Statue da buttare giù, perché lo facciamo?

Cosa spinge un manifestante a deturpare un monumento

Rivolta

Sommario
    Tempo di lettura Tempo di lettura terminato
    0
    Time

    Perché l’essere umano abbatte statue e monumenti? Perché lo fa sistematicamente durante ogni periodo storico e/o di cambiamento? Per spiegare ciò è importante conoscere alcuni fatti recenti e capire il senso di quello che è accaduto e che sta tuttora accadendo.

    A.D. 2020: Minneapolis, un uomo afroamericano di 46 anni steso sull’asfalto smette di respirare. George Perry Floyd è morto nella serata del 25 Maggio, dopo essere stato trattenuto a terra (con il ginocchio dell’agente Chauvin a pressione sul suo collo) per più di 8 minuti. Per alcuni è l’ennesimo abuso di potere delle forze dell’ordine nei confronti della popolazione nera, per altri l’agente ha semplicemente esagerato mentre cercava di fare il proprio dovere, praticamente una semplice leggerezza dall’epilogo nefasto.

    Ciò che invece è innegabile è che il sussurro di Floyd è diventato il grido di migliaia di persone e manifestanti: “I can’t breathe!”. In tutte le piazze degli Stati Uniti, giovani afroamericani (ma non solo) si inginocchiano in segno di protesta, ma il movimento è destinato a espandersi rapidamente e in tutto il mondo. La morte di Floyd è stata la scintilla che ha acceso un’enorme polveriera. I giovani di tutto il mondo hanno deciso di schierarsi, di gridare la propria rabbia e la repulsione al razzismo, ma anche alle ingiustizie e alla persecuzione sociale in ogni sua forma. Alcuni adulti hanno scelto di seguirli, altri no, creando una sorta di scissione generazionale. 

    Da una manifestazione a una rivolta civile talvolta il passo è tragicamente breve, specie se si scende in piazza per un malessere profondo e radicato, specie se il dolore è giovane. Il dissenso diviene sempre più forte, si passa dalle mascherine (ereditate dall’emergenza coronavirus) con su scritto “Black Lives Matter – I Can’t Breathe”, fino ad arrivare talvolta agli scontri con la polizia e all’abbattimento e/o alla deturpazione di statue raffiguranti personaggi storici.

    Proprio le statue, quelle stesse statue che cadono e vengono sporcate di vernice, stanno diventando velocemente il simbolo di una lotta alle disuguaglianze sociali e alle ingiustizie. Lao Tzu, in un suo famoso aforisma diceva che “Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce” in riferimento all’evidenza del “male” rispetto alla riservatezza silenziosa del “bene”; ma quando parliamo di statue, ideali passati e nuovi ideali pronti a soppiantarli, l’analogia è calzante oppure si trasforma in quello che in matematica è non solo l’inverso, ma anche l’opposto di un numero: un antireciproco?

    Cade una statua, cade un’idea

    Quando un popolo insorge le statue tremano. Storicamente è sempre accaduto, sia per mano dei nemici che degli abitanti stessi della nazione. Le motivazioni possono essere molteplici, infatti distruggere una statua, un’opera architettonica o una qualsiasi opera d’arte non è semplicemente un mero atto trionfalistico o pragmatico, ma di enorme valenza ideologica. Non si attacca la statua in sé, ma l’idea che essa rappresenta. In questo preciso momento, mentre scrivo questo articolo, vengono abbattute da folle arrabbiate e agguerrite le statue di persone che, con i loro ideali e gesti, rappresentano e hanno rappresentato gli ideali del razzismo, della discriminazione sociale e dell’ingiustizia verso le categorie meno rappresentate della società. 

    Crolla (o meglio viene abbattuta) la statua di Edward Colston, perché era un mercante di schiavi, viene imbratta quella di Winston Churchill perché “was a racist”. In Ucraina vi erano 5500 statue di Lenin, adesso ne è rimasta solamente una, a Chernobyl, e gli ucraini sono felici così. In quella città abbandonata e spettrale, quella statua, è come se non esistesse.

