Clubhouse: la piattaforma in cui la parola rivendica la sua parte

Da qualche settimana è approdata anche in Italia la nuova applicazione “Clubhouse”, scopriamola assieme

Donna che parla

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    Da qualche settimana è approdata anche in Italia la nuova applicazione “Clubhouse” al momento scaricabile solo dai possessori di IPhone e unicamente in lingua inglese.

    Si tratta di una piattaforma alla quale è possibile accedere solo su invito da parte di un contatto nella nostra rubrica che sia già presente nel social; lo stia utilizzando attivamente e decida di accettare la nostra richiesta ad accedere all’app.

    Cosa c’è di nuovo

    La novità? Questa app si discosta dai più famosi Social Network che la maggior parte delle persone sono solite utilizzare, come ad esempio Facebook e Instagram e inoltre si allontana anche dalle più comuni piattaforme che, soprattutto in questo ultimo anno, tutti noi abbiamo utilizzato assiduamente per smart working e riunioni; pensiamo a Skype, Zoom e Meet, per citarne alcune.

    Per sganciarsi dai soliti Social, infatti, gli inventori di Clubhouse, Paul Davison e Rohan Seth, due ex ingegneri Google, hanno fatto scendere dal piedistallo l’importanza attribuita all’immagine, per sostituirla con la Parola, con la P maiuscola. Niente più foto, video, selfie, storie, ne tantomeno messaggi in chat, su Clubhouse si utilizza solamente la propria voce per comunicare con gli altri utenti.

    Alcuni hanno paragonato Clubhouse alle radio, altri ai podcast; è vero, ora, saliti in metro, in autobus, in macchina, mentre passeggiamo, in sala d’attesa dal dentista, abbiamo un’opzione in più alla musica o alla radio: possiamo ascoltare un dibattito su Clubhouse con la differenza sostanziale, che, se lo desideriamo, abbiamo la possibilità di intervenire con un nostro contributo.

    Una volta presa dimestichezza con le principali funzioni, l’app mi è apparsa, già ad un primo utilizzo, molto intuitiva, semplice nei contenuti ed efficace nel suo scopo.

    Come funziona

    Una volta creato il proprio profilo, (è obbligatorio utilizzare nomi e cognomi reali), inserita una minuscola foto, con l’opzione non obbligatoria di scrivere una biografia personale, ciò che l’utente può fare, è prendere parte alle rooms (in italiano stanze): chat vocali, in cui alcuni moderatori, chiamati speakers, affrontano un dialogo su una qualche tematica. L’utente che è in ascolto, può, attraverso un tasto, “alzare la mano”  chiedere la parola, così da poter intervenire nella conversazione con domande e contributi di vario genere, condividendo pareri rispetto a quanto detto ed ascoltato.

    Non servono inviti, codici, link, si clicca sul titolo della room che ha attratto il nostro interesse e in automatico si entra ad ascoltare chi sta parlando. Niente di più semplice. Importante: non siamo obbligati ad intervenire, possiamo semplicemente ascoltare e seguire la conversazione, come fosse una radio.

    Sul social si possono trovare rooms di ogni genere, da quelle dedicate all’arte, alla storia, al marketing, alla psicologia, alla politica, per arrivare a quelle in cui vengono commentate in diretta le partite di calcio, o in cui si parla di giardinaggio, animali, cucina e, chi più ne ha, più ne metta.

    Oltre ad ascoltare ed interagire all’interno delle rooms, l’utente ha la possibilità di creare esso stesso una stanza, programmando il giorno, l’orario, il titolo e nominando altri speaker che con l’utente avvieranno la room, in attesa che altre persone si colleghino ad ascoltare.

