Turismo e Covid: in che modo potremo viaggiare di nuovo?

Quello che ci siamo lasciati alle spalle è stato un anno terribile per il turismo. Abbiamo fatto una fotografia del settore per capire come ripartire

turismo e covid: i test e come viaggiare

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    All’inizio di giugno scorso, provati da un lungo periodo di lockdown dovuto alla più grande crisi sanitaria mondiale dal secondo dopoguerra a oggi, ci chiedevamo se sarebbe stato sicuro andare in spiaggia con il Covid-19 entrato tragicamente nella nostra quotidianità.

    La ormai “lontana” estate 2020, parentesi in cui il virus ci aveva dato un po’ di tregua, è un ricordo e un auspicio che, con i vaccini che in maniera eterogenea sono diffusi tra la popolazione mondiale, i prossimi mesi caldi saranno ancora migliori di quelli che ci siamo lasciati alle spalle l’anno scorso.

    Partendo dai dati generali del turismo e passando attraverso le voci europee e italiane (dal segretario generale dell’Agenzia turismo dell’Onu Zurab Pololikashvili fino all’Assessore Economia e Turismo Regione Toscana, Leonardo Marras passando per il Co-Founder di WeRoad, Fabio Bin), abbiamo provato a tracciare una mappa sulla quale leggere e ricostruire il futuro del settore; incerto sì, ma con tanti fari di speranza.

    Indice dei contenuti

    L’anno terribile del turismo mondiale

    Sicuramente qualcuno penserà che non ci sia bisogno di dati per capire che l’anno che ci siamo lasciati alle spalle è stato tragico per il turismo internazionale.

    Il disastro economico registrato però dalla UNWTO, l’Organizzazione mondiale del turismo, va ben oltre l’immaginazione.

    Un miliardo in meno di arrivi turistici, una perdita di 1.3 trilioni di dollari in entrate totali da esportazione dal turismo internazionale e tra i 100 e i 120 milioni di posti, legati al mondo del turismo, a rischio, sono cifre complessive spaventose che si accompagnano a quelle altrettanto preoccupanti dei singoli continenti.

    A farne le spese più grosse, come è facile immaginare, è stata l’Asia, che ha visto crollare durante l’anno gli arrivi dell’84%, mentre non è andata male (si fa per dire) all’Africa, dove la diminuzione si è attestata al “solo” -70%.

    Bene, sempre fra moltissime virgolette, i Caraibi e l’America del Nord (entrambi al -67%) dove, dopo i picchi negativi di maggio e giugno (-90%), si è registrata una chiusura d’anno in netto miglioramento (-64%, ma con una percentuale di aumento del 40,6%).

    E la nostra Europa? Male ma, vista la situazione, non malissimo. Dopo il -98% di aprile e il -96% di maggio, l’estate è stata una piccolissima boccata di ossigeno (agosto, -67%) e anche settembre e ottobre hanno retto (-6,9% rispetto, proprio, ad agosto), mentre la chiusura d’anno è stata piuttosto negativa (-85% a dicembre).

    Una tendenza che è poi, numero più o numero meno, anche quella della parte sud dell’Europa che si affaccia sul mediterraneo e che evidentemente riguarda anche l’Italia: male, malissimo, i mesi primaverili, meglio in agosto (-66%), con un ritorno a cifre preoccupanti negli ultimi due mesi dell’anno.

    La risposta dell’Organizzazione mondiale del turismo (UNWTO)

    Una volta scattata a marzo 2020 l’emergenza globale, la risposta internazionale legata al turismo non si fece attendere. Il 19 del mese la UNWTO ospitò a Madrid una riunione virtuale di alto livello in cui si incontrarono le principali agenzie delle Nazioni Unite, i presidenti del suo Consiglio esecutivo e delle Commissioni regionali, oltre ai leader del settore privato, con l’obiettivo di sensibilizzare la cooperazione internazionale, sottolineando la necessità di una risposta unitaria basata sulle raccomandazioni di salute pubblica.

    Fin da subito fu chiaro che si trattava di un’emergenza sanitaria che avrebbe avuto ripercussioni che sarebbero andate ben oltre il turismo e, nei giorni successivi alla prima importante riunione, l’UNWTO pubblicò un documento con una serie di passaggi che governi e autorità avrebbero dovuto compiere per mitigare l’impatto del COVID-19 sul settore turistico.

