Vaccino anti-Covid: perché richiede tanto tempo?

Capiamo meglio il percorso di sviluppo dei vaccini: produzione, autorizzazione e commercializzazione devono avvenire sempre in totale sicurezza, e il caso COVID-19 non fa eccezione.

Vaccino COVID-19

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    Anche se in Italia il contagio del virus SARS-CoV-2 sembrava sotto controllo, negli ultimi mesi si è vista una decisa impennata nel numero dei positivi. Anche per questo motivo la necessità di un vaccino è diventata sempre più impellente. Non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Per questo molti paesi stanno collaborando nella produzione di un vaccino efficace contro questo nuovo virus. Tuttavia a Febbraio l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha affermato che difficilmente si avrà un vaccino prima di 18 mesi.

    Ma perché ci vuole così tanto tempo? E perché per altre malattie infettive anche più mortali (come ad esempio il virus della SARS) non è stato necessario?

    Cerchiamo di analizzare insieme queste domande.

    Vaccini: realizzazione e commercializzazione

    Lo sviluppo di un vaccino è un processo piuttosto lungo ed elaborato (a volte può durare anche 10 anni) che parte dalla conoscenza del microrganismo responsabile della malattia che si intende prevenire e delle sue modalità di interazione con l’organismo umano. A causa dell’enorme velocità con cui questo nuovo virus si è propagato, già dai primi di gennaio è stato possibile decodificare le sequenze geniche del COVID-19. Oltre a ciò, la crescente diffusione in tutto il mondo di questa malattia ha portato ad uno stato di collaborazione fra diversi paesi al fine di sviluppare un vaccino e trovare una cura. Questo ha notevolmente velocizzato i tempi per la preparazione di un vaccino.

    Tuttavia non basta conoscere il problema per affermare che il problema è risolto. Una volta che si è capito quali sono i componenti e le basi del virus (in questo caso) o del batterio, bisogna vedere quali sono gli antigeni che provocano una risposta immunitaria nell’organismo ospite. E dosare bene gli ingredienti; perché in un vaccino non c’è solo la componente attiva che causa una risposta immunitaria, ma anche un insieme di eccipienti che aumentano l’efficacia del vaccino. E che tipo di sostanza attiva usare nella produzione del vaccino: è meglio usare il virus vivo attenuato? Oppure è preferibile un virus inattivato? O infine ancora meglio usare degli antigeni purificati? Non c’è una ricetta assolutamente perfetta da poter utilizzare ogni volta. A volte conviene la prima strada, a volte la seconda, altre la terza.

    Ciononostante, per la realizzazione di ogni vaccino la strada è la stessa. Si parte dalla “conoscenza del nemico” per poi passare attraverso diverse fasi.

    Inizialmente si effettuano studi sperimentali in vitro, in base ai quali è possibile stabilire quale sia la composizione qualitativa e quantitativa ideale di un vaccino (tipologia e quantità della componente attiva e di tutte le altre sostanze previste).

    Una volta definito questo aspetto, il potenziale vaccino viene sottoposto alla sperimentazione pre-clinica che include studi in vitro e su modelli animali attraverso i quali si definiscono il meccanismo d’azione (cioè la capacità di indurre la risposta immunitaria), il profilo tossicologico e le prime evidenze di efficacia e sicurezza su un organismo vivente complesso. Questa fase permette di selezionare la formulazione che nei modelli sperimentali è risultata più promettente: questa verrà poi avviata alla fase clinica preliminare sull’uomo. Per i vaccini multicomponente è necessario che in questa fase venga studiata inoltre la possibile interferenza fra le varie componenti attive del vaccino.

    Terminata la sperimentazione preclinica, si passa a quella clinica. Regolata sia a livello comunitario che nazionale, si suddivide in quattro fasi: le prime tre (che coinvolgono un numero crescente di volontari) si svolgono prima della messa in commercio del vaccino mentre la quarta è rappresentata dagli studi post-commercializzazione e coinvolge milioni di persone.

    Negli studi di fase 1 il vaccino viene testato su un numero limitato di persone (alcune decine) per valutarne la tollerabilità, intesa come la frequenza e la gravità degli effetti collaterali del vaccino.

    Durante gli studi di fase 2, che possono coinvolgere anche centinaia di persone, il potenziale vaccino viene somministrato a dosi diverse e se ne studiano gli effetti, sia in termini di effetti tossici che di immunogenicità, vale a dire la capacità del vaccino di indurre una risposta immunitaria valida.

    Negli studi di fase 3, viene caratterizzata l’efficacia del vaccino o immunogenicità (la capacità di stimolare nell’uomo una risposta anticorpale specifica e sufficiente contro le componenti del vaccino) e la sua sicurezza o reattogenicità (il tipo e la frequenza con cui si manifestano eventuali reazioni avverse). Questa prova viene fatta su larga scala, in genere alcune migliaia di volontari di solito arruolati in più centri di ricerca.

    Dopo aver verificato che tutti i risultati dei test siano in linea con gli standard richiesti, il produttore procede alla preparazione di un dossier da inviare alle autorità competenti (in Italia l’Agenzia italiana del farmaco – Aifa e la European medicines agency – Ema) per richiederne la registrazione e l’autorizzazione alla commercializzazione che può avvenire solo dopo il nulla osta ufficiale delle autorità.

