Coronavirus: a che punto siamo? Parola all’immunologo Alberto Beretta

Vaccini, terapie e scenari futuri: il punto della situazione, senza troppi giri di parole, con il medico e ricercatore di fama internazionale Alberto Beretta

dott beretta immunologo

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    Coronavirus: a che punto siamo? Avremo un vaccino? Ci saranno nuovi focolai e, soprattutto, cosa ci dobbiamo aspettare nei prossimi mesi?  Noi di A Good Magazine abbiamo cercato di fare chiarezza sulla questione Covid-19 insieme ad Alberto Beretta, medico, ricercatore e immunologo di fama internazionale, che dall’inizio della pandemia si è battuto per una comunicazione scientifica chiara e senza troppi giri di parole, fondando la pagina Immunologia Oggi. Beretta ha lavorato in tre istituzioni accademiche straordinariamente vitali: al Karolinska Institute di Stoccolma dove ho conseguito il dottorato di ricerca, seguito da 8 anni passati all’Istituto Pasteur di Parigi, per poi arrivare al San Raffaele di Milano dove ha continuato le ricerche sul virus HIV.

    Come è nata l’idea della pagina Immunologia Oggi?

    “La Covid-19 ha modificato il modo in cui la comunità medica comunica al pubblico dati e opinioni sugli argomenti di grande interesse. Prima, la regola seguita dalla maggior parte dei miei colleghi era quella di pubblicare i dati su riviste che ne controllano la qualità, discuterli in convegni di area specialistica ed eventualmente darne comunicazione alla stampa o sui social.
    Con la Covid abbiamo assistito a un bombardamento di notizie su social, talk-show televisivi e giornali: questo ha generato molta confusione innanzitutto nella comunità medico-scientifica, che si è trovata nella condizione di prendere decisioni o commentare questa o quella terapia senza avere dei dati in mano verificabili. Gli esempi sono molteplici. Dalla saga della idrossiclorochina, che peraltro ha coinvolto anche una importante rivista scientifica. Prima innalzata al ruolo di rimedio miracoloso poi scartata, ma ancora in fase di sperimentazione con dati non molto incoraggianti. Gli annunci alla stampa delle ricerche sulla terapia con il plasma convalescente ne sono un altro esempio. Il pubblico è convinto che la terapia sia efficace e disponibile a tutti, ma dati chiari e pubblicati sulla sua efficacia e praticabilità non sono ancora disponibili.
    Immunologia Oggi è nata per spiegare la complessità della Covid-19 e le prospettive reali delle terapie e dei vaccini di cui tanto si parla, ma anche per iniziare un percorso di comprensione del sistema immunitario e di come risulta coinvolto nella maggior parte delle malattie di questo secolo. Personalmente da anni mi occupo di invecchiamento del sistema immunitario. Un processo molto complesso che è alla base di molte malattie e che come tutte le forme di invecchiamento si può controllare e in certa misura prevenire”.

    Dati alla mano, c’è stato un miglioramento per quanto riguarda i contagi: il virus sta veramente scomparendo?

    “È indubbio che il virus stia battendo in ritirata in questo momento in Italia. I dati lo dimostrano. L’esperienza dei colleghi che operano nei reparti Covid lo conferma. Abbiamo però alcuni problemi da risolvere che ci devono indurre a una certa cautela. Primo: non sappiamo perché questo sta avvenendo. Sappiamo che il virus non è mutato, non è morto e non ha perso virulenza.
    Si ipotizza l’effetto delle temperature estive. Ma i dati che ci arrivano da regioni come l’Iran, dall’America (Texas, Florida, California), dal Portogallo, non sostengono questa ipotesi. Alcuni parlano di tassi di umidità, ma i dati mancano. È un vero enigma. Personalmente non scarterei l’ipotesi più semplice: stiamo semplicemente osservando l’effetto delle misure di distanziamento sociale (fra le quali l’uso delle mascherine) che riducono di molto la carica virale che trasmette il contagio.
    Una ricerca recente pubblicata sulla rivista americana PNAS ha dimostrato che le mascherine sono una barriera molto efficace alla trasmissione per aerosol del virus. Per ora sono ancora utilizzate da molte persone, ma con l’arrivo dell’estate saranno inevitabilmente abbandonate. Spero di sbagliarmi ma non possiamo escludere nuovi focolai, anche estivi. La prudenza è d’obbligo. Senza parlare della possibilità molto concreta che il virus si ripresenti in forze in autunno in concomitanza con l’epidemia di influenza e, da non sottovalutare, le infezioni con i comuni coronavirus del raffreddore, il cui ruolo nell’immunità al SARS-CoV-2 è ancora tutto da chiarire. Un altro problema che non abbiamo ancora risolto è sulle strategie di contact-tracing.
    Su questo vedo ancora una certa confusione. Dobbiamo prepararci meglio alla identificazione rapida dei portatori asintomatici. Molti studi dimostrano che gli asintomatici e i pre-sintomatici sono una fonte molto importante di contagio”.

