Il dispositivo che permette ai medici di “toccare” i pazienti durante la formazione online

Sviluppato il primo dispositivo di addestramento alla realtà virtuale che permette ai medici di “toccare” un paziente da remoto. Scopriamo insieme in cosa consiste e le possibili applicazioni

Analisi a distanza

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    La realtà virtuale è sempre più presente nella nostra vita. Sono tantissime le realtà che oggigiorno decidono di utilizzarla per implementare i propri progetti e abbattere le distanze economiche e fisiche tra le persone.

    A proposito di distanze fisiche, gli specialisti del Center of Excellence in Mobile and Emerging Technologies (CEMET) e Advanced Medical Simulation Online (AMSO) hanno pensato un dispositivo di addestramento alla realtà virtuale che permetterebbe ai medici di “toccare” un paziente da remoto.

    Vediamo insieme di cosa si tratta.

    La “prova di concetto” di CEMET e AMSO

    La crescente richiesta di un addestramento virtuale in ambito clinico ha portato esperti medici e tecnologici a interrogarsi, finché gli specialisti del Center of Excellence in Mobile and Emerging Technologies (CEMET), con sede presso l’Università del Galles del Sud (USW), e Advanced Medical Simulation Online (AMSO), con sede a Cardiff, non hanno sviluppato una “prova di concetto” per la tecnologia remota.

    Questo dispositivo di addestramento alla realtà virtuale:

    • permetterebbe ai medici di “toccare” un paziente in differita, andando a sorpassare i problemi economici e logistici che molte malattie portano con sé.
    • l’assistenza sanitaria potrebbe puntare sulla formazione tramite “realtà virtuale” delle nuove generazioni mediche.

    L’AMSO ha definito la “collaborazione con il team CEMET molto soddisfacente”, confermando il desiderio sempre più forte di “dimostrare il potenziale dell’ambiente di realtà virtuale immersiva nell’apprendimento remoto e nell’acquisizione di competenze in un ambiente sanitario”.

    Gettate le basi di questo lavoro, se i test e le verifiche del caso risulteranno efficaci, questa tecnologia potrebbe permettere ad AMSO di offrire una formazione a distanza della nuova generazioni sanitarie.

    La formazione “virtuale” della nuova generazione di medici

    L’addestramento virtuale vuole, tre le altre cose, offrire alla nuova generazione di medici una formazione più puntuale e profonda.

    Infatti, l’utilizzo di questo dispositivo permetterebbe agli studenti di medicina di interfacciarsi e interagire direttamente con gli oggetti in uno spazio virtuale.

    L’utilizzo di appositi guanti progettati permetterebbe di replicare la sensazione di vibrazione, tatto e resistenza al tatto, come se ci si stesse interfacciando con qualcosa di “reale”.

    In questo modo, gli studenti potrebbero ricevere una formazione a distanza che li prepari a intervenire sui differenti scenari clinici, dai più semplici a quelli più gravi e legati anche a condizioni di intervento più disagiate, ottenendo dei feedback e consigli immediati dai vari formatori.

    Infatti, si potrebbero creare degli scenari virtuali in cui allo studente viene richiesto di intervenire su un “paziente”, eseguendo virtualmente un esame fisico o un intervento.

    La stessa AMSO ha creato a tal riguardo una società dedicata, Metaverse Education and Training Applications Ltd (META Learning) e sta cercando investimenti che le permettano di immetterlo sul mercato.

    “L’azienda è stata fondata nel 2015 per supportare la formazione delle competenze per gli operatori sanitari, con molti che utilizzano le nostre risorse da tutto il mondo. Ciò includeva persone nelle Bahamas, nel Medio Oriente, nelle Fiji e in Nuova Zelanda, che possono accedere alla formazione da remoto giorno e notte.” è quanto ha dichiarato il professor Nazar Amso, amministratore delegato di AMSO.

    “Mentre scoprivamo le conoscenze e siamo stati in grado di valutare se sapessero cosa veniva insegnato, non siamo stati in grado di valutare se le parti “pratiche” della formazione fossero state adeguatamente comprese a meno che gli studenti non fossero in grado di frequentare il nostro centro di simulazione a Cardiff, il che sarebbe ovviamente costoso per gli studenti che vivono a migliaia di chilometri di distanza.