    Frutto della riunione fu inoltre la creazione di un Comitato globale di coordinamento che, come come sottolineato dal segretario generale Zurab Pololikashvili il 23 dicembre 2020, ‘si è dimostrato cruciale nel guidare la nostra risposta al Covid-19 e nell’informare rispetto alle misure e agli strumenti per mitigarne l’impatto sui posti di lavori e sulle imprese’ con la Commissione europea che ‘ha aperto la strada della trasformazione delle parole di incoraggiamento in azioni risolute, in particolare con il suo sostegno economico senza precedenti al turismo in questo momento cruciale’.

    Oggi che la pandemia è tutt’altro che passata ma che vede nella distribuzione dei vaccini, si spera sempre migliore e più capillare, una luce di speranza, ‘protocolli di viaggio armonizzati e coerenti sono essenziali per ripristinare la fiducia nei viaggi internazionali e far ripartire il turismo. ‘Tuttavia – prosegue Pololikashvili – la ripresa del turismo (e dei molti milioni di persone che dipendono da esso) non può aspettare che le vaccinazioni di massa diventino realtà. È giunto il momento di ripensare le regole di quarantena per i turisti, abbracciando l’innovazione e trovando nuove soluzioni per “testare” i viaggiatori prima o dopo il viaggio’ con l’obiettivo, da perseguire in maniera parallela, di alleggerire o eliminare le restrizioni ai viaggi, in modo responsabile e coordinato, non appena ciò sia sicuro e fattibile.’

    L’idea di un passaporto vaccinale

    Intanto a fine gennaio 2021 è emersa ufficialmente, tra i banchi dell’Unione Europa, l’idea dell’introduzione di un passaporto vaccinale che permetta, in sicurezza, la necessaria ripresa degli spostamenti.

    Una proposta che si è fatta ancora più concreta il 17 marzo, quando la stessa Unione ha annunciato le tempistiche, che prevedono l’introduzione di un passaporto vaccinale prima dell’estate e ha presentato la proposta al Parlamento Europeo e agli Stati membri che dovranno approvarla, nella prossima sessione plenaria (26-29 aprile).

    Un Digital Green Certificate che, come riportato dal sito ufficiale della Commissione Europea, ‘faciliterà la libera e sicura circolazione dei cittadini all’interno dell’UE durante la pandemia di Covid-19.

    Responsabili del rilascio saranno le autorità nazionali ma ‘potrebbe, ad esempio, essere rilasciato da ospedali, test center, autorità sanitarie’. ‘La versione digitale’ prosegue il testo ufficiale ‘potrà essere memorizzata su un dispositivo mobile’ anche se i cittadini potranno chiederne anche una versione cartacea.

    Entrambe le versioni avranno un QR Code che conterrà ‘informazioni essenziali, oltre a un sigillo digitale per assicurarsi che il certificato sia autentico’. Con questo certificato il cittadino europeo ‘dovrebbe essere esentato dalle restrizioni alla libera circolazione allo stesso modo dei cittadini dello Stato membro che sta visitando’ e, se lo Stato membro chiederà al possessore del Digital Green Certificate di sottoporsi a un regime di quarantena o a un test, dovrà informare la Commissione e tutti gli altri Stati membri, giustificando tale decisione’.

    Il Digital Green Certificate non sarà, comunque, ‘una condizione preliminare per la libera circolazione, che è un diritto fondamentale nell’UE’. ‘I certificati di vaccinazione verranno rilasciati alle persone vaccinate con un qualsiasi vaccino Covid-19’; gli ‘Stati membri dovranno accettare i certificati di vaccinazione per i vaccini che hanno ricevuto l’autorizzazione all’immissione in commercio dell’UE’ ma saranno liberi di estenderlo (o meno) ‘anche ai viaggiatori dell’UE che hanno ricevuto un altro vaccino’.

    Allo stato attuale la Commissione sta collaborando con l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) affinché i certificati rilasciati nell’UE possano essere riconosciuti anche in altre parti del mondo e ‘la Commissione è in contatto anche con l’ICAO, l’organizzazione internazionale che rappresenta i viaggi’.

    Intanto le compagnie aeree stanno lavorando a tutta una serie di soluzioni tecnologiche per verificare la negatività dei passeggeri e la loro vaccinazione con app come IATA Travel Pass (testata dalla Singapore Airlines e Qatar Airways), la francese AOKpass della compagnia di sicurezza dei viaggi International SOS, oltre alla CommonPass, sviluppata da un’organizzazione no-profit svizzera in collaborazione con il World Economic Forum.

