Ho 30 anni e mi sento un bambino, perché succede?

Potrebbe trattarsi di una condizione patologica, ma anche di normalissime insicurezze

adulto con ciuccio

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    Sentirsi mentalmente ancora bambini o ragazzi, ma trovarsi nel corpo di un adulto, è una sensazione estremamente diffusa, più di quanto si possa e si voglia immaginare.

    Affrontare giornalmente piccole e grandi sfide ci porta gradualmente, e in maniera totalmente inconscia, a ritrovarsi quasi per magia al posto di quegli adulti che solo pochi anni prima ci parevano padroni del mondo. Ma adesso ci siamo noi, con i nostri dubbi, incertezze, responsabilità e sfide che talvolta possono apparire insormontabili.

    Può essere il sintomo di qualcosa di patologico? Potrebbe, ma molto più frequentemente è solo una delle tante fregature derivanti dall’essere diventati grandi. E noi che pensavamo consistesse solo nel prendere la patente e tornare tardi la sera.

    Perché mi sento ancora un bambino?

    Ti addormentavi sul divano e la mattina ti ritrovavi nel tuo letto, ma improvvisamente questa “inspiegabile” magia ha smesso di funzionare: perbacco! Questo farebbe sentire vulnerabile chiunque.

    In realtà, il sentirsi ancora bambini nonostante si sia a tutti gli effetti degli adulti è un fenomeno diffuso e si può tranquillamente dire che tutti, almeno una volta nella vita o nell’ultimo anno, si sono sentiti così. Non è niente di patologico e preoccupante, ma solamente il risultato della somma di responsabilità, comprensione dei meccanismi complessi della vita e comunissima insicurezza data dal dover prendere decisioni ogni singolo giorno.

    Diversamente invece avviene in caso di regressione, un fenomeno psicologico riscontrabile soprattutto nei bambini, ma anche negli adulti e che necessita di maggiori attenzioni.

    La regressione

    Sigmund Freud si riferiva alla regressione come un meccanismo di difesa inconscio atto a provocare il ritorno temporaneo (ma anche a lungo termine) dell’Io (una struttura psicologica deputata al contatto e ai rapporti con la realtà) a uno stadio precedente di sviluppo per fuggire e/o difendersi da situazioni intollerabili o fuori dalla portata della persona.

    La regressione è tipicamente un fenomeno diffuso nella quotidianità dell’infanzia e può essere causata dallo stress, da frustrazioni e/o da eventi traumatici. I bambini di solito manifestano un comportamento regressivo per comunicare il loro malessere e la loro angoscia. Affrontare il problema o il bisogno insoddisfatto del bambino, tuttavia, può essere sufficiente per risolvere la questione.

    Anche negli adulti, come avevamo anticipato, possono manifestarsi forme di regressione a qualsiasi età. Anche questi casi implicano il ritiro a una fase di sviluppo precedente a livello emotivo, sociale e/o comportamentale. La causa solitamente è da ricercare in una forte insicurezza, nella paura e/o in gravi stati di rabbia. In sostanza, gli individui tornano a un punto del loro sviluppo in cui si sentivano più sicuri, quando lo stimolo stressogeno era inesistente, o a quando un genitore “onnipotente” (o comunque un altro adulto) li avrebbe potuti “salvare” e proteggere.

    Il comportamento regressivo può essere semplice o complesso, dannoso o innocuo per l’individuo e per coloro che lo circondano. Vari psicologi, tra cui Carl Jung, vedevano invece la regressione in una maniera più positiva, sostenendo che la tendenza regressiva di un individuo non fosse solo una ricaduta nell’infantilismo, ma un tentativo di ottenere qualcosa di importante per la persona.

    Secondo molti professionisti, le manifestazione di fenomeni regressivi potrebbero essere ricollegabili alla fase di sviluppo in cui la persona si è in un qualche modo fissata: per farla semplice un individuo allo stadio orale potrebbe succhiare una penna, mangiare compulsivamente, vomitare o diventare verbalmente aggressivo, mentre un individuo fissato allo stadio anale potrebbe essere disordinato o disorganizzato. A volte, una persona regredita può anche smettere di parlare e dare tutti i tipici segnali di un bambino in difficoltà durante una fase preverbale.

    Sindrome di Peter Pan

    La neotenia psichica, maggiormente nota come Sindrome di Peter Pan, è un modello comportamentale riscontrabile in soggetti che hanno raggiunto un’età adulta, ma che non sono in grado di affrontare le loro sensazioni e responsabilità da grandi. Non è presente nell’attuale Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), tuttavia presenta delle caratteristiche comuni utili a identificare il fenomeno: “i Peter Pan” hanno difficoltà nelle relazioni sociali e professionali a causa dei loro comportamenti irresponsabili e delle loro proprietà narcisistiche.

    Infatti, alcuni possono mostrare tratti o caratteristiche del disturbo narcisistico di personalità, anche se in genere non soddisfano i criteri completi per il disturbo. Questi tratti sembrano derivare da una ferita più profonda che si è verificata durante il loro sviluppo. I sintomi sono spesso mascherati con umorismo e/o fiducia in se stessi, in un disperato tentativo della persona di proteggere il proprio ego da sentimenti negativi associabili a problemi passati.