    “Questa limitazione è stata ulteriormente accentuata durante la pandemia di COVID-19 e l’impatto che ha avuto sugli studenti che accedono alla formazione clinica nel proprio luogo di lavoro. Quindi, avevamo bisogno di sviluppare un sistema che potesse consentire agli studenti di dimostrare le proprie capacità attraverso la realtà virtuale immersiva“.

    Supportando la formazione delle competenze online e da remoto già dal 2015, AMSO desidera permettere a chiunque l’accesso “alla formazione da remoto giorno e notte”, offrendo così anche una maggiore “garanzia” ai futuri pazienti circa le competenze e la preparazione del personale medico.

    La realtà virtuale è quindi una preziosa possibilità che molte aziende stanno decidendo di integrare nel proprio scheletro strutturale, proprio per gli infiniti scenari a cui è capace di rispondere.

    Ma vediamo insieme quali sono i precedenti dell’addestramento virtuale e in che modo, a partire dall’esercito fino al personale medico, è stato applicato.

    I precedenti dell’addestramento virtuale: dall’esercito ai medici

    Nel 2011 l’azienda statunitense Intelligent Decisions ha creato e sviluppato un sistema di “addestramento virtuale” destinato all’esercito americano.

    Come in un videogioco, i militari si “muovevano” in ambienti bellici virtuali, immedesimandosi in situazioni estreme, con lo scopo di affinare le proprie abilità e la loro capacità di adattamento e risposta al pericolo.

    La simulazione prevedeva l’utilizzo di un display applicato sul visore dell’elmetto dei soldati e collegato a sua volta al computer portatile che questi trasportavano nello zaino.

    Verificata la funzionalità e l’efficacia di questo tipo di “addestramento virtuale” sull’esercito e i suoi soldati, si è pensato di poter applicare la stessa strategia in ambito medico.

    In che modo? La simulazione applicata al campo medico, conosciuta come “Medical Simulation”, ha lo scopo di ricreare situazioni mediche estreme (come quelle legate agli attentati, ai terremoti o agli uragani).

    Una volta indossati i visori, le stanze in cui vengono svolti gli addestramenti si trasformano negli scenari di testing e ci si interfaccia con degli avatar.

    Le stanze vengono attrezzate in modo tale da poter ricreare le differenti condizioni atmosferiche, per rendere più “reale” la simulazione e favorire un coinvolgimento sensoriale maggiore da parte degli utenti.

    Per la simulazione delle ferite vengono invece utilizzati attori e manichini.

    Qual è il fine? Preparare il personale medico alle emergenze e, in alcuni casi, come aiuto nella cura del DPTS (disturbo post-traumatico da stress).

    Il progetto “Medical Simulation” prevede l’utilizzo di biosensori capaci di monitorare parametri come la frequenza cardiaca o la pressione sanguigna, così da permettere al personale di identificare fin da subito i casi più gravi su cui intervenire in primis, prima in simulazione e poi, eventualmente, durante un evento tragico reale.

    Medical Simulation e DPTS

    In che modo la “Medical Simulation” può intervenire nel trattamento del disturbo post-traumatico da stress (DPTS)?

    Gli studi hanno dimostrato che l’esposizione del paziente, tramite un approccio narrativo, all’avvenimento che ha scatenato la malattia permette in molti di casi di attenuarne i sintomi.

    Si pensa pertanto che un’esposizione virtuale a quella stessa condizione scatenante possa aiutare chi soffre di DPTS a guarire più velocemente e facilmente.

    Questa è l’idea portante del progetto di “Medical Simulation”, di cui è responsabile Eric Rohde.

    Al momento si tratta però di un progetto in cantiere, che richiede ancora un paio di anni prima di poter essere testato, sempre che riesca a ricevere adeguati finanziamenti.

    Infatti, se anche questo studio dovesse concretizzarsi, la “Medical Simulation” diventerebbe a tutti gli effetti uno strumento importante per istituzioni mediche e cliniche private per prendersi cura dei proprio pazienti e consentire loro un ritorno a una vita più “normale” e “reale” possibile.

    Fonti

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