    Negli Stati Uniti, infine, l’American Airlines Group ha firmato un accordo per l’app VeriFly e la United ha sviluppato una piattaforma interna (la Travel Ready) che permette, già dai primi di aprile, ai passeggeri di caricare le informazioni sul loro stato di vaccinazione.

    Secondo Jeffrey Goh, CEO della Star Alliance Services GmbH che riunisce 26 compagnie aeree tra cui Air China, Deutsche Lufthansa, Singapore Airlines e United Airlines Holdings, la questione resta però soprattutto politica e secondo il CEO della Star Alliance servirà un accordo sul passaporto vaccinale tra i Paesi del G-7 o del G-20. Un accordo globale sui passaporti vaccinali che ancora non c’è ma che, usando le sue parole, rappresentano ‘una scelta politica per riaccendere l’economia’.

    La situazione italiana: come ripartire?

    Naturalmente, è sotto gli occhi di tutti che il nostro Paese che vive di turismo, grazie all’enorme patrimonio culturale e paesaggistico, è tra quelli che ha maggiormente sofferto la pandemia da questo punto di vista. Non è un caso che a patire di più siano state, come riportato da Coldiretti, le città d’arte (Firenze, Napoli, Roma e Venezia) e, non troppo sorprendentemente, gli agriturismi, meta abituale degli stranieri.

    La ripartenza, soprattutto del turismo interno, è però condizionata dalla campagna vaccinale, legata all’organizzazione nella somministrazione delle dosi (al 15 di aprile si attestava all’81.3% rispetto alle dosi consegnate con il picco dell’87.9% del Veneto) ma anche alla consegna dei vaccini.

    Sempre alla data del 15 aprile, infatti, è stato possibile vaccinare con prima e seconda dose 4.138.845 milioni di italiani, il 9.97% dei circa 41.480.296 che servono per arrivare alla tanto agognata immunità “di gregge” (che, di questo passo, sarà raggiunta il 15 dicembre 2021).

    Una situazione che corre parallela con le restrizioni sugli spostamenti, estremamente stringenti, all’interno e tra le Regioni italiane, sempre regolamentate da colori (bianco, giallo arancione e rosso) che definiscono il livello di rischio e cosa si può o non si può fare.

    Dopo una breve parentesi in bianco, segnale di un livello minimo di diffusione del virus, per la Sardegna, l’Italia intera si muove tra l’arancione e il rosso, anche se  il futuro prossimo sembra roseo.

    L’attuale Ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, ha annunciato un documento stilato con i corrispettivi europei che consiste in un lasciapassare per chi si è vaccinato, ha già avuto il Covid o ha un tampone negativo prima del viaggio, mentre l’assessore del Turismo dell’Emilia Romagna, Andrea Corsini, annuncia (in base ai dati in suo possesso) un’estate sold-out in riviera romagnola.

    In bilico fra un presente che ci frena e progetti positivi per il futuro, ci siamo posti alcune domande: ma se si organizzano viaggi (soprattutto all’estero) come si può andare avanti in un periodo in cui il termine “viaggiare” è stato cancellato dal dizionario? E ora si può viaggiare? E se sì, come?

    Ne abbiamo parlato con Fabio Bin, CMO-CDO & Co-Founder di WeRoad, importante realtà internazionale di organizzazione viaggi che nasce con la volontà ‘di portare quante più persone alla scoperta del mondo’ (come scritto in descrizione sul loro sito ufficiale) e da una semplice domanda: ‘Perché non organizzare viaggi di gruppo fra persone che non si conoscono?

    Fabio Bin (WeRoad): ‘Siamo stati guidati da un mantra: mai smettere di comunicare’

    ‘In questo anno in cui, per molte settimane, viaggiare era praticamente impossibile siamo stati guidati da un solo mantra: mai smettere di comunicare – premette subito Fabio – Non abbiamo mai smesso di dialogare con le nostre community di WeRoader e di Coordinatori, con attività soprattutto su Instagram e abbiamo colto delle opportunità per comunicare anche offline, inventandoci dei messaggi divertenti, anche e soprattutto quando non si poteva viaggiare. In quella fase abbiamo fatto leva soprattutto sulla frustrazione derivante dall’impossibilità di viaggiare. Ad esempio abbiamo lanciato la campagna ‘Non sappiamo più dove mandarvi’ e la campagna ‘Viaggi incredibili’, ovvero viaggi possibili solo con la fantasia ’.