    A rischio anche le statue di Cristoforo Colombo, ora ritenuto il feroce autore del genocidio dei nativi americani. Il fucecchiese Indro Montanelli, reo dell’acquisto di una 12enne eritrea durante la campagna di Abissinia nel 1935, in questo momento vede a sé dedicata una statua a Milano sporca di vernice e colma di termini poco lusinghieri. 

    Nel Regno Unito, il sito “Stop Trump Uk” ha creato una mappa con oltre 50 obiettivi  tra busti, statue e targhe, sparsi nel paese ed eretti in memoria di celebri personaggi vissuti nel passato e che ora sono additati come schiavisti o razzisti. Qualcuno pensa che si arriverà anche a Socrate, Platone e Aristotele (pederasti e schiavisti).

    Il nemico non è tanto l’opera in pietra, quanto l’idea che essa rappresenta e che trova nell’esistenza della statua una sua manifestazione sul piano fisico. In psicologia le idee sono definibili come il frutto dell’elaborazione di immagini; costruzioni interne di precedenti esperienze sensoriali atte a rappresentare il nostro pensiero. La distruzione della statua ha un potente valore simbolico: distruggendo la statua riesco a distruggere l’idea che rappresenta.

    Simboli e necessità di manifestare

    Tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo sentito la massima del filosofo tedesco Ernst Cassirer: “L’uomo è un animale simbolico” e poi “Attraverso il simbolo l’uomo riconosce ed esprime in forma sociale o rituale le potenti forze che sente intorno a sé, in questo modo le domina e le conduce al controllo sociale”.

    L’essere umano trova nel nucleo della propria psiche un bisogno profondo e indomabile di simbolizzazione: lo vediamo nei numeri, nelle culture, negli idiomi e nei linguaggi codificati. È un elemento della comunicazione che vede in un significante la rappresentazione di un’idea, di un valore più alto e spesso intangibile. 

    Secondo il famoso psicanalista Carl Gustav Jung i simboli sono portatori di un contenuto che non riesce ad essere espresso altrimenti. Essi restano vivi finché sono ricchi e carichi di significato, ma nel momento in cui lo hanno dato alla luce, cioè riescono a trovare una forma espressiva superiore rispetto a quella utilizzata fino a quel momento, il simbolo muore.

    Da ciò si può provare a dedurre perché è così importante per l’essere umano manifestare in nome di idee più elevate del concetto di singolo individuo. L’idea è il significato, e l’azione il suo significante: per questo le statue cadono.

    Psicologia della rabbia

    La rabbia è una delle emozioni umane di base. A livello evolutivo è legata alla sopravvivenza e proprio come le altre emozioni fondamentali si è affinata insieme all’evoluzione umana. La rabbia è correlata alla risposta di “lotta, fuga o congelamento” del sistema nervoso simpatico; prepara gli umani a combattere. Ma combattere non significa necessariamente ricorrere alla violenza; può infatti essere la motivazione delle comunità a opporsi alle ingiustizie, modificando le leggi o applicando nuove norme comportamentali.

    In sintesi è una risposta sia fisica che psicologica a una situazione che non funziona e non possiamo tollerare. Diventa carburante per portare avanti le idee, alimentandone il valore simbolico e conducendo la persona a compiere gesti che vanno ben oltre l’agire secondo la ragione.

    Verso il cambiamento o verso il caos?

    Il periodo post lockdown da Covid19 ha trovato la popolazione mentalmente provata e spesso sopraffatta dall’ansia e dallo stress. Le ingiustizie sociali e una società globale non più sostenibile sotto svariati punti di vista ci stanno spingendo ad azioni sempre più incisive al fine di cambiare la dimensione umana. Adesso sappiamo perché le statue cadono, ma se abbiamo compreso a fondo la logica del ragionamento sappiamo anche che ciò potrebbe essere solamente l’inizio.

    Fonti

    Lascia il tuo commento

    Non verrà mostrata nei commenti
    A Good Magazine - Newsletter
    è il contenuto che ti fa bene! Resta aggiornato sulle malattie digitali