    Questione vaccino: a che punto siamo?

    “Stiamo assistendo a uno sforzo senza precedenti per lo sviluppo di un vaccino. Le tecnologie impiegate sono molteplici. Quasi tutte sono basate sull’impiego della proteina chiamata “spike” che permette l’aggancio del virus al recettore. Abbiamo qualche dato preliminare nei modelli animali di efficacia e anche un primo studio su volontari sani fatto a Oxford che ha dato dei risultati di efficacia parziale. Vorrei però esprimere una certa cautela. Non sappiamo ancora quanto dura la risposta anticorpale protettiva nelle persone infette da SARS-CoV-2. Dati recentissimi sui test sierologici non sono molto incoraggianti.
    Nel 50 per cento dei soggetti asintomatici le risposte anticorpali si azzerano già due mesi dopo la positivizzazione, mentre un vaccino per essere utilizzabile, deve dare una copertura di almeno 8-10 mesi. Riusciranno a ottenerla con le tecniche impiegate? Difficile dirlo. Da notare però che se da una parte la risposta anticorpale al SARS-CoV-2 è di breve durata, la risposta cellulare, quella sostenuta dai linfociti T CD4, può durare molto più a lungo. In che misura questo fattore possa incidere sull’efficacia dei vaccini è ancora tutto da capire. E non dimentichiamo il problema della sicurezza. Stiamo parlando di un vaccino destinato a miliardi di persone. Una verifica della sua sicurezza su 20 o 30.000 volontari in questa o quella regione del mondo sarà sufficiente a garantirci sulla sua sicurezza su scala mondiale? Un aspetto da non sottovalutare è l’interferenza dell’immunità contro i coronavirus più comuni (quelli del raffreddore per esempio) e l’immunità contro il SARS-CoV-2.
    Interferenze che possono dare luogo a fenomeni paradosso. È probabile che prima o poi troveranno un vaccino sicuro ed efficace. Ma prevedere oggi i tempi è impossibile. Bisogna dare tempo alla ricerca per chiarire bene il ruolo dell’immunità acquisita nella protezione contro il coronavirus. E evitare di farsi condizionare dalle forti pressioni per “fare in fretta” che potrebbero indurci a errori anche gravi”.

    Secondo lei in Italia come è stata gestita l’emergenza?

    “Una premessa: questo virus ha spiazzato tutti, anche i colleghi cinesi che i coronavirus li studiano da anni e li conoscono benissimo. È ormai abbastanza evidente che il virus circolava in Italia già a dicembre, o forse prima. L’allarme dalla Cina è arrivato troppo tardi. Una cosa certa è che in Italia il virus ci ha preso in contropiede. Sono stati fatti errori nelle fasi iniziali dell’epidemia, facili da criticare con il senno di poi. Ma in linea generale, le decisioni sul lock-down, il suo mantenimento e le date di riapertura secondo me sono state ragionate molto bene. E il risultato si vede. Basta paragonare l’andamento della curva epidemica in Italia con quello degli Stati Uniti che hanno perseguito una politica di sostanziale banalizzazione del rischio, con i risultati che adesso sono davanti a tutti.
    Altra cosa è la gestione dell’emergenza a livello regionale. La Lombardia ha evidenziato carenze organizzative in modo particolare nella medicina di territorio, molto gravi. Le ragioni sono molteplici e occorre tornare indietro di tanti anni per capirle.
    La strategia di contact-tracing è stata a dir poco carente. Ma non possiamo non tenere in considerazione le difficoltà oggettive legate alla gestione dei tamponi da parte di una rete di laboratori di virologia chiaramente sotto-dimensionata. Spero che con la lezione ricevuta, la virologia riceverà qualche attenzione in più nei prossimi anni. Non dimentichiamo che i virologi, già nel 2005, dopo la prima epidemia di SARS avevano lanciato l’allarme. Un’epidemia di queste dimensioni era prevedibile. Per questo quando leggo certi commenti sui virologi, e sulla scienza in generale, inorridisco. Se ancora non abbiamo capito cosa è successo le prospettive per il futuro del pianeta non sono molte allegre”.