    Qualcosa, però, adesso adesso si muove. Grazie all’avanzare delle campagne vaccinali e all’esistenza di parti del mondo “covid-free” si stanno riaprendo le porte per potersi spostare. A questo punto chiedo a Fabio come si stanno comportando come WeRoad in questa fase.

    ‘Da quando invece è possibile viaggiare (sì, perché sembra impossibile ma in realtà in alcune destinazioni è possibile viaggiare!), abbiamo iniziato a utilizzare i nostri canali per spiegare e raccontare le varie norme che permettono di spostarsi, puntando in particolare sulle Canarie e Lapponia Svedese. Nel nostro sito trovate le mete WeRoad dove si può viaggiare in sicurezza e per ciascuna descriviamo tutte le regole per l’ingresso, così come la promozione tampone con cui offriamo 100 euro di sconto a chi deve partire, per dare modo di fare il tampone’.

    ‘I confini geografici di WeRoad non sono però solo quelli che superano i viaggiatori che si affidano a loro. ‘Altra cosa che abbiamo fatto è accelerare sull’internazionalizzazione di WeRoad: aprire in nuove country era tra i nostri obiettivi, ma non sicuramente tra le priorità dell’anno. La Pandemia ci ha permesso di anticipare e dopo aver aperto in Spagna, lo scorso anno, da pochi giorni siamo online con le vendite nel Regno Unito’.

    L’isola del “covid free”

    Proprio l’anno scorso usciva sulla piattaforma di streaming Netflix il film italiano ‘L’incredibile storia dell’Isola delle Rose’, pellicola che raccontava, in maniera romanzata, la vicenda (incredibile, appunto) dell’ingegnere Giorgio Rosa che su una piattaforma artificiale creò una vera e propria micronazione a largo di Rimini.

    Rimasta in piedi per oltre un anno dal 1 maggio 1968 al febbraio 1969, l’Isola delle Rose rappresentò fra le molte cose un luogo, per dirla alla Jovanotti, ‘dove le regole non esistono, esistono solo le eccezioni’; “un’isola” felice dove ricostruire una società libera dagli schemi e imposizioni tradizionali.

    Il sogno durò poco (nella realtà già il 25 giugno 1968 fu imposto un blocco navale) ma è forse da qui (ci piace immaginare) che nasce l’idea delle isole “covid free”, luoghi dove muoversi con quella leggerezza e libertà a cui sulla terraferma siamo stati costretti a rinunciare.

    In attesa di una decisione ufficiale se rendere le isole italiane zone covid-free, in Italia ce n’è già una (l’Isola Maggiore sul Lago Trasimeno che ha solo 15 abitanti e nessun caso di infezione) ma lo scontro politico potrebbe portare persino ad accantonare l’idea.

    Stefano Bonaccini, Presidente della Regione Emilia-Romagna, con un post su Facebook si è rivolto al Ministro del Turismo Garavaglia (favorevole all’idea di isole “covid free”) augurandosi che ‘rigetti immediatamente la proposta’ perché ‘non possono esserci località turistiche privilegiate a discapito di altre’ e che ‘piuttosto il governo si dia da fare perché arrivino più dosi possibili per vaccinare nel più breve tempo possibile’, lavorando ‘per il passaporto vaccinale, con regole uguali per tutti a livello europeo’.

    Voce a favore è invece quella del direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale di Genova Matteo Bassetti che, come riportato da Adnkronos,  pensa che ‘in un Paese come il nostro che vive sul turismo, creare delle isole Covid-free è un’idea molto intelligente. Lo stanno facendo i greci e credo che dovremmo farlo anche noi, finendola con questo concetto del ‘tanto peggio tanto meglio’, ovvero visto che la vaccinazione non ce l’ho io allora è giusto che non ce l’abbia neanche tu. Questo è un concetto profondamente sbagliato’.

    Intanto la Sardegna, Regione italiana che volevamo anche prendere da esempio è passata in poche settimane da essere “zona bianca” al boom di contagi registrati nella giornata del 14 aprile, mentra la Toscana, con in testa l’isola d’Elba e l’isola del Giglio, spera nel semaforo verde del Governo nazionale.

