembrano essere attribuibili in primis agli estrogeni, che possono far variare le concentrazioni dei vari fattori coinvolti nella coagulazione. Questo effetto è correlato anche al dosaggio: quantità maggiori (risalenti alle prime generazioni) portano a maggiori incidenze. Inoltre, fanno variare anche altri parametri ematici, come ad esempio quelli riguardanti il colesterolo. Tutto ciò incrementa il rischio di sviluppare queste patologie. Tuttavia, l’attribuzione del rischio anche degli altri composti più recenti, a base progestinica o combinata, è sempre in valutazione: seppur il rischio sia minore a confronto, non ci sono dati sufficienti a stabilire un loro non coinvolgimento. Sicuramente parte del pericolo è scongiurata dai generalmente bassi quantitativi di principi attivi, contenuti nei prodotti più recenti.
Proprio per questo si avvalora sempre di più l’ipotesi che il vero ago della bilancia sia il quadro di salute generale del paziente. Infatti, ci sono variabili che possono giocare ruoli decisivi:
- età;
- sedentarietà;
- fumo;
- diabete;
- obesità;
- ereditarietà;
- trauma.
I maggiori benefici inclusi nella terapia anticoncezionale includono, oltre a evitare le ripercussioni fisiologiche successive alla gravidanza (anche indesiderata), anche gli effetti terapeutici. Terapie con contraccettivi ormonali possono essere indicate per il trattamento di:
- sindrome premestruale;
- dismenorrea (dolore nel ciclo mestruale);
- endometriosi;
- ovaio policistico;
- irregolarità nel ciclo o eccessivo sanguinamento (menorragia).
Milioni di donne sono sottoposte a tali terapie, e molte poche di loro hanno sperimentato gravi effetti collaterali. Periodicamente vengono redatte delle linee guida per la terapia anticoncezionale, e relativi esami consigliati, anche dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Restano comunque importanti gli esami del sangue, durante l’assunzione della pillola: i disturbi metabolici, come l’aumento dei livelli di colesterolo e trigliceridi, talvolta ne rendono necessaria la sospensione o il cambio.
La valutazione di ogni possibile fattore che può incrementare il rischio, come lo stesso monitoraggio durante la terapia, deve essere fatta sotto la guida di uno specialista.
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