    Cosa ci possiamo attendere in futuro dallo scenario Covid?

    “È molto difficile fare previsioni. Molti concordano su un probabile ritorno del virus in autunno che porrà dei problemi importanti di gestione dei malati anche perché avverrà in concomitanza con l’epidemia di influenza. I sintomi iniziali delle due infezioni sono molto simili. Per i medici fare una diagnosi differenziale sarà molto difficile. E altrettanto difficile sarà la gestione della diagnostica (a chi fare il tampone per esempio). Se non ci organizziamo in tempo saranno guai seri. Di certo sarà
    molto importante convincere la gente a vaccinarsi contro l’influenza. Abbiamo già dati che ci indicano che l’influenza può essere un fattore aggravante l’andamento della Covid. La resistenza di molte persone a vaccinarsi sarà un problema per tutti noi. Per quanto riguarda il futuro non immediato personalmente ritengo che, come sostiene Ilaria Capua, dovremo abituarci a convivere con questo virus. Ma sono ottimista sulle terapie in fase di sviluppo.
    Su Immunologia Oggi ho parlato dei risultati delle ricerche del gruppo di Andrea Cossarizza a Modena. Credo che gli anticorpi monoclonali che bloccano le citochine infiammatorie saranno in grado di ridurre notevolmente la mortalità da Covid-19. Senza parlare dei monoclonali che bloccano direttamente il virus (moltissimi già in fase di sviluppo) e dei farmaci anti-virali come il Remdesivir che hanno già dato risultati incoraggianti. Senza attendere la soluzione miracolosa di un vaccino sicuro ed efficace (che secondo me tarderà ad arrivare) concentriamoci sulle tecnologie di rilevamento del virus e contact-tracing e sui nuovi farmaci. Solo con questo ridurremo di molto la morbidità da SARS-VoV-2”.

    Effetti del digiuno sulla malattia. Lei stesso in un suo articolo dice di praticarlo: cosa dice la scienza?

    “Sappiamo con certezza che la Covid-19 è una malattia infiammatoria scatenata dal virus che può raggiungere forme molto gravi. Sappiamo anche che il virus, quando entra nelle cellule, riesce da solo a spegnere le difese dell’immunità innata e contemporaneamente ad attivare praticamente tutte le molecole dell’infiammazione. Il risultato clinico può essere devastante. Ho parlato di digiuno intermittente perché quello che molti ancora non sanno è che le diete ipercaloriche, così come la sedentarietà, provocano uno stato di infiammazione cronica latente che, nel caso della Covid predispone il soggetto alle reazioni infiammatorie acute indotte dal virus. È quello che succede nei soggetti anziani, nei quali il sistema immunitario è al contempo iper-attivato (e pertanto particolarmente suscettibile al danno del virus) ma anche carente, incapace di difendere l’organismo. Ma queste situazioni si verificano anche in altre soggetti, come per esempio i giovani obesi. Uno studio recente francese e un secondo studio americano hanno evidenziato come l’obesità, di per sé, senza necessariamente il diabete di tipo 2 che spesso si associa, è un fattore di rischio. Il digiuno intermittente è una delle soluzioni al problema. La riduzione del carico calorico induce nel sistema immunitario una condizione virtuosa che combina una riduzione dello stato infiammatorio e una attivazione dei meccanismi di difesa. Personalmente pratico il digiuno intermittente da inizio dell’anno con risultati notevoli. Ho per esempio notato una riduzione della sensazione di fame non solo durante la fase di digiuno ma anche durante la fase di alimentazione. In altre parole: mi sono abituato a mangiare meno senza soffrire. I protocolli utilizzati sono molteplici”.