    Leonardo Marras (Assessore Economia e Turismo Regione Toscana): ‘La ripresa sarà più veloce del previsto’

    La crisi del turismo del 2020 che prosegue anche nei primi mesi di questo 2021, legata all’emergenza Covid, ha portato, secondo i dati Istat, a una perdita pari a circa 211 milioni di euro per quanto riguarda l’imposta di soggiorno dei comuni italiani.

    A farne le spese, in particolare, sono state le città di quattro regioni: Lazio, Veneto, Lombardia e Toscana che occupa anche il quarto posto in termini di perdite di presenze internazionali sul territorio.

    Con l’attuale Assessore all’economia, al turismo e alle politiche di credito nella giunta regionale della Toscana, Leonardo Marras, abbiamo parlato della situazione attuale ma anche di come la terra di Dante, di cui quest’anno ricorrono i 700 anni dalla morte, si sta organizzando per ripartire.

    Gentile assessore Marras, vorrei partire dalla situazione generale in Toscana. Lei ricopre dal 22 ottobre 2020 la carica di assessore all’economia, alle attività produttive, politiche del credito e turismo. Qual è lo stato di salute di questi comparti? In particolare, le va di darci un quadro complessivo della situazione turistica attuale?

    ‘La crisi dovuta alla pandemia ha toccato da vicino, duramente, tutti i comparti, quindi possiamo dire che, in generale, lo stato è per tutti di affanno. Sono convinto che per il sistema turismo la ripresa sarà più veloce del previsto: c’è voglia di viaggiare, di scoprire e riscoprire, di svagarsi e c’è anche voglia di offrire bellezza.

    Una volta stabilizzati i contagi, con la campagna di vaccinazione ad un livello avanzato, potremo allentare significativamente le maglie delle restrizioni e questo segnerà un nuovo inizio per il comparto. Ovviamente, ciascuno di noi confida nel poterlo fare al più presto. Alcuni Paesi nel mondo hanno già vaccinato la stragrande maggioranza della popolazione mettendola così in grado di spostarsi e questo riporterà, già dalla prossima estate, turisti stranieri in Italia e la Toscana resta senza dubbio una delle mete privilegiate’.

    Un importante punto di riferimento per la comunicazione turistica regionale è il portale VisitTuscany.com, rivolto sia a un pubblico nazionale che fuori dai confini, dato che la Toscana rappresenta da sempre una grande attrazione per i turisti stranieri. Evidentemente ogni Paese e regione del mondo dovrà ricostruire un rapporto di “fiducia” con i viaggiatori (soprattutto di altri Paesi) che dovranno tornare a volersi muovere in tranquillità. Dalla sua posizione ci può dire che tipo di lavoro, a livello di comunicazione, si sta facendo e si pensa di fare nei prossimi mesi in questo senso?

    ‘A fine mese di aprile partirà la campagna di promozione turistica ‘Toscana, Rinascimento senza fine’ che quest’anno non sarà generalista ma improntata su sette temi di viaggio che con Toscana Promozione Turistica e 28 ambiti abbiamo individuato con un percorso di condivisione e confronto digitale avviato già dalla primavera del 2020. Comprenderà azioni sia per il pubblico nazionale, che per quelli internazionali. Per alcuni destinatari, poi, sono già in corso operazioni dedicate. Penso ad esempio al mercato cinese, per il quale stiamo portando avanti il progetto Smart China con azioni mirate di presenza sui social e tv pubbliche cinesi’’.

    Quanto e come inciderà il Digital Green Certificate proposto dall’Unione Europea che dovrebbe concretizzarsi prima dell’estate?

    ‘Credo che sia uno strumento molto importante e sicuramente aiuterà la ripresa dei viaggi e del turismo. La possibilità di spostarsi tra Paesi europei senza l’obbligo di limitazioni, come il periodo di quarantena preventiva, è senza dubbio un incentivo per ricominciare a viaggiare. Oltre a questo, ovviamente, c’è l’aspetto della sicurezza perché si tratta di un vero e proprio certificato di immunizzazione’.