    Cosa cambia a livello psicologico

    Come accennato qualche riga più su, l’immagine viene, all’interno di questo sistema, messa da parte. Niente più scatti mozzafiato da pubblicare sul nostro profilo, in attesa di ricevere like alle foto, niente più hashtag, niente più commenti positivi e negativi, niente più chat istantanee per conversare privatamente. A primo impatto, una rivoluzione. Un evidente cambio di marcia rispetto alla modalità di accesso all’informazione a cui siamo stati fino ad oggi abituati, ossia attraverso le immagini, ma spesso in modo passivo. Scorriamo con il dito, osserviamo foto e video in modo automatico e, a volte, spesso come un tic, mettiamo like senza nemmeno sapere di che contenuto si tratta, senza sforzare la nostra mente a mettere in campo quel processo di elaborazione di informazioni che richiede l’attivazione di funzioni corticali superiori. Nello specifico il riferimento alle funzioni mnestiche quindi di memoria, ma anche di ragionamento, di pensiero critico rispetto ad un tema, di problem solving, come ad esempio la capacità di gestire situazioni nuove e anche la capacità di improvvisare e di esporsi davanti ad un pubblico virtuale. Tutte quelle competenze che richiedono all’utente di argomentare una tesi a voce, in diretta; su Clubhouse parlare diventa la sola possibilità per poter interagire con gli altri utenti all’interno della piattaforma. A facilitare il tutto, forse l’assenza di una presenza fisica e visibile dell’utente; in effetti ci mettiamo il nostro nome e cognome reale ma non ci mettiamo la nostra faccia, andando così ad escludere, tutti gli aspetti di comunicazione non verbale: postura, espressioni del volto, gestualità, che se sommate alla parte verbale completano quella che è la modalità di trasmissione e di scambio di un’informazione completa.

    Una app che può però contribuire a migliorare il linguaggio, l’argomentazione di una tesi, l’espressione del proprio pensiero pubblicamente soltanto attraverso la propria voce e le proprie parole, quelle parole che, ultimamente, sembrano essersi sostituite dalle gallerie immagini e dai commenti digitati da utenti che spesso si nascondono dietro ad una tastiera e dietro ad un falso nome.

    Oltre a questo, un buon risvolto positivo per implementare la nostra cultura: un altro canale, diverso dalla televisione, dalla radio, o dai libri (insostituibili alleati per la nostra cultura), per apprendere nuove concetti, mettere in moto il nostro cervello, favorendo la creazione di nuove connessioni sinaptiche, mantenendolo allenato, giovane e attivo, implementando nuovi spunti di riflessione, sviluppando nuovi temi di cui sapevamo poco o nulla; in sostanza favoriamo un modo alternativo di apprendere e di comunicare.

    C’è del negativo, come in tutte le cose

    Fino a qui tutto ok. Ragionando su quelli che possono essere i risvolti negativi di una app così impostata, dopo averla, inoltre, per qualche settimana io stessa testata, ho osservato alcuni fenomeni, nei quali sarà possibile, parallelamente alla larga diffusione della app, ma anche in un certo senso normale, imbattersi.

    Mi riferisco principalmente al “narcisismo” in questo caso “digitale”. Con Clubhouse, tutti, e dico, proprio tutti, possono diventare voci autorevoli. Voci che informano, voci che portano dati, opinioni, rispetto ad un tema piuttosto che ad un altro. Anche in questa app, come nelle altre, vige un pò di protagonismo.

    Inoltre, nonostante nelle rooms valga una totale libertà di espressione e di non giudizio nei confronti di chi vuole intervenire ed esprimere il proprio parare, gli utenti che sono in ascolto degli speakers, che, ad esempio, non conoscono a pieno la tematica discussa, rischiano di prendere tutto quello che viene detto per vero. Quindi, un consiglio agli utenti: ascoltate tutto, ascoltate tutti, ma non dimenticate mai di documentarvi rispetto a quello che avete sentito, soprattutto se è un tema nuovo, diverso, o lontano dagli ambiti di cui operate o attorno ai quali ruotano i vostri interessi.

    Nell’ultima settimana ho notato la nascita di alcune rooms dal titolo: “si entra, non si parla, ci si segue a vicenda e basta”. Queste chat hanno il solo ed unico scopo di far aumentare i followers agli utenti, creando delle finte rooms che nulla hanno a che vedere con l’obiettivo dell’app Clubhouse. L’utilità sta solamente nel far crescere i propri seguaci, con un fine, a me, ancora ignoto.

    Per concludere

    Una app innovativa, diversa dalle altre piattaforme di condivisione per molti aspetti, utilizzabile per scopi formativi, quindi per condividere con gli altri utenti ciò che conosciamo, auto-formativi, quindi ascoltando i contenuti proposti dagli altri per arricchirci e imparare qualcosa di nuovo e può essere anche un nuovo strumento per implementare la rete di conoscenze rispetto al nostro lavoro, con l’opportunità di contattare colleghi, persone che operano nel nostro settore, magari dall’altra parte del mondo, con cui possiamo, a distanza, confrontarci, creare rete, scambiare idee e opinioni.

    Il concetto chiave: fare divulgazione. Informare ed informarsi senza dimenticare di coltivare un pensiero critico e personale.

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