    La quantità di libertà e responsabilità che ci viene concessa durante l’infanzia e in generale in tutto il periodo dello sviluppo ha un impatto diretto su come ci comportiamo da adulti. Se l’educazione e il ragionevole sostegno da parte dei genitori ci guidano saggiamente ad affrontare/abbracciare il rischio fin da piccoli (in maniera coscienziosa ovviamente), il bambino acquisisce fiducia in se stesso e nell’adulto che diverrà. Ma se tali principi educativi non sono presenti e sono costantemente trovate scuse da parte dei genitori per legittimare il comportamento infantile di un individuo, si forma un bambino indifeso alla vita e impaurito da ogni forma di rischio, che opterà uno stile di vita più orientato all’infanzia piuttosto che alla maturità e alla crescita.

    Man mano il bambino approderà all’età adulta con una mancanza di senso di realizzazione, orgoglio, fiducia, capacità e volontà di abbracciare rischio e opportunità, evitando le sfide. I risultati nel lungo termine per “i Peter Pan”, così come per gli individui con cui si relazioneranno, possono essere devastanti, determinando una vita di insoddisfazione per tutti i soggetti coinvolti.

    Deprivazione emotiva

    Il dolore provato da piccoli, il non aver ricevuto l’amore che si sarebbe desiderato ci cambia e lascia ferite nel tempo. Questa “ferita” si chiama Disturbo da Deprivazione Emotiva e fu scoperta negli anni ‘50 dalla psichiatra olandese Anna A. Terruwe.

    Il Disturbo da Deprivazione Emozionale o Emotiva è una sindrome che deriva da una mancanza di autentica affermazione e rafforzamento emotivo da parte di una figura di riferimento dell’infanzia, come per esempio un genitore. Una persona può essere stata criticata, ignorata, abbandonata, trascurata, maltrattata o emotivamente rifiutata all’inizio della propria vita, con conseguente arresto emotivo della persona.

    Proprio come i bambini, gli adulti non affermati a livello emotivo sono incapaci di svilupparsi da soli in persone emotivamente mature fino a quando non ricevono un’autentica dimostrazione di affetto da un’altra persona. La maturità si raggiunge quando c’è un’integrazione armoniosa tra l’intelletto, la volontà e le emozioni di una persona sotto la guida della loro ragione.

    Fino ad allora potrebbe essere incapace di instaurare rapporti normali e maturi con gli altri. Tenderà a sentirsi a disagio e/o solo nei contesti sociali. Sarà capace di creare un rapporto volontario ma non una connessione emotiva nelle relazioni. Questi sono solo alcuni degli effetti devastanti che l’assenza di amore nell’infanzia possono provocare.

    Il caso degli “Adult Babies”

    Chi non ha mai sognato di ritornare bambino? Beh, alcuni lo fanno veramente, in maniera volontaria e cosciente. Anche se il loro corpo, la loro mente e la loro biologia li identifica chiaramente come persone adulte (il fenomeno è molto più diffuso tra gli uomini eterosessuali rispetto ad altri orientamenti sessuali), la loro attitudine e il loro stato di benessere psicologico ideale li spinge a regredire volontariamente fino a ritornare ai tempi dell’asilo o comunque all’infanzia. Sono persone che infatti rinunciano volontariamente e attivamente alla loro maturità, per il tempo che loro stessi desiderano.

    Sono gli AB (adult babies), persone che per ritrovare una sorta di benessere e sicurezza tipica dell’infanzia scelgono di attuare in tutto e per tutto comportamenti infantili, come indossare il pannolino, farsi cambiare, utilizzare tutine, baby accessori, biberon e talvolta scelgono di non parlare.

    In Italia esiste anche un’associazione che si occupa di offrire un servizio di asilo per questi adulti-bambini, l’AB Nursery, un luogo in cui gli ospiti vengono trattati in tutto e per tutto da infanti.

    Il fenomeno degli adult babies non prevede connotazioni erotiche e/o sessuali (a differenza dei DL, ovvero i “diaper lover” il cui intento è ricavare soddisfazione sessuale dalla rievocazione dell’infanzia) non è ritenibile una malattia, ma semplicemente, per alcuni, rappresenta un ritorno a uno stato di serenità tipico dell’età infantile, oltre che a essere una forma di espressione di un’età interiore che queste persone sentono di avere o che desidererebbero ardentemente rivivere.

    Ovviamente questo è un caso limite e magari ha poco in comune con chi semplicemente, a volte, non si sente all’altezza della vita da adulti, però è utile per farci capire come, sotto moltissime sfumature, l’idea dell infanzia rappresenti un po’ per tutti un porto sicuro e un ritorno a casa.

    Persone fragili: lo siamo tutti

    Abbiamo visto alcune tra le connotazioni più estreme ricollegabili al non sentirsi persone adulte. In realtà, sentirsi a volte insicuri e/o fragili sono solo normalissime sensazioni dovute al fatto che questo mondo complesso non permette a nessuno di nascere con il libretto di istruzioni, ma nonostante questo continua a pretendere molto da ognuno di noi.

    Tutti (o quasi) percepiscono momenti di umana fragilità e sostanzialmente si tende a pensare di essere i soli a sentirsi così, perché gli altri non ne parlano e ognuno conosce solo il proprio mondo interiore. Una soluzione non esiste e forse è meglio così, perché il sentirsi sempre un po’ bambini ci dona la saggezza della prudenza, l’attenzione a non fare passi troppo avventati e la capacità di mettersi in discussione: tutte qualità rare in un mondo di “adulti di professione”.

    Fonti

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