    Sabato 13 marzo, su Rai3 ad Agorà, in collegamento con l’isola d’Elba, il governatore Eugenio Giani ha lanciato l’idea di una zona bianca per l’isola e per l’arcipelago toscano. Una proposta in linea con quella degli altri principali arcipelaghi europei (dalle Baleari fino alle isole greche) per rilanciare il turismo “sicuro”, dato che questi luoghi hanno ridotto i contagi a zero o quasi. Il sindaco di Portoferraio, Angelo Zini, ha dichiarato di aver trovato la proposta ‘interessante’ ma ha ‘chiesto di usare massima cautela’ e che ‘ci vuole ancora un po’ di tempo’. Qual è la situazione al momento? Come vi state muovendo per la realizzazione di questa idea?

    ‘L’obiettivo indubbiamente, anche dal punto di vista turistico, è vaccinare gli italiani: affinché il nostro Paese possa rimanere ai primi posti d’interesse e i turisti internazionali possano tornare non appena ci sarà la possibilità di muoversi più liberamente ed in questo quadro, vaccinare le isole sta dentro alla necessità generale. Ovviamente, la facilità di vaccinare comunità più contenute, soprattutto per le piccola isole, può e deve essere un utile strumento di comunicazione a fronte delle iniziative che altre destinazioni europee hanno intrapreso; tuttavia, credo sia importante che l’Italia si muova in modo coordinato sia sul fronte delle vaccinazioni che su quello delle riaperture in sicurezza, individuando un calendario certo per consentire a tutti un’adeguata programmazione’.

    La Toscana offre una varietà di proposte che vanno dalle vacanze al mare fino a quelle culturali (quest’anno ricorrono i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri), passando per esperienze di rilassamento, rigenerative all’aria aperta, ritorno ai borghi ma anche smartworking, una parola di cui molti, prima della pandemia, non conoscevano nemmeno il significato. Sempre dal suo osservatorio, quanto e come è cambiato e (soprattutto) cambierà il nostro modo di scegliere la nostra vacanza sia nei prossimi mesi che quando sarà terminata l’emergenza Covid?

    ‘Credo che sarà un turismo in parte diverso da quello a cui eravamo abituati pre pandemia; si sta affermando sempre di più la tendenza a scegliere soggiorni lunghi nei quali godere del territorio ma anche lavorare in smartworking e questa probabilmente sarà una delle nuove direttrici del settore. Noi abbiamo puntato, e stiamo puntando, molto sulle grandi potenzialità della Toscana in questa tipologia di turismo; nella campagna di promozione ci saranno due temi di viaggio dedicati: ‘natura’, intesa come relax e outdoor e quello che abbiamo chiamato ‘ritorno ai borghi e ai sapori autentici’. Oltre, ovviamente, al turismo culturale quest’anno legato prioritariamente alla celebrazione di Dante: metteremo in campo un insieme di strumenti, offerte ed iniziative che accompagneranno il visitatore alla scoperta di luoghi, storia e curiosità sul sommo poeta di cui si trovano tracce in tutta la nostra regione. Nella scelta della meta per le vacanze influirà, senza dubbio, l’esigenza di contatto con la natura, di autenticità, di spazi aperti e ‘puri’ nei quali rilassarsi e fare esperienze di vario tipo. Sono molto soddisfatto dell’offerta complessiva costruita dalla Toscana, dobbiamo essere ottimisti per una stagione estiva positiva.’

    Per chiudere questo album di fotografie sulla situazione turistica internazionale e italiana, abbiamo infine deciso di chiederci, più nello specifico, come sarà la ripartenza da un punto di vista sanitario, a partire dal concetto di immunità di gregge di cui avevamo già parlato con il virologo Fabrizio Pregliasco.


    Il parere dell’esperto, a cura di Lorenzo Paci, biotecnologo e laureando magistrale in Biologia Molecolare

    L’immunità di gregge

    L’immunità di gregge è una forma indiretta di protezione nei confronti di una malattia infettiva contagiosa da parte di una popolazione. Si verifica quando una porzione considerevole degli individui ha sviluppato l’immunità nei confronti dell’agente eziologico, situazione che può essere raggiunta fondamentalmente in due modalità:

    • quando la diffusione del contagio raggiunge dimensioni epidemiche, permettendo ai componenti della popolazione di sviluppare un’immunità condivisa mediata da infezione diffusa
    •  con i piani vaccinali di massa

    Logicamente il concetto di immunità di gregge si veste di positività solamente nell’ambito della seconda opzione, visto che raggiungerla attraverso la prima strada è un percorso che porterebbe inevitabilmente alla condanna a morte di moltissime persone, oltre che al collasso del sistema sanitario di moltissime nazioni. Non ce ne voglia Boris Johnson.

