Plastica e farmaceutica: come finirà?

Due cose strettamente legate, ma la salvaguardia dell’ambiente passa anche per questo tema. Quale sarà l’esito?

plastica farmaceutica

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    Ormai, è plastic-free mania. L’innovazione, volta alla tutela del pianeta in cui viviamo, ha finalmente smosso molti. Eppure, delle volte l’ago della bilancia non è così facile da spostare, e il tema sostenibilità ne è un esempio. Anche il mondo farmaceutico, inevitabilmente, ne sarà contagiato e trasformato. Che strada sarà intrapresa? 

    Contatto (molto) ravvicinato

    Facile pensare all’obiettivo, meno lo è il raggiungimento. Perché se da un lato le industrie farmaceutiche sono proiettate verso il cambiamento, dall’altro ci sono molti aspetti non trascurabili. Eh sì, perché di “plastiche” non ce n’è di un solo tipo. Ma andiamo per gradi.

    Innanzitutto, bisogna distinguere tra confezionamento:

    • primario: a diretto contatto col medicinale, 
    • secondario e terziario: ulteriore rivestimento per protezione esterna. 

    Il packaging, termine tecnico, è un argomento di primaria importanza nella produzione. Il rivestimento è quello che, oltre a contenere, ha lo scopo di preservare l’integrità del medicinale. Sono sottoposti a rigorosi controlli, anche in fase di approvazione al commercio, per garantire:

    • nessuna interazione col principio attivo, 
    • adeguata protezione,
    • facile manovrabilità per l’uso,
    • difficile manomissione, ove richiesto.

    La faccenda si infittisce. I materiali sono tanti, ma non tutti si prestano in maniera adeguata allo scopo richiesto. L’alluminio fa da padrone, seguito da vetro, plastica e cartone. In teoria, sono gli stessi materiali che abbiamo imparato a separare nei nostri bidoni, ma attenzione alle insidie: un blister è formato da fogli sovrapposti (alluminio/film plastico) termosaldati ermeticamente insieme, quindi non è semplice separarli; le gomme, seppur materia plastica, possono subire vari trattamenti per essere funzionalizzate (difficile recupero).

    La plastica un pilastro del mondo farmaceutico: ha un vantaggio economico non indifferente (rispetto al vetro, per esempio) ed è facilmente modellabile a piacimento. Basti pensare ai vari dispositivi medici (da cerotti, preservativi, dispositivi diagnostici), alle confezioni monouso per prodotti sterili, per capire quanto sia difficile fare a meno di certe caratteristiche. Sicuramente si possono fare dei miglioramenti a livello di confezionamento secondario, dove viene data anche importanza ad aspetti come la visibilità commerciale.

    Gli sviluppi

    Però è da dire che alcuni passi avanti sono già stati fatti, come a livello normativo: si possono prendere come esempio le microplastiche, bandite ufficialmente dall’Italia nei prodotti cosmetici a partire dal 2020. L’Europa non si è fatta da parte, e ha messo sotto stretto controllo l’impatto ambientale. 

    La gestione dei rifiuti e degli sprechi è un tema molto caldo, che passa dalle mani del produttore fino ad arrivare al consumatore (che ha anche la sua parte di colpe). La ricerca è proiettata a scovare nuove vie sempre più sostenibili, nella piena ottica del Green Deal europeo. Polimeri biodegradabili, sostituzioni di materiali, strategie mirate ad un’economia circolare: fa tutto parte dell’onda “verde”. 

    Facciamo qualche esempio:

    • acido polilattico (PLA),
    • alcol polivinilico (PVA), 
    • polietilene tereftalato (PET).

    Fanno tutte parte di plastiche idro-biodegradabili, derivanti da risorse agrarie come mais, grano, canna da zucchero. Si scompongono facilmente in acqua, CO2, e biomassa.

    Per strizzare l’occhio all’ambiente, si valutano alcuni criteri come:

    • riduzione della quantità di imballaggio;
    • riciclo del confezionamento usato in uno nuovo;
    • riutilizzo (numero di volte);
    • ottenimento da fonti rinnovabili.

    Vanno tenuti sott’occhio anche i costi (necessari più passaggi per la conversione delle sostanze), che possono rappresentare un bel deterrente per la messa in pratica. 

    Tutti verso un unico scopo

    La Commissione Europea fa sapere che, del quasi 60% dei rifiuti di imballaggio generati, circa il 40% comprende rifiuti di imballaggio alimentari e farmaceutici. Quasi tutti i colossi farmaceutici si sono mossi, ponendosi obiettivi, più o meno ambiziosi, per ridurre l’accumulo di prodotti non biodegradabili. 

    Si richiede attento riguardo all’innovazione tecnologica, sia che si tratti di materiali alternativi per il confezionamento, riciclo di quelli esistenti o processi di produzione meno inquinanti. 

    In Italia, grazie ad una fitta rete, si monitorano anche altri fattori annessi al farmaco stesso, come spesa, gestione dei resi e smaltimento. L’aumento dell’utilizzo di farmaci sta avendo ripercussioni anche sul livello di dispersione dei medicinali nell’ambiente, di cui il paziente è il principale responsabile. Si coinvolge anche la coscienza dei singoli, per limitare costi inutili e pesanti danni al nostro ecosistema. Dopo uno sprint del monouso guidato dal COVID-19 (che anche qua ha avuto il suo impatto), si ritorna ad avere un occhio di riguardo al futuro.

    Parlando sempre di soldi, il valore di mercato degli imballaggi farmaceutici si stima sia di oltre 144 miliardi di dollari entro il 2027. Questo per sottolineare il grande impegno per cercare di sbloccare una situazione che, per molto tempo, è rimasta in stallo.

    Fonti

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