    A questo punto si entra negli studi di fase 4 che consistono nel monitoraggio di sicurezza ed effetti secondari del vaccino negli anni e su una popolazione in costante aumento.

    Le fasi sono sequenziali: prima di passare alla successiva occorre sempre avere ottenuto risultati positivi in quella precedente.

    Chi autorizza la commercializzazione dei vaccini?

    Nell’Unione Europea i vaccini sono autorizzati in base ai requisiti di qualità, sicurezza ed efficacia che sono stati definiti dalle linee guida europee e internazionali per tutti i medicinali, tenendo conto delle caratteristiche specifiche di questi prodotti. I dati scientifici presentati dalle aziende farmaceutiche vengono sottoposti a una scrupolosa valutazione tecnico-regolatoria che si conclude con un parere positivo (che porta all’approvazione) o negativo (di non approvabilità) sul rapporto tra i benefici e i rischi legati all’uso del vaccino nell’uomo.

    Dal punto di vista regolatorio esistono due procedure: quella comunitaria e quella nazionale. La procedura comunitaria può essere centralizzata (con il coinvolgimento di tutti i Paesi membri dell’UE coordinati dal Comitato per i Medicinali per Uso Umano (CHMP) dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ai sensi del Reg. 726/2004), o di mutuo riconoscimento e decentrata (in cui uno Stato Membro agisce come Stato referente, ai sensi del D.Lgs. 219/2006). Quando l’autorizzazione prevede il coinvolgimento di un solo Paese si parla invece di procedura nazionale (D.Lgs. 219/2006).

    In ogni caso, prima di poter essere commercializzati in Italia, i vaccini e tutti i medicinali devono ricevere l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) da parte dell’AIFA.

    Vaccino per il coronavirus: a che punto siamo?

    Come detto in precedenza, grazie alla collaborazione di più nazioni, governi ed enti, il processo ha subito una discreta accelerata. Tuttavia si stima che per commercializzare un vaccino sicuro contro il Covid si dovrà aspettare il 2021.

    In situazioni di emergenza e in presenza di gravi infezioni, lo sforzo comune di ricercatori, aziende produttrici e istituzioni sanitarie è fare il possibile perché un eventuale vaccino possa essere rapidamente disponibile. Le autorità sanitarie possono consentire che si passi a una sperimentazione nell’uomo in tempi più brevi di quanto avviene normalmente e che si coinvolga in fasi sperimentali precoci un maggior numero di persone. Ma il principio di precauzione non può venire meno; solo in caso di infezioni caratterizzate da un elevato rischio di morte (come nel caso di Ebola) può essere eticamente accettabile che i rischi legati alla limitata conoscenza e all’incertezza siano maggiori rispetto allo standard abituale.

    In ogni caso, anche se, come ipotizzato da alcuni gruppi di ricerca, sarà possibile identificare entro 3-4 mesi uno o più vaccini con dati sufficienti sulla sicurezza e l’immunogenicità per poter procedere con la sperimentazione nell’uomo, solo pochissimi vaccini hanno ad oggi raggiunto la fase 3.

    Per uno sguardo più completo sullo stato dell’arte, in questo articolo trovate gli ultimi aggiornamenti sul vaccino COVID-19.

    SARS: perché non è stato necessario un vaccino?

    Nei primi anni del 2000, il mondo stava per affrontare una situazione simile a quella che stiamo attraversando ora. Una nuova malattia denominata Severe acute respiratory syndrome (SARS) colpì la provincia di Guangdong in Cina. Decisamente contagiosa, causava una malattia molto grave. Subito ci si mise in opera per cercare un vaccino, che arrivò alla sperimentazione animale. Tuttavia l’epidemia rientrò prima delle successive fasi di sviluppo, e di conseguenza il bisogno di un vaccino in tempi rapidi venne meno. Ad oggi non esiste nessun vaccino contro la SARS, che tuttavia viene considerata debellata (ovvero non più in circolo).

    Cosa fare in attesa di un vaccino?

    In mancanza di un vaccino, per fermare l’epidemia sono importanti le misure di contenimento: identificare le persone che presentano i sintomi dell’infezione ed effettuare il test per verificare la presenza del virus, tenere in isolamento i casi positivi, rintracciare le persone che hanno avuti contatti stretti e prolungati con le persone ammalate e monitorare il loro stato di salute.

    L’epidemia di SARS è stata fermata nell’arco di pochi mesi grazie a queste misure che, probabilmente, potrebbero limitare la diffusione anche di questo nuovo virus.

    Per i singoli cittadini è importante il rispetto delle misure igieniche efficaci nel prevenire le infezioni respiratorie:

    • lavarsi le mani spesso e accuratamente, con acqua e sapone, per almeno 20 secondi. Se ciò non è possibile, si può utilizzare una soluzione alcolica
    • riparare la bocca e il naso quando si tossisce o si starnutisce con un fazzoletto di carta, da gettare subito dopo l’uso (dopo lavarsi le mani) o, in mancanza di un fazzoletto, tossire nell’incavo del braccio
    • evitare di toccare occhi, naso e bocca che sono facili vie di infezione
    • non stare a stretto contatto con persone che presentano sintomi di infezione respiratoria

    Fonti

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