    Quando la specie umana ha deciso di basare la sua alimentazione sull’allevamento e l’agricoltura piuttosto che sulla caccia e la raccolta, si è ritrovata quasi improvvisamente a vivere in enormi assembramenti continui chiamati “città”, permettendo a tutti quei microbi che prima provocavano un’infezione ogni tanto, di diffondersi in maniera spaventosa negli abitati umani: è così che i temibili Tifo, Colera, Vaiolo, Peste, Tubercolosi, hanno iniziato a intrecciare le loro sorti con quelle del genere umano, plasmando il divenire storico oltre che la vita di intere comunità.

    Il Sars Cov-2, il virus che provoca il Covid-19, è riuscito in poco tempo a diventare pandemico proprio perché è un patogeno estremamente nuovo rispetto a quelli che circolavano già: pur appartenendo allo stesso macro raggruppamento del virus del raffreddore, ossia i coronavirus, risulta avere delle caratteristiche eccezionali rispetto ai suoi parenti più vicini; questo comporta che nessun essere umano nella popolazione possedeva già anticorpi che potessero un minimo intralciare il suo potere infettivo; questa condizione unita all’eccezionale capacità contagiosa del patogeno ha fatto sì che potesse diffondersi a livello planetario nel giro di poche settimane.

    Se la gran parte delle popolazioni umane avesse avuto a che fare con un virus simile nella loro storia epidemica, probabilmente il dilagare dell’epidemia da Covid-19 sarebbe stato interrotto, ma non è stato così.

    Tra tutte le entità patogene, i virus sono quelli più bravi a infettare i loro organismi ospitanti, e sono quelli più specializzati nel contagio perché la pressione Darwiniana li ha plasmati con quel preciso ruolo, come se fossero una sorta di passo falso evolutivo, un bug permanente della biologia.

    Un evento epidemico è il fenomeno risultante tra lo scontro di due forze contrapposte che sono la predisposizione a mutare di un patogeno e la capacità della popolazione colpita di sviluppare le difese specifiche contro quella specie: un confronto dinamico e continuo tra la virulenza del patogeno e il sistema immunitario di tutti noi.

    L’immunità di gregge è esattamente ciò che il virus non vuole: l’obbiettivo del virus, se così possiamo chiamarlo, è quello di diffondersi nella popolazione in modo permanente, in modo da usarci come serbatoi continui per espletare l’unica azione vitale che riesce a fare, riprodursi, e un virus non riesce a replicarsi se non ha un organismo superiore da infettare; così per sfuggire al nostro sistema immunitario e alla crescente immunità di comunità, cerca di migliorarsi mutando, o per meglio dire, è l’evoluzione che lo costringe a mutare per migliorarsi, per diventare più contagioso e meno virulento, in modo da stabilizzarsi sempre di più nelle popolazioni che ha come bersaglio.

    In questo scenario di una guerra mondiale tanto microscopica quanto distruttiva, tra i nostri linfociti e le particelle di Sars Cov2, l’unica mossa che possiamo fare per accelerare il raggiungimento dell’immunità di gregge è la somministrazione di vaccini specifici per il Covid-19.

    Sebbene possiamo confidare abbastanza nel piano vaccinale per tornare ad assaggiare un po’ di normalità entro l’inizio del 2022, difficilmente la popolazione italiana potrà avere una percentuale di vaccinati tanto alta da evocare l’immunità di gregge durante la prossima estate; va detto che i patogeni del gruppo Coronavirus (come altri del resto, ad esempio il virus dell’influenza), per motivi francamente poco conosciuti, durante la stagione calda abbassano drasticamente la loro contagiosità; però non bisogna dimenticare che siamo in una pandemia e verosimilmente l’emisfero australe, entrando in inverno nei prossimi mesi, potrà essere un terreno di circolazione delle nuove varianti, che potranno sviluppare a loro volta mutazioni per ripresentarsi  in Europa sulla soglia del prossimo autunno: sarà proprio lì che vedremo l’efficacia del piano vaccinale che stiamo attuando.

    Insomma, considerando il potere mutageno molto alto del Sars Cov2, la velocità del piano vaccinale italiano e di altri paesi limitrofi, difficilmente quest’estate le autorità si affideranno alla risaputa difficoltà dei coronavirus di diffondersi durante l’estate e opteranno verosimilmente per introdurre delle regolamentazioni.