    Cura con il plasma: è davvero efficace? Come funziona?

    “Premetto che sulla terapia con plasma convalescente è stato ormai detto di tutto e mi risulta pertanto difficile non commentare dati che in realtà non conosco perché non ancora pubblicati. Sappiamo, da una comunicazione ufficiale della Regione Lombardia, che l’esperimento svolto a Pavia e Mantova ha dato risultati molto buoni misurati come riduzione della mortalità in pazienti in fase avanzata della malattia. Sappiamo anche che i plasmi utilizzati per la terapia sono stati selezionati dal laboratorio di Virologia di Pavia in base a test che ne indicavano la presenza di anticorpi neutralizzanti il virus. Di per sé, un’ottima notizia, perché ci dice che in qualche modo il nostro sistema riesce a produrre gli anticorpi giusti. Il problema è però di capire quanti pazienti convalescenti hanno questi anticorpi e non hanno altre condizioni che gli impediscano di donare il plasma.
    Se facciamo riferimento ai dati pubblicati dai numerosi studi internazionali sia sulla Covid-19 che sulla SARS e MERS emerge un quadro ancora poco chiaro. Un grosso studio americano ha concluso per ora solo sulla sicurezza della terapia, ma non ha dato indicazioni sulla sua efficacia. Gli studi precedenti sulla SARS hanno dato risultati contraddittori.
    Parte delle discrepanze fra i vari studi potrebbero essere dovute ai diversi criteri utilizzati per selezionare i donatori di plasma. Nel caso dello studio italiano, la selezione dei donatori in base alla presenza di anticorpi neutralizzanti potrebbe spiegare l’efficacia. Per quanto riguarda il futuro dobbiamo chiederci se, nel caso peggiore di una seconda esplosione dell’epidemia in autunno, quando il numero dei malati potrebbe superare quello dei convalescenti, gli ospedali avranno a disposizione un numero sufficiente di donatori per le terapie. E qui si inserisce il discorso secondo me molto importante dello sviluppo degli anticorpi monoclonali neutralizzanti. L’unica strada che ci può garantire la disponibilità di un vero e proprio farmaco. Sono numerosi i gruppi di ricerca che lavorano su questa pista e in alcuni casi gli anticorpi sono già entrati in sperimentazione clinica. Con il tempo avremo dati più interpretabili”.

    Qual è il ruolo dei linfociti nella lotta contro il Covid?

    “Quella del ruolo dei linfociti nella lotta contro la Covid-19 è credo, una domanda di fondamentale importanza. Intuitivamente come immunologo dovrei rispondere: fondamentale. Il problema è che il quadro che sta emergendo dalle ricerche è quello di un virus che quando infetta l’organismo attiva contemporaneamente tutti i diversi compartimenti dell’immunità cellulare generando uno stato infiammatorio acuto molto pericoloso. Pertanto, se da una parte stimolare la risposta cellulare può essere di aiuto nella prima linea di difesa contro il virus, un sistema troppo stimolato potrebbe avere effetti opposti.
    Non solo, sappiamo che la vera prima linea di difesa è la cosiddetta immunità naturale, di cui solo alcuni tipi di cellule fanno parte. Ma non sappiamo ancora come stimolarla. Nell’attesa di risposte chiare vorrei sollevare l’attenzione sull’uso dei prodotti immunostimolanti di cui sono pieni gli scaffali delle farmacie. In attesa di studi clinici che ne verifichino la sicurezza non ne raccomanderei l’impiego indiscriminato per la prevenzione della Covid-19. A oggi non possiamo escludere la possibilità che abbiamo un effetto peggiorativo sull’andamento della malattia”.

     

    Abbiamo riassunto qui quello che sappiamo finora sulle possibili cure contro il Covid-19.

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