Durante l’evento “Neuralink Show and Tell” tenutosi lo scorso fine novembre, Elon Musk ha condiviso, tra le ultime novità dell’azienda, gli aggiornamenti sullo sviluppo della sua Neuralink. Trattasi di una BCI, letteralmente brain-computer interface, l’interfaccia neurale che, inserita sotto forma di chip nel cranio di persone con handicap di tipo invalidante, ne migliorerà la comunicazione con il mondo esterno grazie ad un collegamento wireless con un dispositivo esterno, come ad esempio un computer. In futuro lo stesso chip potrebbe essere inserito nel midollo spinale per debellarne le paralisi. Un modo nuovo per affrontare patologie di natura neurologica che al momento non hanno ancora una soluzione o vengono affrontate e “corrette” solo dal punto di vista farmacologico.
Le parole di Elon Musk
“È come sostituire un pezzo del tuo cranio con uno smartwatch, in mancanza di un’analogia migliore”, ha sostenuto Musk, andando così ad alimentare l’interpretazione di chi vede in Neuralink un mezzo per poter, in futuro, ampliare e potenziare le attuali capacità umane. Tra pochi mesi, stando a quanto dichiarato dall’imprenditore, il Neuralink potrebbe diventare presto realtà, ma affinché questo accada c’è bisogno di alcune – non scontate – approvazioni. “Ovviamente vogliamo stare molto attenti ed essere sicuri che funzioni bene, ma abbiamo presentato tutti i nostri documenti alla FDA (Food and Drug Administration, l’ente amministrativo che si occupa dei prodotti alimentari e farmaceutici negli Stati Uniti) e crediamo che entro sei mesi saremo in grado di avere il nostro primo impianto in un essere umano”, è quanto dichiarato dal capo di Tesla (l’azienda multinazionale specializzata nella produzione di auto elettriche) e SpaceX (azienda aerospaziale che punta a ridurre i costi delle tecnologie necessarie per la navigazione nello spazio), per poi chiarire su Twitter (di recente acquisizione di Musk): “Ora siamo fiduciosi che il dispositivo Neuralink sia pronto per l’uomo, quindi la tempistica dipende dal processo di approvazione della FDA”. Lo sviluppo di Neuralink e delle sue plurime applicazioni potrebbe raggiungere zone inesplorate legate al ripristino della vista, alla possibilità di utilizzare i dispositivi digitali, con la cooperazione di mente-cervello, per coloro che sono affetti da paralisi o al ripristino del movimento in soggetti con lesioni spinali. Una risposta medica a tutte quelle persone colpite di malattie gravi o con lesioni cerebrali: «Se si riesce a percepire ciò che le persone vogliono fare con i loro arti si può fare un secondo impianto dove si è verificata la lesione spinale e creare uno shunt neurale. Sono sicuro che a lungo termine sarà possibile ripristinare il movimento completo del corpo di una persona». Fini tanti nobili quanto impegnativi, a cui Musk risponde fiducioso: “Probabilmente riusciremo a far funzionare la vista anche in chi è cieco dalla nascita”.
Dimostrazioni, etica e l’accusa di maltrattamento sugli animali
Non risultano al momento dimostrazioni o presentazioni ufficiali da parte dell’azienda in merito alle capacità effettive dell’interfaccia, oltre a brevi video mostrati in contesti “sicuri” e di “promozione”. L’obiettivo di Musk è quello di portare Neuralink ad un grado tale da permettere di comunicare con i computer attraverso il pensiero in tempi che finora, va detto, sono stati già posticipati in più di un’occasione. Se durante l’evento “Neuralink Show and Tell” è stato affermato che in soli sei mesi si sarebbe potuto giungere ad un innesto direttamente nel cervello umano – salvo l’approvazione della FDA -, bisogna anche ricordare che già nel 2019 lo stesso imprenditore aveva dichiarato di poter eseguire i primi test su cavie umane nel successivo 2020, cosa non verificatasi. Infatti, finora i test sono stati svolti esclusivamente su cavie animali, ottenendo risultati con esemplari di scimmie che, durante le sperimentazioni, sono state in grado di “digitare con gli occhi” parole su uno schermo attraverso un cursore sul display e di intrattenersi con videogiochi. O si pensi ancora a Gertrude, nel 2020 appunto, il maialino a cui fu installato nel cervello quello che lo stesso imprenditore ha definito: «un Fitbit nel cranio con minuscoli fili». Non sono mancate però le critiche all’operato dell’azienda in termini di rispetto della vita degli animali coinvolti nella sperimentazione. Neuralink è stata infatti coinvolta in un’indagine federale negli Stati Uniti a seguito della morte di ben 1.500 animali sottoposti ai test di ricerca dell’azienda. Il malcontento e il richiamo delle autorità è stato favorito dallo stesso staff della società, il quale ha lamentato una certa frettolosità nella conduzione dei test che ha causato sofferenze e morte negli animali, condizioni certamente evitabili. Sono quindi molti i dubbi che accompagnano quest’ulteriore sfida della mente di Musk, di natura pratica e soprattutto etica, considerando che siamo disposti a privare altri esseri animali della loro capacità di sentire e a volte della vita stessa per arrivare a provare ad offrire una vita “umana” migliore, un paradosso che accompagna l’uomo dai tempi dei tempi, alla luce del famoso “mors tua, vita mea”. Allo stesso tempo ci si chiede se questo avanzare della tecnologia potrebbe portare, in un futuro che sembra ormai prossimo, ad una estraniazione dalla realtà nella ricerca di una “meta-vita” migliore. Un altro quesito riguarda la privacy: ci si chiede infatti come le informazioni raccolte verranno trattate, se saranno accessibili ai governi, alle autorità statali o utilizzabili e utilizzate a fini di marketing, con conseguenze sulla “manipolazione emotiva” dei potenziali consumatori. Inoltre tra le possibili funzioni di Neuralink potrebbero esserci il controllo attivo dello stato emotivo e psicologico del soggetto, come nella risoluzione o attenuazione di stati d’ansia, depressivi o di forte stress. Anche in questo caso ci si chiede quale sia il limite da oltrepassare e che delimiti uno stato di “cura” ad uno di “controllo” della persona. Alcune critiche sono state mosse da esperti come il dottor L. Syd Johnson, professore associato al Center for Bioethics and Humanities, il quale ha affermato: “Tutti quei soggetti sono umani – persone con bisogni reali – che vengono sfruttati e utilizzati in ricerche rischiose per il tornaconto commerciale di qualcun altro”. Un pensiero comune con quello della dott.ssa Karola Kreitmair, operativa presso l’Università del Wisconsin che accusava la Neuralink di agire solo in virtù dello “scopo di lucro”, non tenendo conto dell’umanità dei soggetti a cui il progetto si rivolge. Che il futuro non sia che una puntata di Cyberpunk di Rafal Jaki? Non ci resta che incrociare le dita e sperare che la realtà superi – sempre – la fantasia.
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