    Test diagnostici e spostamenti: un tampone sarà sufficiente?

    Lo strumento più preciso che abbiamo per conoscere la positività di un soggetto a un determinato patogeno è il tampone molecolare: questo tipo di analisi si basa su una tecnologia chiamata PCR che amplifica il DNA di un campione al fine di rilevarlo; in questo caso viene amplificato il genoma a RNA del virus del Covid, se si rileva RNA significa che il virus è presente.

    Due campi del sapere che è sempre molto difficile mettere d’accordo sono proprio la scienza e la giurisprudenza poiché spesso si tende a interpretare le prime in modo da favorire un punto di vista legislativo piuttosto che un altro, quando in realtà le leggi della natura hanno ben poco da interpretare: proprio in quest’ottica va vista la questione del doppio tampone molecolare.

    L’idea di sottoporre il turista a un test molecolare per la presenza del virus può essere sicuramente un deterrente al dilagare del contagio nei luoghi di villeggiatura, ma certo non uno scudo anti covid sulle località turistiche: considerando i tempi di laboratorio attuali, tra il campionamento e la refertazione del risultato potrebbero passare anche più di 48 ore, intervallo di tempo fuori dal potere diagnostico del test, all’interno del quale il soggetto potrebbe venire in contatto con un positivo e ammalarsi portando la malattia in spiaggia. Una sicurezza in più all’uso del tampone potrebbe essere sottoporsi a un periodo di quarantena appena si arriva in loco, ma difficilmente si può pensare questa soluzione sia compatibile con l’idea di vacanza.

    Anche la possibilità di fare un tampone in uscita potrebbe essere sicuramente una barriera nei confronti del contagio: rimane da chiederci che conseguenze potrebbe avere un esito positivo poche ore prima del ritorno per il turista, che probabilmente realizzerebbe di essere interdetto da qualsiasi mezzo di trasporto e dover probabilmente prolungare il suo soggiorno a sue spese.

    Probabilmente l’unica soluzione per garantire un turismo covid-free è affidarci all’idea del passaporto sanitario che attesti l’immunità acquisita da parte del viaggiatore, grazie alla vaccinazione o all’aver superato l’infezione; va da sé che in questo caso assisteremmo a una sorta di subalternità tra i cittadini vaccinati e quelli ancora non raggiunti dal piano di immunizzazione di massa, con una fetta ingente della popolazione (direi la stragrande maggioranza) interdetta dalle vacanze programmate: una magra consolazione per il turismo, già fiaccato da due anni di pandemia.

    Logicamente, in entrambe le strategie, sia quella dei tamponi, che quella del passaporto sanitario, le isole sarebbero avvantaggiate nel portare avanti una stagione turistica salvaguardandosi allo stesso tempo anche dal Covid-19: questo per una loro naturale facilità nel regolamentare gli accessi via aria o mare, cosa impossibile da effettuare per una località situata sulla costa continentale, laddove in ogni modo, gli interscambi con l’entroterra avvengono quotidianamente per motivi che esulano dagli aspetti legati al turismo.

    Conclusioni

    Come abbiamo detto qualche riga più indietro, è davvero complesso allineare le monolitiche prove scientifiche e le leggi umane: fra tutte le modalità espresse, una sorta di passaporto immunologico, che comprovi il titolo anticorpale sierico di anticorpi anti covid, sarebbe la modalità che garantirebbe di più di tutte lo scongiurare che i luoghi turistici si trasformano in incubatori di virus, ma in quel caso, apriremo il turismo solamente alle persone vaccinate (oltre che ai guariti di Covid entro 6 mesi), vale a dire permettere di viaggiare esclusivamente agli over 70 e a poche altre categorie.

    Inoltre, per essere scientifici fino in fondo, anche l’idea del passaporto vaccinale potrebbe funzionare al massimo delle sue potenzialità solamente nelle isole, visto che nelle località turistiche del continente è verosimile che vi sia uno scambio continuo di relazioni sociali e commerciali con l’immediato entroterra, i quali niente hanno a che vedere con gli spostamenti turistici, fatto che rende impossibile concepire un luogo di villeggiatura continentale come un’area esclusiva e isolata da qualsiasi evento epidemico.

    Fonti

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