Il prof. Federico Cramer è un biologo specializzato in igiene ambientale, ha insegnato chimica e biologia in Italia, Olanda ed Etiopia e si occupa attivamente di divulgazione culturale. Abbiamo deciso di farci una chiacchierata perché nel suo ultimo libro, “Geni, evoluzione e destino. L’irripetibile storia della vita sulla Terra e l’incerto futuro dell’uomo”, edito da Meltemi, sostiene che l’umanità sia arrivata a una fase di transizione cruciale, la cui protagonista è una nuova forma di vita nata dall’intreccio tra l’essere umano e il digitale. Quale sarà l’esito di questo connubio? La tecnologia ci salverà o segnerà definitivamente la nostra condanna?
1. Lei parla di evoluzione biologica ed evoluzione tecnologica: che differenza e che relazione c’è tra le due?
La differenza fondamentale sta nelle modalità in cui queste evoluzioni avvengono: l’evoluzione biologica richiede una selezione di eventi casuali, non ha un indirizzo e non si adatta. Quella tecnologica, invece, è in un certo senso Lamarckiana: avviene in risposta a una spinta specifica e la selezione non è determinata dalla “bontà” del risultato, ma da precisi fattori economici.
Nel caso dell’uomo, però, l’evoluzione tecnologica ha sostanzialmente annullato gli effetti di quella biologica, perché la prima ha ritmi troppo più veloci: non solo non riusciamo ad adattarci biologicamente alle novità che ci circondano, non riusciamo a farlo nemmeno nel corso della nostra stessa vita.
2. Quella biologica e quella tecnologica non sono le uniche tipologie di evoluzione che menziona: quale rapporto e quali differenze ci sono tra l’evoluzione culturale e quella sociale?
L’evoluzione culturale e quella sociale si sovrappongono almeno parzialmente. L’evoluzione sociale, però, è oggi influenzata da quella tecnologica e crea quindi un’evoluzione culturale diversa: quella che esperiamo ogni giorno dallo scollamento tra la vita online e la vita offline. Hai mai pensato, per esempio, che nella vita online fai uso di meno sensi? Ti basi solo su vista e udito e hai quindi un’esperienza sensoriale “monca”. Inoltre, e non è un fattore trascurabile, le modalità della tua vita online rendono possibile un’estrazione di valore economico dalla tua vita biologica: anche in questo preciso momento, stai producendo dati che vengono utilizzati, venduti e comprati.
3. Quando si parla di evoluzione culturale e sociale, viene spesso tirata in ballo la teoria del “darwinismo sociale”. Che fondamento ha? È corretto associarla agli argomenti trattati?
Il darwinismo sociale è una riflessione di tipo nazista.
L’uomo non si limita al prevalere del più forte. Certo, la competizione è un fattore importante, ma l’evoluzione umana è mossa soprattutto dalla cooperazione. Il darwinismo sociale è solo una faccia (negativa) di un insieme molto più complesso. È sbagliato anche in termini evolutivi, perché ogni tappa dell’evoluzione umana è basata sulla cooperazione. Anche l’ultimo connubio in esame, cioè quello tra l’uomo e l’intelligenza artificiale, si basa sulla cooperazione.
4. A suo parere, qual è stato e qual è l’impatto dell’evoluzione umana sulla biosfera?
Una delle tesi fondamentali del mio libro è che con la modernità si siano rotte le tensioni esistenti tra la vita umana e quella naturale.
Dall’inizio dell’evoluzione umana, abbiamo un impatto sulla biosfera, la prima manifestazione ne è stata l’estinzione della megafauna (cioè gli animali di grandi dimensioni, come i mammut). In seguito, l’umanità e la biosfera hanno trovato un equilibrio che l’evoluzione tecnologica ha fatto saltare portando a due allarmanti conseguenze: l’aumento del tasso di estinzione e la riduzione del numero di esseri viventi di grande taglia. Si assiste insomma a un drammatico impoverimento della biosfera dovuto sostanzialmente a 2 fattori: la maggiore potenza distruttiva che la tecnologia ha conferito all’uomo e l’aumento vertiginoso della popolazione mondiale.
Nel libro riporto i dati precisi, ma basti pensare che, alla situazione attuale, per mantenere lo stesso tenore di vita medio dovremmo raddoppiare la produzione mondiale ogni trent’anni. Parliamo quindi di totale devastazione ambientale.
5. È in relazione a questo impatto che si parla di responsabilità di specie? In che modo è possibile assumersi questa responsabilità?
La responsabilità personale non è sufficiente: siamo una specie sociale e siamo quindi partecipi dell’impatto dell’intera specie umana. In questo scenario, il comportamento virtuoso del singolo, seppure encomiabile, è solo una piccola parte e non è l’unica cosa di cui siamo responsabili. Assumersi la responsabilità di specie vuol dire portare avanti nella propria comunità le istanze della biosfera: serve partecipazione sociale.
6. Difficile parlare dell’impatto dell’evoluzione umana sulla biosfera senza menzionare la trasformazione tecnologica, ma in cosa consiste, se volessimo definirla in parole semplici?
La trasformazione tecnologica consiste in un cambiamento radicale delle modalità di utilizzo delle risorse tecnologiche a nostra disposizione e, in questo momento, è l’unica arma che abbiamo per ricreare un equilibrio. Se non si percorre questa strada si va incontro a una strage annunciata.
7. In che modo la trasformazione tecnologica può essere preziosa alleata della sostenibilità della vita sul pianeta?
Un buon punto di partenza è sicuramente porre fine all’obsolescenza programmata (cioè a quella strategia che limita la durata di un prodotto a un periodo prefissato). Bisogna rivisitare l’economia basandola su parametri diversi. Per esempio, le risorse tecnologiche devono essere impiegate per garantire l’accessibilità all’acqua e a ridurne lo spreco: la tecnologia potrebbe consentirne infatti un utilizzo mirato e un monitoraggio costante.
8. In che modo, invece, può essere una condanna?
Semplicemente continuando così.
Finché l’obiettivo è il successo economico, che si misura in un aumento costante dei consumi, siamo spacciati. C’è una citazione calzante: “in un pianeta finito non può esserci uno sviluppo infinito”.
È il momento di smettere di pensare a uno sviluppo quantitativo e di concentrarsi invece su uno sviluppo qualitativo, perché la situazione attuale è quella di chi sega lo stesso ramo su cui è seduto.
Ci manca la consapevolezza perché ad oggi – ma ancora per poco – noi occidentali non ci sentiamo direttamente toccati dalle conseguenze dell’impatto umano sul pianeta. In questo momento, infatti, chi ne subisce maggiormente gli effetti è proprio chi non ha controllo sulle cause e non ha gli strumenti per intervenire.
In questo contesto, il senso di colpa è necessario, ma non quello di rassegnazione: possiamo fare qualcosa, dipende tutto dalle nostre scelte.
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